Mi spiace, ma non sono per nulla d’accordo con quanto detto nel documentario “ I briganti” proposto da Lomfra.
Si tratta di un indecente polpettone che mette insieme fatti diversi spalmandoli di considerazioni e conclusioni inaccettabili. Come lo spettacolone che si mette in scena da noi a Brindisi di Montagna.
Trovo molto grave che la Tv pubblica finanzi operazioni che alimentano la confusione esistente nel nostro paese su fatti storici di primaria importanza.
Il Regno delle due Sicilie era tutt’altro che un il faro di progresso e civiltà.
Le poche industrie che c’erano erano in gran parte il risultato di investimenti stranieri poiché la manodopera vi costava pochissimo e ai lavoratori non era riconosciuto nessun diritto. Come è accaduto ai giorni nostri nella Romania del dopo Ceasescu e in tutte le aeree sottosviluppate.
E’ vero che il tratto di ferrovia da Napoli a Portici (inaugurato nell’ottobre del 1839) fu il primo costruito da noi, ma si trattò di una pura e semplice speculazione finanziaria di investitori stranieri (capitale e progetto francese, locomotive inglesi).
Il trasporto a trazione animale (piccoli cavalli) su binari era stato sperimentato nelle miniere inglesi per portare fuori dalle gallerie il carbone. La prima vera ferrovia a vapore – settembre 1830 – fu il tratto tra Manchester, grande centro industriale, e Liverpool, il principale porto inglese, e fu costruita per il trasporto merci, non per portare in villeggiatura la nobiltà inglese.
Il brigantaggio è stato il più triste caso di manipolazione dei poveri cristi da parte dei galantuomini più reazionari. Si possono compatire i briganti, ma non è possibile esaltare il brigantaggio se non in malafede o per ignoranza. Sicuramente il passaggio dai Borboni all’Italia unita comportò nell’immediato un peggioramento delle classi più povere, ma questo significa che l’unificazione fu fatta male non che fu una brutta cosa.
L’espressione “briganti o emigranti” fu creata dal nostro Francesco Saverio Nitti nella sua campagna contro chi – i galantuomini e loro rappresentanti in parlamento – voleva impedire ai poveri cristi di emigrare. Citarla senza precisare tale circostanza significa soltanto creare confusione.
L’epiteto di “terroni” appioppato ai meridionali si diffuse esattamente un secolo fa ed ha una storia molto antipatica. Nacque quando in varie città del nord Italia arrivarono molti superstiti del terremoto di Messina (dicembre 1908) e voleva ipocritamente significare sia “sporco di terra” che terremotato.
ci sono statistiche di una parte e statistiche di un altra. Ciò che è vero, secondo me, sta nel mezzo ed una cosa di cui non si può dubitare è stato il peggioramento delle condizioni del sud sotto il dominio piemontese, confermato dall’aumento vertiginoso dell’ emigrazione (verso l’america) in seguito all’unità d’italia.
Io ho trovato questi dati sul debito pubblico prima dell’ unificazione del regno:
1859. milioni di lire
attivo
passivo
Piemonte
—
91,00
Toscana
—
14,00
Sicilia
—
3,00
Lombardia
28,30
—
Parma, Modena e Romagne
26,40
—
Napoli
9,00
—
Gli
anni 1859-1860 richiesero al Piemonte spese straordinarie per sostenere
la guerra, che furono coperte ricorrendo ai prestiti.
spese per la guerra del 1859 = 263 milioni
indennità all’Austria = 180 milioni
indennità alla Francia = 80 milioni
Allo scopo di reperire i finanziamenti furono emessi vari prestiti, tanto dal Piemonte che dai Governi Provvisori:
– 21 febbraio 1859: 50 milioni
– 11 e 28 ottobre 1859: 100 milioni
– 12 luglio 1860: 150 milioni
– governo provvisorio delle Romagne: 28 milioni
– governo provvisorio della Toscana: 53 milioni
– governo prov. di Napoli e Sicilia: 39 milioni
totale 1859-1861: 405 milioni
Dati del Debito pubblico unificato (riferito al 1861) di 2.374
milioni, così ripartiti tra le regioni:
Stati sardi: 1292 milioni
Lombardia: 152 milioni
Parma: 12 milioni
Modena: 18 milioni
Romagna: 19 milioni
Marche: 5 milioni
Umbria: 7 milioni
Toscana: 139 milioni
Napoli: 522 milioni
Sicilia: 209 milioni
Eloquenti sono anche le parole di Giustino Fortunato scrittore, politico, storico, e meridionalista di Rionero:
«L’Unità
d’Italia è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo,
nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e
profittevole. L’unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è
provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo Stato italiano
profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in
misura ben maggiore che nelle meridionali.»
Adesso non è compito mio stare qui a fare lo storico, non "tifo" nè da una parte nè dall’altra , sono partito da un documentario [forse sbagliato, ma che sicuramente ha suscitato le domande giuste] e mi sono trovato centinaia di libri e studi sulla storia vista da "quest’ altra parte", cio che è importante è che la gente conosca il passato della nostra terra, per capire il presente e notare, con un occhio attento, che siamo ancora "terra di conquista" (caso Eni in primis), terra di piemontesi, galantuomini e briganti o emigranti.. magari un pò cambiati, ma nella sostanza sempre gli stessi.
Lomfra hai perfettamente ragione a esporre tutto cio!ma ora dico!che facciamo?piangiamo un altro po?o proviamo a reagire?che significa che la rovina nostra è stata l’unità d’italia?potrebbe anche voler dire che la rovina dell’italia è stata anche l’unità europea oggi!io penso e continuo ad essere convinto che la nostra soluzione sia richiedere lo statuto speciale o attuare al piu presto il federalismo!A patto che noi lucani prendiamo coscienza che per una volta nella vita l’economia locale deve partire dalle nostre teste e non deve essere subordinata alle decisioni di "quelli di lassù!"
Bravo rokko, è proprio dove volevo andare a parare. Ragioniamo un pò. Regione Basilicata:
Superfice 9.992 kmq
Abitanti: 590.433
Cioè 59,1 abitanti per kmq rispetto ai 198,4 della media nazionale.
