venerdì 22 Novembre 2024

SAPER ASCOLTARE di Luciana Triggiante

 
Carissimo,
Ti allego un "articolo" di mia nipote contenente riflessioni sulla sua ultima esperienza qui in Mozambico. Qualora ritieni opportuno pubblicizzarlo tra benefattori e eventuali volontari, provvedi.
Per altre informazioni e aggiornamenti puoi guardare sul nostro sito
www.missionemozambico.org
Un abbraccio.
Pace e bene.
Fra Antonio Triggiante

Quando si arriva in Mozambico tutto cambia: le strade sono di terra battuta, le case di paglia, la gente è nera, la guida dell’auto a sinistra, gli odori e i rumori sono forti.
Ciò che però colpisce maggiormente chi ci va per la prima volta, è la capacità dei mozambicani di ascoltare,una capacità ( se volete chiamatela virtù), che noi europei non abbiamo.
Loro, invece, ti ascoltano sempre, in silenzio, con un’attenzione così reverenziale, che in alcune occasioni suscita nell’italiano un senso d’imbarazzo o il dubbio che l’interlocutore non abbia capito completamente il tuo discorso,ma tema di offendere chiedendo un chiarimento.
Ma quando il viaggio si ripete e piano piano ci si confronta con questo popolo, si percepisce l’importanza di quel silenzio mentre l’altro parla, di quel senso di rispetto e di gesto( o forse dovrei dire"non gesto") che è alla base di un apprendimento consapevole e critico allo stesso tempo.
Così in questo ennesimo viaggio in Mozambico, durante le vacanze natalizie, ho cercato anche io di ascoltare,con le orecchie e con il cuore, le persone e la natura che mi circondavano e ne ho tratto i seguenti spunti di riflessione che vorrei condividere con voi, attraverso il racconto di alcuni episodi significativi di quelle poche settimane trascorse a Quelimane e dintorni.

MARIA GRAZIA E LE FOTOGRAFIE

In un caldo pomeriggio di fine dicembre vado a far due chiacchiere con Maria Grazia,una volontaria italiana che da anni dona il suo tempo e il suo amore al popolo mozambicano al fianco dei Padri Dehoniani , e che da alcuni mesi si occupa della nuova Biblioteca , aperta dalla Onlus Progetto Mozambico , con lo scopo di contribuire alla lotta contro la diffusione dell’ AIDS anche attraverso la diffusione della cultura.
Fa un caldo tremendo,ma lei mi accoglie in un piccolo ufficio, senza ventilatore né aria condizionata, dove sta catalogando nuovi libri arrivati dal Portogallo.
Tra un saluto e un ricordo di precedenti esperienze condivise, mi cade l’occhio su un bellissimo libro di animali, uno dei tanti testi, ricchi di foto e didascalie, che si possono trovarli in un negozio di libri o in una biblioteca italiana, ma che lì mi sembra fuori luogo e fuori tempo.
Maria Grazia, invece, mi spiega l’infinito valore di quel testo ( che noi regaleremmo in occasione del compleanno ad un bambino della scuola primaria) che serve per mostrare immagini reali a persone che non avrebbero altro modo per sapere come è un pinguino, che colore sono le piume di un pappagallo o quante gobbe ha un cammello.
Mi mostra altri volumi della stessa collana: ci sono foto di alberi, mezzi di trasporto, parti del corpo umano,…. Tutte immagini impresse nella nostra mente fin da quando avevamo pochi anni, grazie ai libri di scuola,ai cartelloni pubblicitari, alla televisione, ad Internet.
Tutte immagini che ,allo stesso tempo, a Quelimane solo le poche persone che avranno la possibilità di sfogliare quei testi potranno conoscere.
Ascoltando Maria Grazia mi sono chiesta: quante volte ho pensato che questa gente non può capire ciò che dico( anche se parlo in portoghese) perché non ha mai nemmeno visto una foto dell’ oggetto,dell’animale o della persona che io ho nominato?
Quante volte in Italia ho sentito commenti "pesanti"sui mozambicani (e gli africani in genere), ritenuti razza inferiore, perché ignoranti?
Ignoranti, si. L’80 % dei mozambicani è ignorante, ciò non si può negare, ma non per scelta.
Fino a 35 anni fa ai coloni tornava utile che sapessero contare solo fino a 10 per sapere quanti cocchi avevano raccolto ed ora, alle multinazionali, fa comodo che sappiano solo leggere i comandi che impartiscono loro via sms o email per porta via il maggior numero di tronchi di ebano.
Sapevate che a Quelimane è possibile comprare una ricarica per cellulare ad ogni angolo di strada, ma non esiste un’edicola né una libreria?
Continuo ad ascoltare e…..

