giovedì 21 Novembre 2024

il montese Liborio Dichio del Liceo Scientifico di Matera vince il 1° premio nazionale

Grandissima soddisfazione per il Liceo Scientifico “Dante Alighieri” di Matera. Lo studente Liborio Dichio, che frequenta il quarto anno di studi, ha vinto uno dei contest organizzati da “Repubblica” per avvicinare i ragazzi italiani al mondo del giornalismo. Il giovane studente della 4aB, esortato dalle docenti Surdo e Zamparelli, ha partecipato alla gara con un testo che racconta del suo legame con la natura e, inevitabilmente, con la sua terra d’origine.
L’obiettivo del contest è stato pienamente centrato dallo studente, che si è dichiarato molto soddisfatto del risultato ottenuto, non soltanto per un’emozione personale, ma soprattutto per aver riportato la nostra piccola realtà, molto spesso dimenticata, al centro dell’Italia.
Tra i testi di più di 1500 istituti italiani, il suo è riuscito a primeggiare soprattutto per la capacità di descrivere i fantastici paesaggi che circondano quotidianamente la nostra vita, ma anche per il lessico utilizzato, spesso molto vicino al dialetto della sua città natale, Montescaglioso.
Appena appresa la notizia del risultato della gara, il dirigente scolastico Marialuisa Sabino ha voluto congratularsi personalmente con il giovane studente montese, ringraziando anche il resto della classe per aver supportato dal primo momento il loro compagno.
In questo periodo di grande crisi per l’Italia intera, una bella notizia per l’istituto, ma anche per la nostra comunità lucana.

 

L’Aratro

Lucania. Colline brulle e morbide che si rincorrono come in un’eterna danza d’amore per poi accasciarsi docilmente sulla tiepida linea d’orizzonte. Lucania. Terra scura e soffice, memore dell’instancabile fatica di umili contadini. Lucania, orgogliosamente figlio del tuo fecondo ventre.
Chiedermi di descrivere una giornata immerso nella natura corrisponde a chiedermi di comporre un’ode alla mia terra, un’ode alla mia famiglia, un’ode alla mia quotidianità.
Luglio 2003, due mesi compiuti, faccio il mio ingresso ne “a terr’ d’ famigh” (il dialettismo è d’obbligo) e, in quell’attimo di vita congelato da uno scatto fotografico, sono rapito dalla calda luce del sole che accarezza delicatamente il mio volto. Un sorriso sboccia tra le mie labbra e raggiungo una felicità mai più contemplabile.
La dura corteccia dell’ulivo che sfiora il mio palmo nudo, così spoglio da avvertire tutta la sua rugosa superficie solcata dall’aratro del tempo, la foglia dell’arancio fresca al tatto che accoglie la rugiada mattutina, gli steli ricolmi di spine che incidono la tenera pelle lasciando fiere ferite di battaglia…
La campagna, evocatrice sublime di atmosfere oniriche, mondo di infinite corrispondenze, è al contempo terreno di azione nel quale la terra è la regina madre di un ecosistema complesso che si muove secondo ritmi risaputi e mai conosciuti.
Mi soffermo spesso a pensare alla vita dei miei nonni, fatta di lavoro nei campi, soddisfazioni e perdite, letizia e dispiacere. Salvare la loro terra è un imperativo, ma come?
Semplice, la natura si salva unicamente rispettandola, esulando dalla quotidiana retorica ormai divenuta sterile. Il rispetto coincide con la passione e l’amore dei pochi che ancora sono rimasti legati al profumo della sua terra, ai suoi colori e ai suoi inestimabili frutti.
Il contadino che prova ancora a far forza sulla sua robusta zappa per dissodare un terreno ormai arso dall’ignavia umana, il suo volto, parimenti arso dal sole, è testimone della smisurata tenacia di un uomo ormai rimasto l’ultimo baluardo di umanità su una Terra che ha smesso di appartenerci.
L’agricoltura, quella sincera, è a mio parere il fondamento della nostra società dal momento che essa corrisponde alla somma arte umana racchiudendo in se un non so che di matematico e un non meglio specificato di poetico.
L’aratro che affonda inesorabile nel terreno rivoltando dalle sue profondità soffice terreno ricco e novello dinanzi alla luce solare, è come un abbraccio viscerale che estrae dall’ interiorità la tua faccia nascosta, la più pura e sincera.
Un giorno un possente vomere ha smosso dal mio sottosuolo una preziosa verità: siamo tutti figli della terra.
Sono figlio della terra…


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