131 comuni e 2 province. Montagna 46.8 % Collina 45.6 % Pianura 8.00 %
Risore accertate in 50 mld di euro tra gas e petrolio, per non parlare del magnifico patrimonio naturale e culturale (non credo affatto di stare esagerando, abbiamo dei posti stupendi ma poco o per niente valorizzati).
Sembra che abbiamo tutte le carte in tavola per chiedere lo Statuto Speciale, forse il federalismo sarà un opportunità, ma ne dubito, a giudicare da come si stanno impostando le cose e dato che parte essenzialmente dal Nord rischia di diventare un applicazione di Leggi fatte per il Nord nel Sud indubbiamente diverso.
Fai bene a dire che l’economia deve partire dalle nostre teste, ma se la nostra classe politica non ha fatto altro che darci assistenzialismo, in quasi 150 di Unità Nazionale non sono riusciti a creare le infrastrutture di cui la Regione assolutamente necessita, la ferrovia non arriva sembra più per scelta politica che per altri motivi, l’ emigrazione ci sta privando da quasi un secolo e mezzo delle forze necessarie per far partire qualcosa di concreto. Non si può dire che chi resta deve darsi da fare, secondo me lo si fà già per quelle che sono le possibilità, ma si è sempre in pochi.. e non parlariamo dei "galantuomini"..
L’impegno di tutti è necessario insieme all’ unione dei piccoli e dispersi comuni lucani.. ma si deve partire da una storia condivisa, questo è il significato del mio post, non ho nessuna intenzione di piangermi addosso.
Quando quindici-venti anni fa i leghisti parlavano di federalismo o di indipendentismo non c’era un meridionale che non li accusava di essere egoisti o di essere antisolidali verso noi poveretti del sud. Adesso leggo che la soluzione di tutti i mali per il sud è il federalismo. Insomma la colpa è sempre degli altri ed in particolare dei piemontesi… bha!?
Sarà forse anche così, ma non credo che gli amministratori locali delle nostre regioni, provincie o comuni facessero Zurbrigen di cognome, e i nostri rappresentanti a Roma?. Quanto denaro pubblico è arrivato con la Cassa per il Mezzogiorno? quanto nel post terremoto ? quanto dai forndi comunitari?. Vi ricordo che la Sicilia ha uno statuto speciale, gli idrocarburi il mare il sole, terra fantastica e tanta emigrazione.
Non serve che ci ricordi quanto la corruzione e la criminalità siano ben radicate nel meridione, io però parlo di basilicata, mi riferisco ad infrastrutture, autostrade e ferrovie, cose di competenza del governo centrale.
La Sicilia non è la Basilicata, non voglio dire che siamo esenti dal malessere meridionale, ma preferirei parlare di proposte e di unione, tu di cosa vuoi parlare? Di come vengono distribuiti i fondi comunitari o di come vengono presi gli appalti pubblici? Possiamo anche farlo, ma mi saprebbe di detto e stradetto..
Scusami veramente non ho argomenti. Purtroppo sono sempre e solo arrivato ai temi detti e stradetti.
Dal punto di vista storico gli argomenti che hai portato sono interessantissimi, è importante confrontare più fonti per arrivare a una descrizione della realtà passata più verosimile possibile.
L’invito che volevo fare era quello di cercare le cause dell’attuale arretratezza economica delle nostre regioni in fattori interni e non esterni. Possibilmente anche in fattori più recenti visto che dall’unità d’Italia sono passati un bel po di anni. La Spagna (generalizzo, anche li ci sono realtà specifiche) ha fatto un balzo enorme dagli anni ’70 ad oggi e ci sono voluti poco più di 30 anni. Mi sembra che noi abbiamo fatto poco.
I temi detti e stradetti non devono essere un arrivo, ma al massimo un punto di partenza, anche se noi possiamo farci ben poco se la magistratura non fà il suo lavoro, e poi non credo che il resto del paese se la passi tanto bene. La ricchezza del nord è data dalle grandi socetà private, sviluppatesi grazie alle infrastrutture, sono le socetà edilizie che per anni hanno costruito sobborghi e periferie industriali abitate poi (ironia della sorte) dai tanti emigranti meridionali, e poi la vicinanza dell’ europa, e soprattutto la ricchezza del nord sono i tanti cervelli del sud, gli studenti del sud (una vera e propria economia a parte), e poi gli investimenti stranieri, difficile che arrivino al sud se mancano le strade e le ferrovie.
Ci sono cause interne e cause esterne, cause storiche e cause moderne, io credo ad esempio che tenere il sud in questo stato giova solo al nord del paese e a qualche "galantuomo" del sud, perchè la ricchezza non fà altro che trasferirsi, lo spopolamento della basilicata ad esempio potrebbe fare di questa terra la pattumiera d’ italia (come si è tentato di fare), può far si che il petrolio venga estratto con un misero 7% di royalties, che qualcuno tenga sempre in scacco la popolazione con il ricatto del lavoro… Siamo doppiamente oppressi.
Per quanto riguarda le differenza tra Spagna e Italia, ti rimando a questo articolo del sito la lavoce.info!
Ciffo il guaio è che in basilicata noi non abbiamo davvero niente!Mentre in sicilia la ferrovia funziona e gli aereoporti ci sono e anche le autostrade esistono , guarda che da noi queste tre componenti fondamentali lasciano a desiderare!a Gela l’Eni esiste ancora dagli anni 50 mentre a Pisticci tutto è stato smantellato!poi se ci vogliamo documentare non sulle polemiche ma sull’economia reale lo facciamo, se invece dobbiamo starci a chiedere ancora oggi il perchè in basilicata tutto non funziona allora è un altro discorso ma da qui a dire che la sicilia sta peggio di noi mi sembra una follia!parlo di ECONOMIA REALE che non sta scritta nelle tabelle! In quanto a te Piovasco piu che scrivere fesserie perchè nn ci spieghi perchè sei emigrato?perchè invece di dire che la sicilia è un esempio che fa capire che non centra niente lo statuto speciale, non ci spieghi il motivo del perchè non centra niente applicare lo statuto speciale che tanto non funziona niente?hai qualchemotivo valido per sostenere la tua tesi?lo puoi enunciare qui?
Devo ritornare sulla questione dell’unificazione nazionale che il documentario proposto da Lomfra – spero non me ne voglia, non è con lui che ce l’ho – mette pesantemente in discussione.
