andate a vederlo vi divertirete e rifletterete senz’altro:
DEL FILM SI DICE:
Marta é una giovane neolaureata speranzosa e vogliosa di iniziare il suo inserimento nel mondo del lavoro. Trova così un posto presso un call center, pieno di giovani come lei ed anche se tutto é così lontano da quell’ambiente accademico che, con tanta fatica e perseveranza, ha invano rincorso, riesce persino a trarne un iniziale giovamento. Tutto sembra andare secondo i suoi piani, ma ben presto si renderà conto che i suoi progetti e le sue speranze saranno disilluse dalla cruda realtà che si cela dietro un apparente ambiente dinamico che nasconde invece i lati oscuri del lavoro precario.
Sempre attento a registrare e riportare i cambiamenti della vita sociale del Paese, Paolo Virzì è forse l’unico nostro regista capace di rielaborare, a suo modo e con intelligenza, la troppe volte evocata a sproposito commedia all’italiana. Ciò che emerge dai suoi film è sempre una riflessione su ciò che siamo diventati o che stiamo diventando, è il mondo che viviamo o che ci circonda da molto vicino.
Anche la peggiore delle situazioni, come quella qui raccontata di una ragazza intelligente e laureata costretta, come tante altre, a lavorare in un call center perché quella è l’unica occupazione che le si offre, viene stemperata con quel tono ironico (e qui anche grottesco) che riesce nell’impresa di intrattenere (le circa due ore filano via alla grande) e allo stesso tempo a gettare una forte malinconia (perché fondata sulla realtà e non su un espediente narrativo).
Non è un caso se in un momento del film si riveda un frammento di quel “C’eravamo tanto amati” che ricostruiva il ritratto di una generazione, quella che dopo la guerra pensava che tutto sarebbe stato possibile. “Volevamo cambiare il mondo, ma il mondo ha cambiato noi” diceva l’ex professore Nicola Palumbo. La generazione di oggi forse un ideale neanche lo ha mai avuto, il sistema e il pensiero attuale hanno fatto sì che in pochi pensino che la solidarietà e l’unione siano in grado di fare la forza. Non solo le colleghe di Marta, la protagonista, non ascoltano e non si rivolgono al sindacalista interpretato da Mastrandrea, ma quest’ultimo stesso rappresenta un personaggio contraddittorio e non così efficace, attento forse anche lui più alla notizia che al radicamento del problema.
L’occhio senza pregiudizi di Marta diventa così l’espediente per scandagliare un universo di tipi umani sempre più reali. Non c’è condanna in Virzì neanche per chi non sta all’ultimo gradino della scala gerarchica: i capi sono personaggi altrettanto tragici e miseri nella loro vita da reality.
L’ossessione per essere dei numeri uno, la prostituzione del corpo (come accade al personaggio di Sonia) e quella del cervello (Marta, che non a caso è la migliore del suo turno), la meschinità con cui aziende che cercano di vendere per telefono cercano di farsi ricevere a casa puntando sulla bontà di cuore di persone per lo più anziane preoccupate del mondo che stanno lasciando: “se riceverà un nostro incaricato aiuterà noi giovani che lavoriamo qui al call center e che veniamo pagati ad appuntamento”.
Sono tanti gli spunti veri (per chi non lo sapesse, in quei luoghi davvero c’è la musica prima di iniziare la giornata, così come sono realistici tanti altri momenti) e quando Virzì e il suo fidato co-sceneggiatore Francesco Bruni decidono di andare un pò oltre e cavalcare quell’aspetto grottesco sopra citato, lo fanno con mestiere e buon gusto, senza risultare ridicoli. Dietro quella che potrebbe sembrare ogni tanto una forzatura (l’omicidio in ufficio o la videochiamata sulle tette), c’è sempre un elemento di riflessione da far passare o un ballo da insegnare perché si cominci a capire quale sia il ritmo di questa vita che il titolo del film dice essere davanti, mentre il film stesso puntualizza essere sì davanti, ma chiusa.
Perfetto tutto il cast, capitanato dalla quasi esordiente Isabella Ragonese. La sua bellezza non appariscente, il suo sguardo non giudicante, ma comunque deciso e attento, buca lo schermo. Massimo Ghini e Sabrina Ferilli ritrovano assieme Virzì dopo Ferie d’Agosto, e danno il loro contributo in ruoli non principali, ma comunque importanti. Intenso Elio Germano, sempre bravo Mastrandrea, bella e ben inserita nella parte della ragazza superficiale, ma dall’animo tragico, Micaela Ramazzotti. Virzì sceglie bene le sue facce per quello che forse è il suo miglior film.
Film da vedere. Non per sorridere, non per riflettere. Ma per prendere atto di come la precarietà sia più che una condizione lavorativa, una condizione esistenziale.
“Tutta la vita davanti” potrebbe suonare come qualcosa di positivo, un messaggio di speranza, di futuro, di una vita a disposizione. Ma la pellicola dimostra che non è sempre così. Il trailer la presenta come una commedia agrodolce, ma esilirante, una sorta di “sdrammatizzazione” del precariato, a metà strada tra sindrome di Peter Pan e ricerca di una propria identità. Quello che trasmette, in realtà, è un acuto senso di malinconia, che rimane dentro ben oltre i titoli di coda.
Il film ti prende dall’inizio, soprattutto se, come Marta, a laurea conseguita con il massimo dei voti e lode, devi prendere in mano la tua vita e decidere cosa farne.
Cominci a cercare qualcosa che dia sostanza agli anni passati sui libri, ma ti ritrovi a doverti accontentare di 400 euro mensili per un contratto a progetto in un call center che propina a sventurati clienti un’inutile elettrodomestico di dubbia funzionalità. E tutto mentre i tuoi colleghi universitari, che hanno abbandonato a metà la strada verso l’ambita pergamena, sono strapagati autori televisivi di reality, editori o giornalisti di cronaca rosa.
Davvero spietato lo sguardo di Virzì, che riserva compassione solo alla piccola Lara ed all’anziana signora Franca, entrambe accomunate da un’ingenua fiducia nel prossimo non sempre ben ripagata. Nessuna pietà per la fragile e leggera Sonia (affettusoa ragazza madre sempre troppo frivola), nè per la Crudelia de’ noantri (Sabrina Ferrilli nei panni dell’ambiziosa e odiata Team Leader), nè per il sindacalista Mastandrea (inconcludente sia nel lavoro che nella vita affettiva), nè per l’indeciso Roberto, eterno fidanzato/bamboccione di Marta, nè forse per la stessa Marta, dall’animo sensibile, ma che paradossalmente diventa la migliore operatrice, grazie alla geniale trovata di circuire i clienti, fingendo di conoscerne luoghi ed abitudini o di avere parenti o amici in comune con loro.
Degni di nota il manifesto disprezzo verso la tv spazzatura di GF e reality, che Marta mette addirittura in rapporto ad Heidegger in una sua pubblicazione per l’Oxford Journal of Philosophy, e l’agonia di una madre malata terminale di tumore, alleviata da qualche tiro di spinello.
Qualcuno ha parlato della migliore opera di Virzì. Io – ahimè – non conosco bene questo regista, ma dopo aver visto questo film, non posso che fidarmi.