Piero Sansonetti Oggi è l’anniversario della morte di Ernesto “Che” Guevara. Lo hanno ucciso quarant’anni fa, in circostanze non ancora chiarissime, i militari boliviani. Lo catturarono in combattimento, poi lo assassinarono. Che Guevara ha perduto moltissime battaglie nella sua vita. Ne ha anche vinte alcune importantissime, di sicuro, come la rivoluzione cubana. Però non si è mai dichiarato soddisfatto, né delle sconfitte né delle vittorie. Che Guevara passa alla storia come uomo d’azione, e invece è stato un grande per le sue capacità di pensiero, di giudizio, di scelta, per le sue straordinarie doti di critico e i suoi dubbi, i suoi ripensamenti. Per noi ragazzi di allora la morte di Guevara rappresentò molte cose. Noi non sapevamo di essere alla vigilia del devastante sessantotto. La morte del Che fu un pugno nello stomaco – come dice una bellissima canzone di Francesco Guccini – un avvertimento, una specie di premonizione di quanto sarebbe stata dura e cupa la lotta nella quale ci imbarcavamo. Però fu anche un grande stimolo, Che Guevara diventò subito il simbolo della capacità di sacrifico, della superiorità delle idee e della passione politica su tutto il resto, persino sulla stessa vita. Ieri alla marcia per la pace tra Perugia e Assisi ho incontrato moltissimi ragazzi che portavano la bandiera della pace e la maglietta di Che Guevara. Come si spiega? Come è possibile che quarant’anni dopo la sua morte, Guevara sia un simbolo ancora così forte per le generazioni giovani – non solo per noi più o meno sessantenni – e sia un esempio positivo per chi crede nella pace, nella nonviolenza, lui che aveva il mitra e la pistola, lui che diceva di volere creare “1000 Vietnam”, cioè di voler portare la guerriglia in tutto il mondo? Io credo che questo avvenga per un motivo semplicissimo. Che Guevara, tra i tanti leader del secolo scorso, del novecento, è l’unico che ha saputo salire e ridiscendere la montagna del potere. Guevara ha fatto una rivoluzione – da leader, da protagonista politico e militare – ha gestito per alcuni anni il potere rivoluzionario, e poi ha deciso, lucidamente, che la via era un’altra. Ha abbandonato Cuba, il suo posto da ministro, da vice-Castro, è andato a combattere in Africa e poi in altri paesi dell’America Latina, ha continuato a pensare e a scrivere testi pubblici e privati di critica del capitalismo, dell’imperialismo, ma anche di critica del socialismo reale e in particolare di critica del potere. Non ci sono altri esempi di questo percorso. La battaglia rivoluzionaria del novecento è tutta nello stesso solco: cambiano le pratiche, le tattiche, i metodi, le idee, ma resta fermo l’obiettivo della presa “del palazzo d’inverno”, la convinzione – leninista e socialdemocratica – che la conquista del potere di Stato è il passaggio obbligato e sufficiente per ogni lotta di liberazione e ogni prospettiva socialista. Che Guevara ha sperimentato fino in fondo questo cammino, ha calpestato tutti i sentieri della conquista del potere, e poi ha esercitato lui stesso questo potere, e ha visto esercitarlo, e alla fine ha decretato che la grandezza della rivoluzione non è nella presa del potere né nel suo esercizio, ma è nella critica del potere, dei suoi metodi, della sua sostanza, del suo valore oppressivo. E’ questo a rendere del tutto speciale Ernesto “Che” Guevara, a fare di lui un leader che non ha eguali nella storia recente. E’ per questo che ancora oggi lo amiamo, e lo amano tanti giovani che – a differenza da come eravamo noi 40 anni fa – ripudiano la lotta armata, la guerriglia, hanno scelto il pacifismo, credono nella nonviolenza. Non si metterebbero mai una maglietta con l’effige di uno dei tanti leader socialisti e comunisti del novecento, mettono quella del Che perché sentono di avere tante cose in comune con lui. Che Guevara non è mai stato ammirato da nessuno perché imbracciava bene il mitra, perché era un genio militare. Non lo era. E’ stato ammirato per la sua capacità di ricominciare sempre da capo, di ripensare, di ricostruire la lotta, di rovesciare tutte le gerarchie. Nel quarantesimo della sua morte noi dedicheremo un fascicolo di 64 pagine a colori a Che Guevara, con un lungo saggio di Paco Ignacio Taibo II, una biografia di Aldo Garzia, e articoli dei nostri giornalisti e collaboratori. Sarà in vendita con Liberazione sabato 27 ottobre insieme al film “I Diari della Motocicletta”.
|
Affascinante la figura del Che, grande personaggio…senza dubbi! Rimane il fatto che indossare le sue magliette mentre si inneggia alla pace è un’incoerenza enorme.