Premesso che non ci sono dubbi riguardo ai limiti del nostro processo unitario e all’ingiusto trattamento riservato al Mezzogiorno dopo l’Unità – ne hanno scritto, seriamente, in tanti, da Gramsci, a Croce, da Candeloro a Ragionieri -, va detto con forza che la stessa unificazione fu un fatto indiscutibilmente positivo.
Non fu tuttavia l’unificazione la causa dell’aumento dell’emigrazione dal sud. Se così fosse stato, nell’immediato l’unificazione avrebbe fatto più male alle regioni del nord che a quelle del sud come dimostrerebbero gli espatri medi annui che fra il 1876-1880 riguardarono l’11,98 per mille della popolazione veneta, il 9,10 della piemontese e il 5,98 della popolazione lucana (cfr. Ercole Sori, L’emigrazione italiana dall’Unità alla Seconda guerra mondiale, Il Mulino, 1979, p. 28).
Ma, ripeto, non fu questa la causa scatenante dell’emigrazione quanto le crisi agricole, le importazioni americane, la maggiore libertà di circolazione, l’abbassamento del costo del viaggio, la catena dei “richiami” costruita da chi era emigrato per prima e – per quanto assurdo possa sembrare – un relativo, maggiore, benessere. Se, infatti, è vero che si emigra per sfuggire alla miseria, è ancora più vero che chi è troppo povero non ha i mezzi per emigrare. A conferma di ciò si può osservare, ad esempio, che dagli archivi Usa risultano essere arrivati dall’Italia fra il 1855 e il 1900 “soltanto” 884.839 persone contro i 4.108.368 giunti dalla ricca Germania fra il 1850 e il 1897 (cfr. http://www.archives.gov/).
Anche se non n’è indicata la provenienza, non metto in discussione i dati riportati da Lomfra, ma non mi sembrano significativi. Le cifre sul debito pubblico di un qualunque stato vanno valutate in rapporto al bilancio dello stesso. A quell’epoca, inoltre, non c’era ancora la finanza creativa e i subprimes dell’era Bush che adesso stanno distruggendo le economie di mezzo mondo e valeva il detto “chi ha debito ha credito”, ecc.
Quanto a Giustino Fortunato, basterà pensare che la sua fiducia nello stato unitario lo portò a diventarne senatore. A differenza della stragrande maggioranza dei parlamentari meridionali, che furono definiti ascari dai loro stessi colleghi del nord, lo fece però con rigore e dignità e non esitò a criticare le politiche antimeridionaliste del governo.
Un’ultimissima considerazione: la verità –che parola grossa! – non sta nel mezzo né da nessun’altra parte. Se così fosse la poveretta sarebbe lacerata fra gli ammiratori dei Franceschiello di borbonica memoria e gli eccelsi studi sulla padania e il federalismo dei leghisti.
Non esiste una verità di parte, c’è la ricerca fatta seriamente da chi sa che ogni conclusione è solo provvisoria e le chiacchiere al vento che di questi tempi trovano sempre più ascoltatori.
Di questo dovremmo preoccuparci.
Quanto all’Eni (Ente nazionale idrocarburi): è possibile che nessuno sappia dire se paga le stesse royalties per le estrazioni all’estero e per quelle in Italia, per quelle fatte in Emilia o in Sicilia e per quelle in Lucania? Per essere credibili quando si protesta non sarebbe bene sapere con precisione come stanno le cose?
Al contrario di quanto dice Paolo Scaroni (Amm.delegato di Eni) in risposta alle proteste delle decine di associazioni lucane, e cioè che "Il petrolio è più facile estrarlo all’estero che in italia", i dati sulle royalties pagate da Eni sono tutti superiori a quelle pagate in Basilicata, ad esempio in Alaska paga il 12.5 %, in Kazakistan opera un Consorzio Eni-Mobil-Shell-Total che paga il 10% ma stanno cercando di portarlo al 20-25%, in Venezuela dal 12,5% e in Ecuador dall’ 8% , i contratti vengono rinegoziati per portare le royalties oltre il 50% .
In basilicata dovremmo pagare il 7 % solo perchè l’ Eni è detenuta per il 20% del suo capitale sociale dal Ministero dell’ Economia? (non dimentichiamo che la Libia sta per acquistare il 10% del suo Capitale)
Sulla questione Copio-Incollo un articolo del Financial Times sul petrolio lucano:
Aridi deserti nascondono
il patrimonio petrolifero del Medio Oriente, distese ghiacciate coprono
quello della Russia. Sfortunatamente per gli abitanti della Basilicata,
il giacimento petrolifero sulla terraferma più grande d’Europa
giace sotto foreste, terreni agricoli e antiche comunità.
Lupi, cervi e a
volte orsi vagano tra le montagne diventate parco nazionale, dove il
rumore degli impianti petroliferi sale tra le cime degli alberi in stridente
contrasto.
Canali scavati tra
querce e faggi portano gli oleodotti fino al complesso di Viggiano,
dove i gas vengono separati e il greggio trasportato per altri 130 Km
fino a una raffineria. L’odore di zolfo si fa strada fino ai paesi di
origine medievale sulle colline, dove le finestre con le serrande abbassate
e i muri fatiscenti sono la testimonianza di una popolazione in fuga.
Non sorprende che gli ambientalisti e i residenti siano preoccupati
per il progetto delle compagnie petrolifere -Eni, Total, Shell e Esso-
di raddoppiare la produzione ricavata da un’area altamente redditizia
e di arrivare a coprire il 10% del fabbisogno totale italiano nel giro
di qualche anno.
Gli attivisti si
sono duramente battuti per 15 anni per far istituire un parco nazionale
nella zona della Val d’Agri. La legge è finalmente entrata in
vigore lo scorso marzo, vietando così l’estrazione mineraria.
Nel frattempo Eni, il gigante dell’energia in parte di proprietà
dello Stato, ha già costruito una mezza dozzina di teste di pozzo
all’interno del parco e in numero maggiore al di fuori.
Le preoccupazioni
sono aumentate questo mese quando Stefania Prestigiacomo, Ministro dell’ambiente
ed industriale, ha scartato la scelta del guardiano del parco fatta
dall’amministrazione regionale e ha nominato un commissario di sua scelta.