ANNA E LA CONTABILITA’

Con me in questo viaggio è tornata in Mozambico Anna, una ragazza italiana, che già nello scorso mese di Agosto aveva fatto una breve esperienza nella Casa Família e che venendo a conoscenza della necessità di un corso di contabilità, sorta nella Cooperativa in seguito alla morte di Veronica (la segretaria tragicamente scomparsa lo scorso mese di luglio in un incidente stradale), ha deciso di mettere a disposizione la propria professionalità, spiegando semplici concetti di contabilità ai responsabili dei vari settori della Cooperativa.
Anna temeva che non parlando bene portoghese, i partecipanti al corso non avrebbero capito nulla o quasi.
Dopo tre giorni,invece, era molto soddisfatta dell’attenzione con cui seguivano le lezioni ed i suoi "alunni" non sapevamo come ringraziarla: perché? Perché, ascoltando, avevano appreso alcune nozioni di ragioneria indispensabili per portare avanti i progetti in modo semplice e chiaro.
Ma anche Anna aveva ascoltato: quando era stata a Quelimane la prima volta aveva percepito, dai discorsi di Fra Antonio e dei responsabili della Cooperativa, che a loro non serviva un master in economia, perché molti dei possibili partecipanti al corso non ricordavano le tabelline e non conoscevano il valore delle cifre che stavano scrivendo.
Partendo da questi prerequisiti, ha pensato e messo in atto un piano di lavoro adatto ai referenti dei singoli settori e il risultato è stato ottimo.
Che dire?
Ascoltate gente, ascoltate….

ABEL E L’AIDS

28 Dicembre 2009, ore 8.15: squilla il cellulare.
"Alô"
"Alô….Abelmorreu…"
Cosi mi è stata annunciata la scomparsa di un valido collaboratore, nonchè attuale responsabile della Casa Família.
Abel Charles era cresciuto con Fra Antonio, aveva aiutato Rosaria (la responsabile della Mensa San Francesco di Quelimane,anche lei scomparsa nello scorso mese di Agosto) e sempre si era dimostrato disponibile ad aiutare il prossimo.
Durante il giorno lavorava nella Casa Familia e di sera continuava i suoi studi.
Un ragazzo simpatico, che salutava tutti cordialmente e che nel tempo libero scriveva canzoni e le cantava.
Tutto ciò mentre il male del secolo, che in Africa ancora molti hanno paura di pronunciare, ma di informazioni riguardo al quale allo stesso tempo sono tappezzati i muri della città, lo divorava silenziosamente.
L’AIDS (in Mozambico chiamata SIDA) lo aveva già messo al tappeto due anni fa, quando nel mese di dicembre lo avevo trovato nella sua palhotta, disteso su una stuoia, senza forza per sollevare un braccio.
Grazie ai farmaci retrovirali, ad una corretta alimentazione e all’affetto di tante persone che lo circondavano, Abel si era ripreso, aveva ricominciato a lavorare ed era riuscito anche ad incidere un nuovo cd.
E proprio in questo cd, tra le parole delle sue canzoni si poteva udire il suo male di vivere, la voglia di mettere in guardia altri giovani nei confronti di questa malattia che in Mozambico ancora molti ritengono legata alla magia e che, quindi, si diffonde a macchia d’olio.
Apertamente Abel non ha mai parlato a nessuno dell’AIDS, ma con la musica, addolcendo il messaggio con le note, ha sostenuto la lotta contro questa pandemia.
Ascoltando le sue canzoni si capiscono molti aspetti della vita mozambicana, il valore della famiglia, l’importanza dello studio, il desiderio dei giovani di contribuire al progresso del proprio Paese attraverso il lavoro, il rispetto degli anziani e delle tradizioni. E ciò ha più valore di quanto noi possiamo immaginare, perché in Mozambico la musica è parte integrale della vita quotidiana: per strada, in casa, accompagnato da danze e percussioni il ritmo riempie la realtà.
Una realtà in cui le persone interiorizzano le parole delle canzoni, differentemente da noi che già nel mese di aprile non sappiamo più dire chi ha vinto l’ultimo festival di San Remo.
Mi fermo e mi chiedo "Sarà forse il reciproco ascolto la chiave di volta per un futuro migliore e concretamente equo e solidale"?