Concordo con Ciffo. Io ammiro il Mahatma Gandhi, forse l’unico vero rivoluzionario della storia moderna. Peccato non vedere la sua effigie sulle magliette dei ragazzi.
è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago…
Certo incoerente inneggiare alla pace parlando del CHE, la sua è stata una rivoluzione armata.. Non concordo con Cammello, semplicemente per il fatto ke Gandhi e il Che, sono due fenomeni diversi, due contesti diversi non paragonabili, l’ India di Gandhi era ormai un terreno fertile all’abbandono degli inglesi, la Cuba di Guevara poteva cambiare solo con un forte scossone (come la nostra italia???) .. Diversa un occupazioone straniera (india) da un governo interno (cuba), diversi i modi di rivoluzione, ad ogni malattia la sua medicina.
E poi Guevara incarnva l’ideale dell’eroe romantico ottocentesco, alla Lord Byron se vogliamo, per questo è stato assunto a modello nelle rivoluzioni del ’68.
Oggi credo che la sua figura abbia subito la sorte di quasi tutte le icone, ovvero la mercificazione della sua immagine, assunta a status symbol più che a vero personaggio storico, guardate il logo di questo reality di moda americano davvero “rivoluzionario” http://soapnet.go.com/shows/fashionista/
Non è qeusto uno svuotare un immagine del suo significato???
ramingo errante
Non riesco a controbattere sulla situazione indiana del periodo di Gandhi. Certo che quello che è stato ottenuto è comunque costato un sacco di vite umane da parte della popolazione civile senza che ci siano state reazioni di massa.
Potrei comunque portare l’esempio di Martin Luther King il quale democraticamente e con spirito gandiano ha condotto e contribuito in modo fondamentale ad ottenere una grande vittoria di civiltà e di libertà per l’intero popolo statunitense. Guarda caso non figura tra le icone di quella gioventù pseudo-pacifista che porta in processione il marchio del che.
è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago…
Sono daccordo a quanto dice sia Cinzia, ma cè un pikkolo ma, sembra che dai vostri discorsi oggi non ci sia più nessuna speranza nelle manifestazioni popolari, sembra ke ogni lotta sia vano esibizionismo, si sventola il Che si sventola Cgil, si sventolano bandiere di partiti, questa generalizzazione però no può far altro che sminuire il lavoro di chi, magari stupidamente, ha ancora qualche ideale, ci crede e coinvolge anche chi non ha un pensiero forte e manifesta perkè è COOL (anche con cellulare in tasca e jeans da 120 euro)!
Oggi è vero che si lotta con la pancia piena, ma sembra, da quanto dite voi, che questo non possa produrre nessun cambiamento, ma magari un pò tutti si mettessero a manifestare insieme ai ragazzetti figli del 68…
E poi vi ricordo che dei ragazzi francesi (con la pancia piena, i cellulari, e le magliette del Che da 120 euro) sono riusciti a far annullare un procedimento di legge sul precariato, questo solo due anni fà!!!
Altro discorso è quello sugli ex sessantottini che oggi guidano mercedes, fanno i capitalisti e si sono inborghesiti, su questo CInzia, trovi il mio più totale appoggio!!
ramingo errante
LomFrAnz, lungi da me qualsiasi intento di sminuire l’attività e la convinzione di tanti che attraverso manifestazioni e bandiere portano avanti battaglie più che legittime. Anzi…
Citando proprio l’esempio che tu hai fatto, perchè in Francia i “bamboccioni” (quanto mi piace Padoa-Schioppa, almeno quanto pagare le tasse!!!) sono riusciti a far abrogare un procedimento di legge sul precariato e qui in Italia il precariato sembra essere la nostra condizione di vita perenne? Forse – in parte, è logico – perchè la convinzione di tanti manifestanti non è la convinzione di tutti.
E poi come potrei mai dare degli sciocchi viziati a quei coraggiosi ragazzi di Catanzaro che ogni giorno fanno sentire la propria voce?
Il mio discorso è limitato solo a certi esempi di giovani impegnati politicamente e socialmente, i soliti “figli di papà”, alimentati da ideali un sacco belli, ma un sacco vuoti.
Ciao
Cinzia
su questo siamo d’accordo.. ottimo il tuo kiariemento, sò ke il tuo intento non era quello, ma tutte le volte che si generalizza un fenomeno complesso si corre il rischio di fare di tutta l’erba un fascio !
Chiaro che quello dei finti ideali è un fenomeno, spero molto limitato, ma cmq esistente…
ramingo errante
Sono sicura che mi attirerò le ire di tutti quelli che, almeno una volta nella vita, hanno indossato o sventolato (o lo faranno in futuro) una maglietta o una bandiera con l’effigie del Che. Non me ne voglia Tonino, cui ogni occasione è buona per rinnovare la mia stima ed il mio apprezzamento.