Il governo di centro-destra
di Silvio Berlusconi sta inoltre preparando una legge che toglierebbe
alle regioni come la Basilicata il diritto di veto sui progetti per
la costruzione di infrastrutture. L’obiettivo è quello di porre
rimedio alla reputazione italiana da "non nel mio giardino"
nei confronti degli investitori stranieri.
"Non possiamo
rimanere bloccati per anni, aspettando un’approvazione che potrebbe
non arrivare," dice Claudio Descalzi, presidente di Assomineraria,
un’associazione di compagnie petrolifere e minerarie. L’industria vuole
che la trafila per ottenere le autorizzazioni sia chiara e breve, continua
Descalzi, che è anche Direttore Generale della Divisione Esplorazione
e Produzione di Eni.
Il vento ha cominciato
a girare dalla parte dei grandi progetti industriali quando (il partito
dei) i Verdi, i cui membri erano delle figure chiave all’interno del
precedente governo di centro-sinistra e che erano accusati di bloccare
la maggior parte dei progetti, sono stati sconfitti alle elezioni dello
scorso aprile.
I politici locali
sono per la maggior parte favorevoli ai progetti di espansione. Chi
è contrario afferma invece che la loro coscienza è stata
zittita da consistenti percentuali sugli utili elargite da Eni. Se da
una parte costituisce un introito per le regioni povere, dall’altra
il denaro dà luogo al "clientelismo" [in italiano nel
testo, N.d.T.] – raccomandazioni di politici – e non è sempre
ben speso.
Nonostante le promesse
di posti di lavoro e di investimenti, il paese di Grumento Nova ha perso
un quarto dei suoi abitanti. La gente del posto indica come causa della
migrazione l’inquinamento prodotto dal vicino complesso di Viggiano
e la mancanza di lavoro.
Pino Enrico Laveglia,
il medico locale, sta facendo causa a Eni per quello che ritiene essere
un significativo aumento del numero di infezioni alle vie respiratorie
e di tumori causati dall’inquinamento. "L’arrivo di questi signori
ha portato a un disastro ambientale", dice. "Una volta qui
non c’era la nebbia. Adesso c’è della polvere azzurrognola e
non viene dalle fate dei boschi."
Ma non ha speranze
di vincere la causa e dice che la gente è troppo remissiva e
divisa da vecchie diatribe per protestare.
Le persone del posto
tendono a raccontare la stessa storia – i giovani se ne vanno in
cerca di lavoro, sindaci corrotti sprecano le percentuali sugli utili
e l’inquinamento corrode i pilastri dell’agricoltura e del turismo.
Le grandi aspettative create quando la produzione di petrolio è
cominciata in maniera significativa circa 10 anni fa non sono state
soddisfatte. Pochi ripongono fiducia nel sistema di monitoraggio dell’inquinamento.
Sorridendo cupamente dicono che la Basilicata si è "sacrificata"
per il resto d’Italia ma che i loro connazionali non lo sanno.
Una gallina dalle
uova d’oro per le compagnie petrolifere e i governi, l’incremento dell’attività
di estrazione sembra inevitabile.
I costi delle attività
di Eni ammontano a meno di 2,3 euro al barile, e a circa 6,3 euro compreso
l’aumento della produzione. Le royalties pagate alla regione sono stimate
al 7% dei prezzi di mercato di cui il 15% va alle amministrazioni locali.
Eni afferma che alla fine del 2007 ha speso 368 milioni di euro, con
una produzione lorda del valore di 5,2 miliardi di euro circa.
Eni, insieme a Shell
Italia, produce circa 75.000 barili al giorno in Basilicata. La produzione
è destinata ad aumentare fino a 104.000 barili al giorno nel
2010. In un secondo momento, in attesa dell’approvazione ufficiale,
ci potrebbe essere un ulteriore aumento di 30.000 barili al giorno.
Eni fa sapere che
tutti i nuovi pozzi saranno situati al di fuori dei confini del parco
nazionale e che il livello di inquinamento è al di sotto (non
supera) dei limiti imposti dall’Unione Europea. Le teste di pozzo saranno
collocate nel sottosuolo, una volta completate le trivellazioni esploratorie.
Total, Shell e Esso
hanno anche il permesso di trivellare e di costruire un polo di estrazione,
con la possibilità di raggiungere una produzione di 50.000 barili
al giorno nel 2011.
In Italia il consumo
di petrolio sta lentamente diminuendo ed è sceso fino a raggiungere
1.750.000 barili al giorno nel 2007. Gli studiosi affermano che facendo
nascere false speranze e non illustrando le conseguenze, gli affari
e i politici hanno creato tra la gente un clima di diffidenza nei confronti
delle autorità che durerà per lungo tempo. Il conseguente
senso di rimpianto e di sfiducia è difficile da dissipare mediante
il dialogo.
Ad esempio, gli
epidemiologi sostengono che i casi di cancro non possono essere sorti
in soli 10 anni a causa dell’industria petrolifera. I sociologi affermano
che buona parte del sud Italia vive il fenomeno dell’emigrazione.
Giovanni Figliuolo,
docente dell’università della Basilicata, ha rivelato che un’accurata
ricerca sulla biodiversità condotta sulle attività di
Eni ha concluso che l’impatto sulle zone circostanti è stato
minimo e che è persino possibile che l’industria dell’energia,
con le tecnologie adeguate, abbia un impatto positivo sulla biodiversità
della Basilicata.
Alla domanda se
le ricchezze derivanti dal petrolio siano una benedizione o, come molti
affermano, una maledizione, Vito De Filippo, governatore di centro-sinistra
della Basilicata che ha appoggiato i progetti di espansione dell’attività
petrolifera, ha risposto: "Definirle una maledizione è esagerato.
La Basilicata ha dovuto farlo per il bene del paese ma i guadagni e
lo sviluppo economico non sono stati quelli che ci aspettavamo."
Intanto una nuova
minaccia per questo idillio rurale si profila sotto forma di un progetto
per una discarica per le scorie nucleari, necessaria a rilanciare l’industria
nucleare italiana. L’intenzione di Roma di privare le regioni della
possibilità di veto ne faciliterebbe il processo.
"Sarebbe un
atto di guerra" dice De Filippo "dovrebbero farlo usando le
armi."
Mi spiace, ma non sono per nulla d’accordo con quanto detto nel documentario “ I briganti” proposto da Lomfra.
