Del suo ultimo film, “Un’altra giovinezza”, Francis Ford Coppola ha detto: “mi trovo a fare da vecchio quello che volevo fare da giovane”.
Il che è come dire: da giovani non si può fare ciò che si vuole, ciò che dà da vivere è una cosa diversa da ciò che piacerebbe fare, la libertà va conquistata, ecc.
Se lo dice lui sarà vero; il solito populista si chiederà cosa dovrebbe dire allora chi fa lavori leggermente più banali di quello del regista.
Superato il dispetto che si può provare per una simile affermazione, va detto che il ritorno dell’autore de “Il padrino” nelle sale è, comunque, un grande ritorno.
Credo che la trama sia già conosciuta da molti: un vecchio professore di lingue antiche che nei momenti di più disperata solitudine medita il suicidio è colpito da un fulmine nel corso di un temporale. La scarica elettrica gli provoca, oltre a un miracoloso generale ringiovanimento, uno straordinario potenziamento delle facoltà intellettuali che userà per approfondire, sempre più indietro nel tempo, la conoscenza degli antichi linguaggi.
La dedizione totale allo studio gli era costato da giovane l’allontanamento della donna amata. Nella seconda giovinezza ne incontra la reincarnazione, Veronica, anche lei miracolosamente scampata alla morte per folgorazione e soggetta a trances che la portano a parlare in sanscrito, sumerico e via scendendo sulla scala del tempo.
Presentati cosi, questi colpi di scena fanno pensare più a un feuilleton che a un capolavoro, eppure qualcosa del capolavoro in questo film c’è. Forse il dionisiaco, a Bernalda direbbero sanguigno, Ford Coppola, da eterno adolescente ha qui voluto dire troppe cose tutte insieme e il racconto ha perduto in fluidità e limpidezza, ma alcuni temi sono chiari: lo smarrimento dell’uomo davanti al proprio oscillante pensiero e quindi la creazione fantastica di un doppio da sè, la brevità della vita rispetto al tempo necessario a realizzare le conoscenze, lo studio dei linguaggi come immersione nella preistoria e codice di accesso al futuro, l’impossibilità di vivere con chi si ama.
I riferimenti culturali, proprio da scuole alte, sono allo storico delle religioni Mircea Eliade – da un cui romanzo il film è liberamente tratto – e al suo ispiratore, l’ultimo Carl Gustav Jung passato dalla psicanalasi classica a studi esoterici e, soprattutto per il tema del doppio, al romanziere Joseph Conrad.
Un film da vedere, non fosse altro che per la straordinaria fotografia, almeno una volta. E da rivedere una seconda, suggerisce l’autore, per cominciare ad apprezzarlo.
Con i classici succede che una sola lettura non basti.
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