E’ inutile premettere che il discorso non vuole essere una generalizzazione; quindi chi si sentirà toccato, in qualche modo darà conferma che le cose stanno proprio così – ahimè! Certe forme di ipocrisia, però, sono talmente palesi che non si può tollerare che vengano spacciate per ideali politici che ispirano le masse.
A mio parere, la realtà è molto più triste, molto meno romantica di quello che l'”ingenuo” Sansonetti dipinge. A parte l’incoerenza tra la figura (certamente eroica) del Che e l’antitetico concetto di pacifismo, chi oggi indossa orgoglioso quella maglietta rossa, molto spesso non sa neanche perchè lo fa; non conosce fino in fondo il senso di questa pratica quasi votiva nei confronti del Che, se non per le frasi fatte che qualche “reduce” delle generazioni passate gli mette in bocca per alimentare un mito che vive oggi in un’accezione totalmente distorta e opportunistica.
Chi indossa quella maglietta oggi, molto spesso la abbina ad un paio di finto-trasandati jeans da 120 euro al paio (che siano Diesel, Gas, o i brand più in voga), ad un costoso paio di Puma ai piedi (che molto probabilmente sono state prodotte sfruttando i bambini del Vietnam di cui il Che si augurava altri 1000), ad un telefono cellulare di ultimissima generazione di cui l’orgoglioso paparino (di solito avviato professionista dal vergognoso 740 che svolge la professione di medico, ingegnere, avvocato) gli ha fatto dono.
Chi indossa quella maglietta non sa neanche cosa vuol dire “lotta” perchè l’unica forma che ne conosce è trovare il pretesto giusto per marinare la scuola il sabato o urlare slogan pre-confezionati contro il Sistema… quale Sistema, poi?
La situazione è ancora più triste se si guarda a quegli ex-sessantottini che nostalgicamente si perdono nei ricordi di tante occupazioni, tante battaglie, tanti spinelli condivisi. Cosa ne è stato? Cosa sono diventati oggi? Le creature più irritanti, figlie di quel processo di imborghesimento totale che ha fatto di tanti coraggiosi militanti, degli ipocriti benpensanti, adepti del dio denaro che fino a qualche decennio fa rifuggivano con ribrezzo.
Oggi i “reduci” occupano poltrone più o meno prestigiose, guidano auto più o meno lussuose, crescono figli più o meno viziati, dividono il mondo in categorie più o meno distinte (collocandosi in quelle più agiate, ovviamente), dirigono aziende da veri capitalisti, completamente immemori di quando si battevano per la classe operaia, canticchiano Bob Dylan o Joan Baez, rileggono malinconici gli scrittori beat, ma poi hanno la tessera punti della Tamoil, il sabato pomeriggio accompagnano le mogli al Carrefour e passano le vacanze nella multiproprietà di Cervinia. Vanno al cinema a vedere solo “certi” film d’autore, ascoltano solo “certi” generi musicali, leggono solo “certi” giornali. Votano a sinistra.
L’uomo nasce libero, ma muore borghese. Chi era? Rousseau? Beh, poco importa. Chiunque fosse, aveva ragione.
Cosa c’entra Che Guevara, la guerriglia, la lotta contro l’imperialismo e il capitalismo, la rivoluzione con tutto questo? Cosa c’entra la sua figura nelle manifestazioni dei lavoratori, quando lo si fa sfilare di fianco alla bandiera della CGIL, ma a ben vedere, i rappresentanti sindacali – che dovrebbero tutelare gli interessi dei lavoratori – sono i primi a vendersi al “padrone”?
Smettiamola di raccontarci favole. Togliamoci quelle magliette, ammainiamo quelle bandiere. Le rivoluzioni non si fanno a pancia piena, anche se va di moda essere contro.
Cara Cinzia,
dopo mesi e msei di discussioni con te, devo confessarti che con questo post mi hai conquistato per sempre.
Potresti aver detto in passato le più grosse fandonie o potrai dire le più aberranti stronzate in futuro…..ma con questa riflessione hai guadagnato la mia stima for ever. Condivido sino all’ultima virgola le tue parole, io sarei stato anche più offensivo, perchè di “queste new left” non se ne può davvero più.
Sono diventato così intollerante verso questi “ragazzetti” mediocri con il cuore a sinistra e il portafoglio a destra, che tendo ad identificare nel loro atteggiamento l’icona della società che va a rotoli.
Siamo anche in tema con l’attualità: non so se avete letto le polemiche riguardo ai cosiddetti “bamboccioni” di Padoa Schioppa??? Beh, il ministro si riferiva proprio a quella schiera di “figli disastro” partoriti dalle generazioni sensattontine.