Si tratta di un indecente polpettone che mette insieme fatti diversi spalmandoli di considerazioni e conclusioni inaccettabili. Come lo spettacolone che si mette in scena da noi a Brindisi di Montagna.
Trovo molto grave che la Tv pubblica finanzi operazioni che alimentano la confusione esistente nel nostro paese su fatti storici di primaria importanza.
Il Regno delle due Sicilie era tutt’altro che un il faro di progresso e civiltà.
Le poche industrie che c’erano erano in gran parte il risultato di investimenti stranieri poiché la manodopera vi costava pochissimo e ai lavoratori non era riconosciuto nessun diritto. Come è accaduto ai giorni nostri nella Romania del dopo Ceasescu e in tutte le aeree sottosviluppate.
E’ vero che il tratto di ferrovia da Napoli a Portici (inaugurato nell’ottobre del 1839) fu il primo costruito da noi, ma si trattò di una pura e semplice speculazione finanziaria di investitori stranieri (capitale e progetto francese, locomotive inglesi).
Il trasporto a trazione animale (piccoli cavalli) su binari era stato sperimentato nelle miniere inglesi per portare fuori dalle gallerie il carbone. La prima vera ferrovia a vapore – settembre 1830 – fu il tratto tra Manchester, grande centro industriale, e Liverpool, il principale porto inglese, e fu costruita per il trasporto merci, non per portare in villeggiatura la nobiltà inglese.
Il brigantaggio è stato il più triste caso di manipolazione dei poveri cristi da parte dei galantuomini più reazionari. Si possono compatire i briganti, ma non è possibile esaltare il brigantaggio se non in malafede o per ignoranza. Sicuramente il passaggio dai Borboni all’Italia unita comportò nell’immediato un peggioramento delle classi più povere, ma questo significa che l’unificazione fu fatta male non che fu una brutta cosa.
L’espressione “briganti o emigranti” fu creata dal nostro Francesco Saverio Nitti nella sua campagna contro chi – i galantuomini e loro rappresentanti in parlamento – voleva impedire ai poveri cristi di emigrare. Citarla senza precisare tale circostanza significa soltanto creare confusione.
L’epiteto di “terroni” appioppato ai meridionali si diffuse esattamente un secolo fa ed ha una storia molto antipatica. Nacque quando in varie città del nord Italia arrivarono molti superstiti del terremoto di Messina (dicembre 1908) e voleva ipocritamente significare sia “sporco di terra” che terremotato.
ci sono statistiche di una parte e statistiche di un altra. Ciò che è vero, secondo me, sta nel mezzo ed una cosa di cui non si può dubitare è stato il peggioramento delle condizioni del sud sotto il dominio piemontese, confermato dall’aumento vertiginoso dell’ emigrazione (verso l’america) in seguito all’unità d’italia.
Io ho trovato questi dati sul debito pubblico prima dell’ unificazione del regno:
1859. milioni di lire
attivo
passivo
Piemonte
—
91,00
Toscana
—
14,00
Sicilia
—
3,00
Lombardia
28,30
—
Parma, Modena e Romagne
26,40
—
Napoli
9,00
—
Gli
anni 1859-1860 richiesero al Piemonte spese straordinarie per sostenere
la guerra, che furono coperte ricorrendo ai prestiti.
spese per la guerra del 1859 = 263 milioni
indennità all’Austria = 180 milioni
indennità alla Francia = 80 milioni
Allo scopo di reperire i finanziamenti furono emessi vari prestiti, tanto dal Piemonte che dai Governi Provvisori:
– 21 febbraio 1859: 50 milioni
– 11 e 28 ottobre 1859: 100 milioni
– 12 luglio 1860: 150 milioni
– governo provvisorio delle Romagne: 28 milioni
– governo provvisorio della Toscana: 53 milioni
– governo prov. di Napoli e Sicilia: 39 milioni
totale 1859-1861: 405 milioni
Dati del Debito pubblico unificato (riferito al 1861) di 2.374
milioni, così ripartiti tra le regioni:
Stati sardi: 1292 milioni
Lombardia: 152 milioni
Parma: 12 milioni
Modena: 18 milioni
Romagna: 19 milioni
Marche: 5 milioni
Umbria: 7 milioni
Toscana: 139 milioni
Napoli: 522 milioni
Sicilia: 209 milioni
Eloquenti sono anche le parole di Giustino Fortunato scrittore, politico, storico, e meridionalista di Rionero:
« L’Unità
d’Italia è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo,
nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e
profittevole. L’unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è
provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo Stato italiano
profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in
misura ben maggiore che nelle meridionali. »
Adesso non è compito mio stare qui a fare lo storico, non "tifo" nè da una parte nè dall’altra , sono partito da un documentario [forse sbagliato, ma che sicuramente ha suscitato le domande giuste] e mi sono trovato centinaia di libri e studi sulla storia vista da "quest’ altra parte", cio che è importante è che la gente conosca il passato della nostra terra, per capire il presente e notare, con un occhio attento, che siamo ancora "terra di conquista" (caso Eni in primis), terra di piemontesi, galantuomini e briganti o emigranti.. magari un pò cambiati, ma nella sostanza sempre gli stessi.
O forse estremizzo?
Lomfra hai perfettamente ragione a esporre tutto cio!ma ora dico!che facciamo?piangiamo un altro po?o proviamo a reagire?che significa che la rovina nostra è stata l’unità d’italia?potrebbe anche voler dire che la rovina dell’italia è stata anche l’unità europea oggi!io penso e continuo ad essere convinto che la nostra soluzione sia richiedere lo statuto speciale o attuare al piu presto il federalismo!A patto che noi lucani prendiamo coscienza che per una volta nella vita l’economia locale deve partire dalle nostre teste e non deve essere subordinata alle decisioni di "quelli di lassù!"
Bravo rokko, è proprio dove volevo andare a parare. Ragioniamo un pò. Regione Basilicata:
Superfice 9.992 kmq
Abitanti: 590.433
Cioè 59,1 abitanti per kmq rispetto ai 198,4 della media nazionale.
131 comuni e 2 province. Montagna 46.8 % Collina 45.6 % Pianura 8.00 %
Risore accertate in 50 mld di euro tra gas e petrolio, per non parlare del magnifico patrimonio naturale e culturale (non credo affatto di stare esagerando, abbiamo dei posti stupendi ma poco o per niente valorizzati).