BENDICTO E LA PIOGGIA

E’ l’ultima sera a Quelimane, domani torno a Maputo e da lì ripartirò per l’Italia.
In tre settimane non ho avuto tempo per salutare tutti, ma ci tenevo proprio a rivedere "Bendicto" (soprannome di una persona che per ragioni di sicurezza mi ha chiesto di restare anonima).
E così quando lo trovo nel giardino del convento gli corro incontro e il fiume delle parole e dei ricordi comincia scorrere rapido.
La distanza e il tempo non hanno scalfito la nostra empatia e così, ad un tratto, mi confessa il suo timore che il padre venga assalito nuovamente,come già è accaduto l’anno precedente, perché ritenuto colui che "mantiene la pioggia", ossia che non fa piovere.
In Mozambico, infatti, l’acqua è importantissima e quando, come sta accadendo ora, non piove per mesi, la gente comincia a sostenere che è colpa di qualcuno. In particolare, di solito, la colpa ricade sulle donne anziane (ritenute capaci di stregonerie) o su persone ricche, che secondo la mentalità comune, detengono beni e cibo e non desiderano che altri raggiungano il proprio livello di benessere, quindi, "non lasciano cadere la pioggia", così gli altri muoiono di fame. Lo so che sembra assurdo, ma è proprio così.
Il padre di Bendicto e i suoi fratelli sono persone rette, che vivono del loro lavoro, unica differenza tra loro e gli altri, forse, è che loro sono previdenti e hanno imparato a gestire le risorse e accumulare cibo per i tempi di carestia.
Ma la gente del bairro (cioè del quartiere) non la pensa così. La gente dice che suo padre non fa cadere la pioggia e cosi, quando la siccità si prolunga, si rivolge al curandero (una specie di stregone). Quest’ultimo,una notte, inizia a girare per il bairro, facendo riti mistici e (guarda caso) giunge davanti alla casa del padre di Bendicto, indica una sua pentola piena d’acqua e informa tutti che questa è la conferma che lui è il colpevole della mancanza di pioggia.
Così il popolo si accanisce contro il malcapitato, la sua famiglia e i suoi beni.
I figli corrono in soccorso del padre, chiamano la polizia, ma finché questa arriva ed interviene i rivoltosi sono riusciti ad incendiare la cucina.
All’alba comincia a piovere e tutto torna tranquillo.
Ma se non avesse piovuto… cosa sarebbe successo? Ed ora che a Quelimane non piove da mesi cosa succederà al padre di Bendicto e ad altre persone ingiustamente accusate di "mantenere la pioggia"?
Ascoltare questo racconto fa venir la pelle d’oca, ma è uno degli esempi di vita mozambicana tipici, con i quali i frati e i volontari ogni giorno devono fare i conti, mentre si imepgnano a promuovere il cristianesimo, il progresso e la pace.
Potrei andare avanti per ore a raccontarvi episodi come questi, pieni di fascino, curiosità e mistero; ma spero di aver già raggiunto con queste pagine il mio obiettivo: aver riflettuto insieme su come vivano i mozambicani, per poter poi iniziare a pensare un piano di intervento utile ad aiutarli nella lotta contro la povertà,con le sue molteplici facce. Un piano d’azione che, partendo dall’ascolto attento della realtà, passi attraverso la conoscenza e l’accompagnamento nel lavoro e sfoci in un cammino di promozione umana veramente solidale.
A tutto ciò si deve aggiungere assolutamente la fede, senza la quale ogni sforzo è vano, perché alla prima difficoltà ci si ferma e si arretra; mentre quando la fede è profonda dona forza e coraggio per condividere l’Amore di Dio sempre, nella buona e nella cattiva sorte, con tutti, poveri, neri, ammalati.


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2 Commenti

  1. trilucy

    Attraverso le parole ho cercato di trasmettere ciò che Zodd ha egregiamente espresso con foto e filmati.

    Entrambi abbiamo avuto l’onore di assistere  in diretta ad un film  ,di cui i protagonisti sono Fra Antonio, i poveri della Mensa San Francesco, i bambini della Casa Familia, gli anziani del Centro Giovanni Paolo II e gli alunni ei professori della Scuola die Martiri: attori spontanei, eroi che quotidianamente combattono contro le intemperie e la malattia.

    E noi da umili strumenti nelle mani di Dio abbiamo cercato di testimoniare le difficoltà e le gioie quotidiane, i frutti delle offerte che giungono dall’Italia( e soprattutto da Monte) e i piccoli gesti di riconoscenza dei mozambicani nei confronti di coloro che donano loro la speranza.

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