Sappiamo ormai come è finito il tentativo di Marchionne di creare un colosso dell’auto che comprendesse Fiat, Chrysler ed Opel.
L’antico pregiudizio antiitaliano diffuso fra i tedeschi che ci considerano al più delle simpatiche carogne e il momento elettorale hanno indotto la cancelliera Merkel, che su impulso del ministro dell’economia Zu Guttemberg, era favorevole all’accordo con la Fiat a fare marcia indietro.
Il presidente Usa Obama che aveva appoggiato l’operazione con la Chrysler ha dichiarato durante la fase Opel che non avrebbe voluto essere coinvolto, ma ha dovuto concordare con il governo tedesco.
Ciò che ha fatto pendere la bilancia a favore di Magna sembra che siano stati i capitali di Gazprom, perlomeno così titolava Il Sole 24 ore di ieri: “Opel-Magna, la vittoria politica dell’asse del gas Putin-Schröder”.
Quella dell’auto è un’industria strategica nel senso che ha ricadute sull’industria siderurgica, petrolifera, chimica, della gomma, ecc. Non si trattava quindi di difendere il cosiddetto prestigio nazionale, come s’era fatto con Alitalia, ma il futuro industriale del nostro paese.
Tutti i governi dei paesi coinvolti nella trattatiava sono intervenuti, meno il nostro.
Il Financial Times del 27 maggio ha scritto che «Nel tribunale dell’opinione pubblica alcuni potrebbero considerare sorprendente che Berlusconi non sia stato condannato per essere stato uno dei peggiori gestori dell’economia italiana dal 1945 in poi».
Non saranno i giornali stranieri a risolvere il nostri problemi e sicuramente molti si ostinano a considerarci indistintatamente un paese di Pulcinella, ma noi gli forniamo ogni giorno motivi di disistima. Quando tanta parte della stampa internazionale arriva a dare giudizi così pesanti sull’attuale governo italiano credo però che dovremmo preoccuparci.
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