Sembra che abbiamo tutte le carte in tavola per chiedere lo Statuto Speciale, forse il federalismo sarà un opportunità, ma ne dubito, a giudicare da come si stanno impostando le cose e dato che parte essenzialmente dal Nord rischia di diventare un applicazione di Leggi fatte per il Nord nel Sud indubbiamente diverso.
Fai bene a dire che l’economia deve partire dalle nostre teste, ma se la nostra classe politica non ha fatto altro che darci assistenzialismo, in quasi 150 di Unità Nazionale non sono riusciti a creare le infrastrutture di cui la Regione assolutamente necessita, la ferrovia non arriva sembra più per scelta politica che per altri motivi, l’ emigrazione ci sta privando da quasi un secolo e mezzo delle forze necessarie per far partire qualcosa di concreto. Non si può dire che chi resta deve darsi da fare, secondo me lo si fà già per quelle che sono le possibilità, ma si è sempre in pochi.. e non parlariamo dei "galantuomini"..
L’impegno di tutti è necessario insieme all’ unione dei piccoli e dispersi comuni lucani.. ma si deve partire da una storia condivisa, questo è il significato del mio post, non ho nessuna intenzione di piangermi addosso.
Quando quindici-venti anni fa i leghisti parlavano di federalismo o di indipendentismo non c’era un meridionale che non li accusava di essere egoisti o di essere antisolidali verso noi poveretti del sud. Adesso leggo che la soluzione di tutti i mali per il sud è il federalismo. Insomma la colpa è sempre degli altri ed in particolare dei piemontesi… bha!?
Sarà forse anche così, ma non credo che gli amministratori locali delle nostre regioni, provincie o comuni facessero Zurbrigen di cognome, e i nostri rappresentanti a Roma?. Quanto denaro pubblico è arrivato con la Cassa per il Mezzogiorno? quanto nel post terremoto ? quanto dai forndi comunitari?. Vi ricordo che la Sicilia ha uno statuto speciale, gli idrocarburi il mare il sole, terra fantastica e tanta emigrazione.
Ciao.
Non serve che ci ricordi quanto la corruzione e la criminalità siano ben radicate nel meridione, io però parlo di basilicata, mi riferisco ad infrastrutture, autostrade e ferrovie, cose di competenza del governo centrale.
La Sicilia non è la Basilicata, non voglio dire che siamo esenti dal malessere meridionale, ma preferirei parlare di proposte e di unione, tu di cosa vuoi parlare? Di come vengono distribuiti i fondi comunitari o di come vengono presi gli appalti pubblici? Possiamo anche farlo, ma mi saprebbe di detto e stradetto..
Scusami veramente non ho argomenti. Purtroppo sono sempre e solo arrivato ai temi detti e stradetti.
Dal punto di vista storico gli argomenti che hai portato sono interessantissimi, è importante confrontare più fonti per arrivare a una descrizione della realtà passata più verosimile possibile.
L’invito che volevo fare era quello di cercare le cause dell’attuale arretratezza economica delle nostre regioni in fattori interni e non esterni. Possibilmente anche in fattori più recenti visto che dall’unità d’Italia sono passati un bel po di anni. La Spagna (generalizzo, anche li ci sono realtà specifiche) ha fatto un balzo enorme dagli anni ’70 ad oggi e ci sono voluti poco più di 30 anni. Mi sembra che noi abbiamo fatto poco.
Ciao.
I temi detti e stradetti non devono essere un arrivo, ma al massimo un punto di partenza, anche se noi possiamo farci ben poco se la magistratura non fà il suo lavoro, e poi non credo che il resto del paese se la passi tanto bene. La ricchezza del nord è data dalle grandi socetà private, sviluppatesi grazie alle infrastrutture, sono le socetà edilizie che per anni hanno costruito sobborghi e periferie industriali abitate poi (ironia della sorte) dai tanti emigranti meridionali, e poi la vicinanza dell’ europa, e soprattutto la ricchezza del nord sono i tanti cervelli del sud, gli studenti del sud (una vera e propria economia a parte), e poi gli investimenti stranieri, difficile che arrivino al sud se mancano le strade e le ferrovie.
Ci sono cause interne e cause esterne, cause storiche e cause moderne, io credo ad esempio che tenere il sud in questo stato giova solo al nord del paese e a qualche "galantuomo" del sud, perchè la ricchezza non fà altro che trasferirsi, lo spopolamento della basilicata ad esempio potrebbe fare di questa terra la pattumiera d’ italia (come si è tentato di fare), può far si che il petrolio venga estratto con un misero 7% di royalties, che qualcuno tenga sempre in scacco la popolazione con il ricatto del lavoro… Siamo doppiamente oppressi.
Per quanto riguarda le differenza tra Spagna e Italia, ti rimando a questo articolo del sito la lavoce.info!
Caro piovasco la Sicilia sta MILLENNI piu avanti di noi!informati !
Rokko ti consiglio di aggiustare il tuo orologio…. sbaglia l’ora di circa qualche centinaio di millenni!
Ciffo il guaio è che in basilicata noi non abbiamo davvero niente!Mentre in sicilia la ferrovia funziona e gli aereoporti ci sono e anche le autostrade esistono , guarda che da noi queste tre componenti fondamentali lasciano a desiderare!a Gela l’Eni esiste ancora dagli anni 50 mentre a Pisticci tutto è stato smantellato!poi se ci vogliamo documentare non sulle polemiche ma sull’economia reale lo facciamo, se invece dobbiamo starci a chiedere ancora oggi il perchè in basilicata tutto non funziona allora è un altro discorso ma da qui a dire che la sicilia sta peggio di noi mi sembra una follia!parlo di ECONOMIA REALE che non sta scritta nelle tabelle! In quanto a te Piovasco piu che scrivere fesserie perchè nn ci spieghi perchè sei emigrato?perchè invece di dire che la sicilia è un esempio che fa capire che non centra niente lo statuto speciale, non ci spieghi il motivo del perchè non centra niente applicare lo statuto speciale che tanto non funziona niente?hai qualchemotivo valido per sostenere la tua tesi?lo puoi enunciare qui?
Azz! ho sbagliato strada dovevo emigrare a Racalmuto non al nord.
Grazie per l’informazione provvedo subito.
