Natale, Solstizio d’inverno,
Rinascita del Sole o Capodanno?
Pietro Andrisani
e-mail: pandrisani@libero.it
Fino ad alcuni anni fa il noto detto Natale con i tuoi si traduceva sistematicamente in fatti: ci si riuniva tra parenti nelle case paterne o dei nonni o, comunque, in quelle più centrali ed ospitali dei consanguinei. Si trascorrevano ore liete degustando piatti e leccornie del luogo propri di quella festa tra colorite narrazioni di reminiscenze domestiche. Davanti al presepe, avveniva il rituale scambio di doni e dei consueti auguri intonando tradizionali pastorali e nonne[1] tramandati, per imitazione, da chissà quante generazioni. Infine, intorno ad uno o più tavoli, il parentado giocava a carte o a tombola; snocciolando frutta secca, degustava vini novelli fra scambi di vedute su fatti di cronaca familiare o di natura politica – questi ultimi argomenti non mettevano d’accordo nessuno – ma anche sulle origini e sul significato del Natale, ritenuto il più ragguardevole evento dell’anno.
La data, si sa, è convenzionale essendo stata scelta all’inizio del IV secolo per contrapporre un novello Natale ai festeggiamenti dei Romani che allora, con un cerimoniale assai suggestivo e misteriosofico, celebravano ancora la nascita del dio Mithra, identificata col Solstizio d’inverno ovvero, La Rinascita del Sole (νεα γηενεσισ)[2]. Studiosi del ramo sostengono che vi è una diretta connessione tra il dio Mithra e l’aureola d’oro posta sul capo del Bambino Gesù in quanto essa sta a simboleggiare la rinascita del Sole dell’anno nuovo, il solstizio d’inverno[3].
Anche la liturgia cattolica romana, fino al Concilio Vaticano II, la notte di Natale ricordava[4] il mistero dell’incarnazione di Gesù con un sontuoso cerimoniale ricco di solenni canti gregoriani e di inni sacri non liturgici d’intonazione prevalentemente agreste. Il rito prevedeva la celebrazione di tre Messe: la prima a mezzanotte, la seconda all’aurora ed al mattino, la terza. Quest’ultima rappresentava una liturgia speciale perché composta per la martire Sant’Anastàsia (dama romana di origine greca morta nel 304), ed intesa come offerta sacrificale che prometteva resurrezione, per assonanza col vocabolo anàstasis (αναστασις) che vuol dire, appunto, rinascita, redenzione.
Dal 336, data ufficiale del primo Natale cristiano, per lunghissimo tempo, rispettabili teologi hanno sostenuto che il 25 dicembre, giorno della redenzione (αναστασις) per il distacco di Cristo dall’organo materno, si doveva identificare come il primo dell’era cristiana e dell’anno.
Altri, interpretando in diverso modo il primo emistichio del quattordicesimo versetto del Vangelo giovanneo, Verbum caro factum est[5] decisero di ribaltare la prima verità affermando che il Verbo si era fatto carne non al momento del distacco di Cristo dal seno materno ma esattamente nove mesi prima, quando il Padreterno, mediante l’Angelo Gabriele, riponeva il seme del cristianesimo nel vergineo seno di Maria.
A cominciare dal 25 dicembre, facendo un computo fisiologico e, quindi un conto cronologico a ritroso, si deduce che i nove mesi di gestazione di Maria sempre Vergine hanno inizio il 25 di marzo, giorno dell’Annunziazione[6].
Così nel Medioevo e per tutto il Rinascimento si vennero a formare due stili di calendario adottati addirittura contemporaneamente nella stessa regione. Ad esempio in Toscana Firenze cominciava l’anno il 25 dicembre mentre i Pisani lo facevano iniziare il giorno dell’Annunziata.
Una terza verità sorse quando altri teologi, argomentando sull’origine ebraica di Cristo, sostennero che il vero inizio dell’anno era il primo gennaio, giorno della Circoncisione di Gesù. Va ricordato che per i Semiti la circoncisione non è solo la recisione del prepuzio praticata come trattamento della fimosi ma una sorta di sacramento, una iniziazione che avviene otto giorni dopo la nascita e che traghetta il neonato dal limbo nel mondo delle virtù e della sapienza. (Circa venti anni fa – non si è capito per quali necessità, forse per prendere le distanze dai Semiti – Giovanni Paolo II ha abolito nel sanctoriale cattolico la quasi bimillenaria festa religiosa della Circoncisione per porvi, in quella data (1° gennaio), il nome di Maria madre di Dio, ingolfandovi il già folto catalogo dei giorni celebrativi dedicato a tale santa).
Qui sorsero teorie assai discordanti che diedero la stura a violenti scontri verbali, e non solo. Bisognava proprio accettare una redenzione che cominciava dal giorno in cui il Verbo si era fatto carne? coloro che non avevano ricevuto la rivelazione perché già morti, anche se saggi e giusti, non avrebbero mai potuto ottenere il passo per il Paradiso: per essi l’unica soglia varcante per l’aldilà cattolico-cristiano restava quella che conduceva al Limbo.
Quindi, prima che il Cristo fosse stato concepito o staccato dal seno materno o circonciso la redenzione non poteva operare.
Allora, da quando opera la redenzione?
Dal momento in cui il Cristo, dopo tre giorni dalla morte, risuscita e sale al cielo!
Così decidono i teologi della terra di Carlo Magno.
Per quei Transalpini la rededenzione ha inizio con la Pasqua di Resurrezione!