W il Che, viva la lotta armata…quella vera, non quella fatta a colpi di magliette replay (non sono ne diesel ne gas cara cinzia, sono di una delle marche giovanili più costose)
cara cinzia, non vedo perchè dovrei volertene, dal momente che se nelle tue parole avessi avuto una macchina fotografica la foto che sarebbe venuta fuori non sarebbe stata più fedele di quello che hai descritto. Anche per tutte le ragioni che tu hai descritto oggi mi sento di gridare ad alta voce viva el che.
ernesto che guevara resta per me l’incarnazione di un modello politico che non cambia le sue idee e non entra in banca come recita una famosa canzone di antonello venditti, è lo spirito perenne non della rivolta fine a se stessa, ma della emancipazione dei popoli attraverso la lotta, qualla armata, ma anche quella combattuta giorno dopo giorno per l’affermazione dei principi più elementari di democrazia e di pace. sembrerà un controsenso, ma nella sua guerra el che ricercava la pace, perchè secondo il suo ideale, non ci potrà essere pace fino a quando ci saranno oppressi e oppressori, sfruttati e sfruttatori, ricchi e poveri.
Ti assicuro cinzia, pur venendo da quel sessantotto non sono entrato in banca, ne guido macchinoni, e il denaro ha per me lo stesso valore che aveva quarant’anni fa, cioè zero, nei confronti di coloro che soffrono e ogni giorno ci chiedono aiuto
di coloro che sono costretti a produrre nike per 2 dollari al giorno per poi essere rivendute a 120 proprio a quei pseudo sessantottini o ai loro figli che ascoltano solo un certo tipo di musica, guardano solo certi film e si definiscono impegnati e votano a sinistra e invece sono più falsi di un dollaro bucato.
per tutto questo, per quello che tu hai scritto, per ciò che ha scritto ciffo e anche corvo, io oggi ti dico ancora di più viva che guevara.
BRAVA CINZIA!!! Ottima veduta ed espressione di pensiero. Hai ampliato un concetto da me espresso, forse in modo brutale, in una nota in merito a De Magistris. Posso solo compiacermi su quanto hai scritto e merito ti da la tua scioltezza di linguaggio.
Il mito di Guevara è ormai merce di quel sistema contro il quale il “ Che “ ha speso la propria vita. Iconografia ridotta a santino e praticamente innocua nei valori intrinseci, condivisibili o meno. La vita di Guevara ed il “ martirio “ in Bolivia sono emblemi del novecento, ma il risultato in termini politici qual è? La mia, personalissima, riflessione. Ritengo le conseguenze di quella fase storico-politica, un grande fallimento che ha causato un pluridecennale rallentamento dell’evoluzione politica di tanti paesi. L’illusione della lotta armata come scorciatoia politica e la fuga in avanti di ristrette avanguardie in tutto il terzo mondo e nell’Europa, ha determinato una risposta militarizzata, specie in Sudamerica, delle grandi oligarchie. Distrutte con facilità i nuclei guerriglieri, la violenza delle dittature si è rivolta verso il vero obiettivo i partiti e le organizzazioni di massa espressione della popolazione povera, i ceti produttivi, gli studenti, della borghesia e della destra liberale e di tanti settori della chiesa cattolica. Il risultato è stata una carneficina e la distruzione delle democrazie nascenti: la terribile vicenda del Cile, Videla ed i desasparecidos argentini. In Europa, l’ubriacatura guerrigliera produce due fenomeni: la nascita dei gruppi armati in paesi come l’Italia la Germania e l’illusione di ampi settori della destra di “ fare come in Argentina “. In Grecia si impone una dittatura militare. In Italia ci provano: le stragi di stato, il tentativo di provocare la risposta armata di massa a sinistra. In Spagna il nazionalismo dell’ETA appare lo strumento con cui avviare un nuovo confronto armato. In questi paesi, però, le organizzazioni politiche di massa riusciranno con una grande mobilitazione popolare a permettere in Spagna la transizione dal franchismo alla democrazia ed in Italia il blocco delle velleità neostaliniste delle Brigate Rosse. La storia non si fa con i “ se “, ma le conseguenze negative di una fase politica (anni sessanta-settanta) in cui si inneggia alla violenza ed alla lotta armata, le viviamo ancora oggi. L’abbattimento delle barriere ideologiche, nocciolo duro del cosiddetto “ compromesso storico “, è ancora uno spazio da conquistare; il rinnovamento delle organizzazioni politiche di massa, partiti, sindacati, etc, è sempre lontano; nella gestione della politica prevalgono ancora ed eslusivamente le appartenenze; persiste la pretesa delle ali estreme degli schieramenti, a destra e sinistra, di essere in ogni caso e a prescindere dai numeri che rappresentano, i detentori delle “ verità assolute“.
Personalmente ritengo che i processi di cambiamento non siano semplici, i tempi non brevissimi ma soprattutto non possono prescindere dai molti. Franco C.