Ciao.
vi propongo l’intervista realizzata da G.Disabato al Oneman Television,in occasione della Giornata per la Legalità:
http://www.suditaliavideo.it/Pino%20Man%ECaci%20parla%20della%20situazione%20della%20criminalita%27%20
Devo ritornare sulla questione dell’unificazione nazionale che il documentario proposto da Lomfra – spero non me ne voglia, non è con lui che ce l’ho – mette pesantemente in discussione.
Premesso che non ci sono dubbi riguardo ai limiti del nostro processo unitario e all’ingiusto trattamento riservato al Mezzogiorno dopo l’Unità – ne hanno scritto, seriamente, in tanti, da Gramsci, a Croce, da Candeloro a Ragionieri -, va detto con forza che la stessa unificazione fu un fatto indiscutibilmente positivo.
Non fu tuttavia l’unificazione la causa dell’aumento dell’emigrazione dal sud. Se così fosse stato, nell’immediato l’unificazione avrebbe fatto più male alle regioni del nord che a quelle del sud come dimostrerebbero gli espatri medi annui che fra il 1876-1880 riguardarono l’11,98 per mille della popolazione veneta, il 9,10 della piemontese e il 5,98 della popolazione lucana (cfr. Ercole Sori, L’emigrazione italiana dall’Unità alla Seconda guerra mondiale, Il Mulino, 1979, p. 28).
Ma, ripeto, non fu questa la causa scatenante dell’emigrazione quanto le crisi agricole, le importazioni americane, la maggiore libertà di circolazione, l’abbassamento del costo del viaggio, la catena dei “richiami” costruita da chi era emigrato per prima e – per quanto assurdo possa sembrare – un relativo, maggiore, benessere. Se, infatti, è vero che si emigra per sfuggire alla miseria, è ancora più vero che chi è troppo povero non ha i mezzi per emigrare. A conferma di ciò si può osservare, ad esempio, che dagli archivi Usa risultano essere arrivati dall’Italia fra il 1855 e il 1900 “soltanto” 884.839 persone contro i 4.108.368 giunti dalla ricca Germania fra il 1850 e il 1897 (cfr. http://www.archives.gov/).
Anche se non n’è indicata la provenienza, non metto in discussione i dati riportati da Lomfra, ma non mi sembrano significativi. Le cifre sul debito pubblico di un qualunque stato vanno valutate in rapporto al bilancio dello stesso. A quell’epoca, inoltre, non c’era ancora la finanza creativa e i subprimes dell’era Bush che adesso stanno distruggendo le economie di mezzo mondo e valeva il detto “chi ha debito ha credito”, ecc.
Quanto a Giustino Fortunato, basterà pensare che la sua fiducia nello stato unitario lo portò a diventarne senatore. A differenza della stragrande maggioranza dei parlamentari meridionali, che furono definiti ascari dai loro stessi colleghi del nord, lo fece però con rigore e dignità e non esitò a criticare le politiche antimeridionaliste del governo.
Un’ultimissima considerazione: la verità –che parola grossa! – non sta nel mezzo né da nessun’altra parte. Se così fosse la poveretta sarebbe lacerata fra gli ammiratori dei Franceschiello di borbonica memoria e gli eccelsi studi sulla padania e il federalismo dei leghisti.
Non esiste una verità di parte, c’è la ricerca fatta seriamente da chi sa che ogni conclusione è solo provvisoria e le chiacchiere al vento che di questi tempi trovano sempre più ascoltatori.
Di questo dovremmo preoccuparci.
Quanto all’Eni (Ente nazionale idrocarburi): è possibile che nessuno sappia dire se paga le stesse royalties per le estrazioni all’estero e per quelle in Italia, per quelle fatte in Emilia o in Sicilia e per quelle in Lucania? Per essere credibili quando si protesta non sarebbe bene sapere con precisione come stanno le cose?
Al contrario di quanto dice Paolo Scaroni (Amm.delegato di Eni) in risposta alle proteste delle decine di associazioni lucane, e cioè che "Il petrolio è più facile estrarlo all’estero che in italia", i dati sulle royalties pagate da Eni sono tutti superiori a quelle pagate in Basilicata, ad esempio in Alaska paga il 12.5 %, in Kazakistan opera un Consorzio Eni-Mobil-Shell-Total che paga il 10% ma stanno cercando di portarlo al 20-25%, in Venezuela dal 12,5% e in Ecuador dall’ 8% , i contratti vengono rinegoziati per portare le royalties oltre il 50% .
Aridi deserti nascondono
il patrimonio petrolifero del Medio Oriente, distese ghiacciate coprono
quello della Russia. Sfortunatamente per gli abitanti della Basilicata,
il giacimento petrolifero sulla terraferma più grande d’Europa
giace sotto foreste, terreni agricoli e antiche comunità.
Lupi, cervi e a
volte orsi vagano tra le montagne diventate parco nazionale, dove il
rumore degli impianti petroliferi sale tra le cime degli alberi in stridente
contrasto.
Canali scavati tra
querce e faggi portano gli oleodotti fino al complesso di Viggiano,
dove i gas vengono separati e il greggio trasportato per altri 130 Km
fino a una raffineria. L’odore di zolfo si fa strada fino ai paesi di
origine medievale sulle colline, dove le finestre con le serrande abbassate
e i muri fatiscenti sono la testimonianza di una popolazione in fuga.
Non sorprende che gli ambientalisti e i residenti siano preoccupati
per il progetto delle compagnie petrolifere -Eni, Total, Shell e Esso-
di raddoppiare la produzione ricavata da un’area altamente redditizia
e di arrivare a coprire il 10% del fabbisogno totale italiano nel giro
di qualche anno.
Gli attivisti si
sono duramente battuti per 15 anni per far istituire un parco nazionale
nella zona della Val d’Agri. La legge è finalmente entrata in
vigore lo scorso marzo, vietando così l’estrazione mineraria.
Nel frattempo Eni, il gigante dell’energia in parte di proprietà
dello Stato, ha già costruito una mezza dozzina di teste di pozzo
all’interno del parco e in numero maggiore al di fuori.
Le preoccupazioni
sono aumentate questo mese quando Stefania Prestigiacomo, Ministro dell’ambiente
ed industriale, ha scartato la scelta del guardiano del parco fatta
dall’amministrazione regionale e ha nominato un commissario di sua scelta.