(Con questi quattro motivi si ebbero contemporaneamente quattro stili dissimili di verità; poi diventarono cinque, cinque verità supposte; cinque verità velanti una loro verità vitale? Qui mi collego ad una affermazione di un vegliardo artista giramondo di origine lucana, Marino di Teana quando sentenza: La vera verità è la non verità!)
Dunque quei Francesi, ligi al principio teologico della Resurrezione di Cristo, concepiscono come vero simbolo della Redenzione, della rigenerazione e del riscatto dell’uomo non il Natale o l’Annunziata o la Circoncisione ma la Pasqua di Resurrezione.
E la Pasqua di Resurrezione si elessero a primo giorno dell’anno.
Nel 1266, dopo aver sconfitti i ghibellini svevi, Carlo I d’Angiò, nonno paterno di Beatrice del Balzo, futura contessa di Montescaglioso, forte e fiero del sostegno di Beatrice Berlinghieri e di papa Clemente IV, introdusse nel Regno di Napoli il calendario gallicano che prevedeva un Capodanno coincidente col giorno di Pasqua. Si può immaginare quanto breve fosse stata la vita di questa regola nel Mezzogiorno d’Italia. Teologia a parte, era impossibile accettare di operare e produrre senza scosse e disagi organizzativi, nonché negative ripecussioni economiche in un epoca che esprime un anno di undici mesi ed un altro di tredici; uno di 330 giorni e l’altro di 380.
E’ facile supporre come l’operatore economico, il quale doveva necessariamente compiere atti giuridici e computare il tempo, accettasse malvolentieri una partizione cronografica tanto disagevole del tempo. Nel 1266, primo anno della dominazione napolatana da parte angioina, la Pasqua-Capodanno cade il 28 di marzo, il 17 aprile nel’67, l’anno dopo l’8 aprile, nel ’69 il 24 di marzo, nel ’70, il 13 aprile, nell’80, il 21 aprile. Dal 22 di marzo al 25 aprile esiste una gamma di trentacinque giorni nei quali, a seconda della posizione della luna, la data della Pasqua può avere uno spostamento di oltre trenta giorni. Perciò, dopo alcuni anni di purgatorio il Capodanno mobile inaugurato dagli Angioini nel Regno di Napoli dovette cedere il campo ad una data di grande suggestione e che coincideva con l’inizio della primavera.
C’era una consuetudine di romana memoria mai completamente sopita, riconducibile alla stagione che invita l’uomo a bearsi davanti alla bellezza della natura che fiorisce ed effonde colori e profumi agresti e puri. Perciò la data dell’Annunciazione in molte località e città ricomincia a tenersi legata alla collaudata tradizione della Roma dei Cesari che aveva, sostanzialmente, raggiunto un equilibrio tra l’inizio meteorologico (1° marzo) e quello astronomico (21 marzo) – l’equinozio di primavera – rimasto in voga in molte zone d’Europa fino al 1583, anno in cui venne messo in opera l’attuale calendario perpetuo giuliano-gregoriano. In tal modo quei Romani ci si attendevano ad abbinare un concetto astronomico con quello teologico poggianti entrambi sulla base dell’antica tradizione romana che considerava marzo il mese della rigenerazione, del sorriso e della prima età, il mese che sprigiona rosee aspettative e le gioie dell’infanzia.
[1] Anticamente le Pastorali di Natale venivano dette anche Ninne nonne od anche semplicemente nonne.
[2] Studiosi del ramo sostengono che l’aureola d’oro raggi la nascita del bambino Gesù è connessa a quella del dio Mithra in quanto l’aureola d’oro
[3] Nel Medioevo la custodia delle porte solstiziali vennero affidate ai due più popolari Giovanni del cristianesimo: all’Evangelista quella d’inverno (21 [27] di dicembre), al Battista quella d’estate (21 [24] di giugno). Nel XVI secolo le date dei due solstizi ebbero una certa fortuna anche nel Regno di Napoli. Federico d’Aragona, genero di Pirro del Balzo e già padrone di Montescaglioso, nel 1496, l’anno in cui sale sul trono di quel Regno, inaugura la moda che voleva che i sindaci di Napoli venissero eletti alternativamente il giorno di Giovanni d’inverno (27 dicembre) e il giorno di Giovanni d’estate (24 giugno). Anche i presidenti delle Accademie napoletane, verso la fine del secolo, venivano insediati nei giorni solstiziali.
[5]Il rito del Natale cristiano ha inizio con l’apertura del quarto Vangelo alla pagina nella quale Giovanni intona il canto che conduce direttamente al messaggio dell’Arcangelo Gabriele a Maria Vergine per annunciarle il mistero dell’incarnazione di Gesù:
Verbum caro factum est
et habitavit in nobis:
Et vidimus gloriam éius
gloriam quasi Unigéniti ad Patre
plénum gratæ et veritatis.
(E il verbo si è fatto carne / ed abita in mezzo a noi / e noi contempliamo la sua gloria / gloria come di Unigenito del Padre / pieno di grazia e di verità). Verbum caro factum est indicato come responsorio da modulare nell’8° modo gregoriano il giorno di Natale, dopo la lectio VIII, grazie ad una affermazione fatta da papa Benedetto XVI nell’agosto u.s., probabilmente verrà reintegrato nei riti celebranti il Natale di Cristo.
[6] Come molti sanno i nove mesi di gestazione della madre di Gesù vengono simboleggiati nei rituali mattutini da noi conosciuti come nove lampe (nove lampade) celebrati allo spuntare dell’alba dei nove giorni che precedono il Natale, appunto.