Il governo di centro-destra
di Silvio Berlusconi sta inoltre preparando una legge che toglierebbe
alle regioni come la Basilicata il diritto di veto sui progetti per
la costruzione di infrastrutture. L’obiettivo è quello di porre
rimedio alla reputazione italiana da "non nel mio giardino"
nei confronti degli investitori stranieri.
"Non possiamo
rimanere bloccati per anni, aspettando un’approvazione che potrebbe
non arrivare," dice Claudio Descalzi, presidente di Assomineraria,
un’associazione di compagnie petrolifere e minerarie. L’industria vuole
che la trafila per ottenere le autorizzazioni sia chiara e breve, continua
Descalzi, che è anche Direttore Generale della Divisione Esplorazione
e Produzione di Eni.
Il vento ha cominciato
a girare dalla parte dei grandi progetti industriali quando (il partito
dei) i Verdi, i cui membri erano delle figure chiave all’interno del
precedente governo di centro-sinistra e che erano accusati di bloccare
la maggior parte dei progetti, sono stati sconfitti alle elezioni dello
scorso aprile.
I politici locali
sono per la maggior parte favorevoli ai progetti di espansione. Chi
è contrario afferma invece che la loro coscienza è stata
zittita da consistenti percentuali sugli utili elargite da Eni. Se da
una parte costituisce un introito per le regioni povere, dall’altra
il denaro dà luogo al "clientelismo" [in italiano nel
testo, N.d.T.] – raccomandazioni di politici – e non è sempre
ben speso.
Nonostante le promesse
di posti di lavoro e di investimenti, il paese di Grumento Nova ha perso
un quarto dei suoi abitanti. La gente del posto indica come causa della
migrazione l’inquinamento prodotto dal vicino complesso di Viggiano
e la mancanza di lavoro.
Pino Enrico Laveglia,
il medico locale, sta facendo causa a Eni per quello che ritiene essere
un significativo aumento del numero di infezioni alle vie respiratorie
e di tumori causati dall’inquinamento. "L’arrivo di questi signori
ha portato a un disastro ambientale", dice. "Una volta qui
non c’era la nebbia. Adesso c’è della polvere azzurrognola e
non viene dalle fate dei boschi."
Ma non ha speranze
di vincere la causa e dice che la gente è troppo remissiva e
divisa da vecchie diatribe per protestare.
Le persone del posto
tendono a raccontare la stessa storia – i giovani se ne vanno in
cerca di lavoro, sindaci corrotti sprecano le percentuali sugli utili
e l’inquinamento corrode i pilastri dell’agricoltura e del turismo.
Le grandi aspettative create quando la produzione di petrolio è
cominciata in maniera significativa circa 10 anni fa non sono state
soddisfatte. Pochi ripongono fiducia nel sistema di monitoraggio dell’inquinamento.
Sorridendo cupamente dicono che la Basilicata si è "sacrificata"
per il resto d’Italia ma che i loro connazionali non lo sanno.
Una gallina dalle
uova d’oro per le compagnie petrolifere e i governi, l’incremento dell’attività
di estrazione sembra inevitabile.
I costi delle attività
di Eni ammontano a meno di 2,3 euro al barile, e a circa 6,3 euro compreso
l’aumento della produzione. Le royalties pagate alla regione sono stimate
al 7% dei prezzi di mercato di cui il 15% va alle amministrazioni locali.
Eni afferma che alla fine del 2007 ha speso 368 milioni di euro, con
una produzione lorda del valore di 5,2 miliardi di euro circa.
Eni, insieme a Shell
Italia, produce circa 75.000 barili al giorno in Basilicata. La produzione
è destinata ad aumentare fino a 104.000 barili al giorno nel
2010. In un secondo momento, in attesa dell’approvazione ufficiale,
ci potrebbe essere un ulteriore aumento di 30.000 barili al giorno.
Eni fa sapere che
tutti i nuovi pozzi saranno situati al di fuori dei confini del parco
nazionale e che il livello di inquinamento è al di sotto (non
supera) dei limiti imposti dall’Unione Europea. Le teste di pozzo saranno
collocate nel sottosuolo, una volta completate le trivellazioni esploratorie.
Total, Shell e Esso
hanno anche il permesso di trivellare e di costruire un polo di estrazione,
con la possibilità di raggiungere una produzione di 50.000 barili
al giorno nel 2011.
In Italia il consumo
di petrolio sta lentamente diminuendo ed è sceso fino a raggiungere
1.750.000 barili al giorno nel 2007. Gli studiosi affermano che facendo
nascere false speranze e non illustrando le conseguenze, gli affari
e i politici hanno creato tra la gente un clima di diffidenza nei confronti
delle autorità che durerà per lungo tempo. Il conseguente
senso di rimpianto e di sfiducia è difficile da dissipare mediante
il dialogo.
Ad esempio, gli
epidemiologi sostengono che i casi di cancro non possono essere sorti
in soli 10 anni a causa dell’industria petrolifera. I sociologi affermano
che buona parte del sud Italia vive il fenomeno dell’emigrazione.
Giovanni Figliuolo,
docente dell’università della Basilicata, ha rivelato che un’accurata
ricerca sulla biodiversità condotta sulle attività di
Eni ha concluso che l’impatto sulle zone circostanti è stato
minimo e che è persino possibile che l’industria dell’energia,
con le tecnologie adeguate, abbia un impatto positivo sulla biodiversità
della Basilicata.
Alla domanda se
le ricchezze derivanti dal petrolio siano una benedizione o, come molti
affermano, una maledizione, Vito De Filippo, governatore di centro-sinistra
della Basilicata che ha appoggiato i progetti di espansione dell’attività
petrolifera, ha risposto: "Definirle una maledizione è esagerato.
La Basilicata ha dovuto farlo per il bene del paese ma i guadagni e
lo sviluppo economico non sono stati quelli che ci aspettavamo."
Intanto una nuova
minaccia per questo idillio rurale si profila sotto forma di un progetto
per una discarica per le scorie nucleari, necessaria a rilanciare l’industria
nucleare italiana. L’intenzione di Roma di privare le regioni della
possibilità di veto ne faciliterebbe il processo.
"Sarebbe un
atto di guerra" dice De Filippo "dovrebbero farlo usando le
armi."