martedì 24 Dicembre 2024

Un po’ di Grecia, di poesia e di musica

Nel 1975 dall’incontro artistico fra due visionari (il poeta cileno Pablo Neruda e il musicista greco Mikis Theodorakis) nacque un’opera, a mio avviso, molto interessante: la versione in musica del poema Canto General.

Consiglio di ascoltare, magari anche solo un pezzettino, il brano di cui al link sotto

 Allego anche il testo di Neruda in italiano e in spagnolo. 

 

I liberatori (Da Canto General, di Pablo Neruda)

Qui viene l’albero, l’albero                                           
della tormenta, l’albero del popolo.
Dalla terra si alzano i suoi eroi
come le foglie per la linfa,
e il vento sbatte il fogliame 
di rumorosa moltitudine, 
finché cade il seme
del pane un’altra volta alla terra.
 
Qui viene l’albero, l’albero
nutrito dai morti spogliati,
morti frustati e feriti,
morti dai volti impossibili,
impalati sopra una lancia,
fatti a pezzi nel rogo,
decapitati dall’ascia,
squartati dai cavalli,
crocefissi in chiesa.
 
Qui viene l’albero, l’albero
le cui radici sono vive,
estrasse salnitro dal martirio,
le sue radici si nutrirono di sangue
e strappò lacrime dal suolo:
le innalzò per i suoi rami,
le distribuì nella sua architettura.
Furono fiori invisibili,
a volte fiori sotterrati
altre volte illuminarono
i loro petali, come pianeti.
 
E l’uomo raccolse nei rami
Le chiocciole indurite,
le consegnò di mano in mano
come magnolie o melograni
e d’un tratto aprirono la terra
e crebbero fino alle stelle.
 
Questo è l’albero,  l’albero dei liberi.
L’albero terra, l’albero nube,
L’albero pane, l’albero freccia,
l’albero pugno, l’albero fuoco.
 
Lo sommerge l’acqua tormentosa
della nostra epoca notturna,
però il suo tronco diritto bilancia
il cerchio del suo dominio.
 
Altre volte, di nuovo cadono
i rami spezzati dalla collera
e una cenere minacciosa

Aquì viene el árbol, el árbol
de la tormenta, el árbol del pueblo.
De la tierra suben sus héroes
como las hojas por la savia,
y el viento estrella los follajes
de muchedumbre rumorosa,
hasta que cae la semilla
del pan otra vez a la tierra.
 
Aquí viene el árbol, el árbol
nutrido por muertos desnudos,
muertos azotados y heridos,
muertos de rostros imposibles,
empalados sobre una lanza,
desmenuzados en la hoguera,
decapitados por el hacha,
descuartizados a caballo,
crucificados en la iglesia.
 
Aquí viene el árbol, el árbol
cuyas raíces están vivas,
sacó salitre del martirio,
sus raíces comieron sangre
y extrajo lágrimas del suelo:
las elevó por sus ramajes,
las repartió en su arquitectura.
Fueron flores invisibles,
a veces, flores enterradas,
otras veces iluminaron
sus pétalos, como planetas.
 
Y el hombre recogió en las ramas
las caracolas endurecidas,
las entregó de mano en mano
como magnolias o granadas
y de pronto, abrieron la tierra,
crecieron hasta las estrellas.
 
Éste es el árbol de los libres.
El árbol tierra, el árbol nube,
el árbol pan, el árbol flecha,
el árbol puño, el árbol fuego.

Lo ahoga el agua tormentosa
de nuestra época nocturna,
pero su mástil balancea
el ruedo de su poderío.
 
Otras veces, de nuevo caen
las ramas rotas por la cólera
y una ceniza amenazante

cubre su antigua majestad:

así pasó desde otros tiempos,
así salió de la agonía
hasta que una mano secreta,
unos brazos innumerables,
el pueblo, guardó los fragmentos,
escondió troncos invariables,
y sus labios eran las hojas
del inmenso árbol repartido,
diseminado en todas partes,
caminando con sus raíces.
Éste es el árbol, el árbol
del pueblo, de todos los pueblos
de la libertad, de la lucha.
 
Asómate a su cabellera:
toca sus rayos renovados:
hunde la mano en las usinas
donde su fruto palpitante
propaga su luz cada día.
Levanta esta tierra en tus manos,
participa de este esplendor,
toma tu pan y tu manzana,
tu corazón y tu caballo
y monta guardia en la frontera,
en el límite de sus hojas.
 
Defiende el fin de sus corolas,
comparte las noches hostiles,
vigila el ciclo de la aurora,
respira la altura estrellada,
sosteniendo el árbol, el árbol
que crece en medio de la tierra.
Aquí me quedo
con palabras y pueblos y caminos

que me esperan de nuevo, y que golpean

con manos consteladas en mi puerta.

 

copre la sua antica maestà:                                                                 
così avvenne da altri tempi,
così venne fuori dall’agonia
finché una mano segreta,
e delle braccia innumerevoli,
il popolo custodì i frammenti,
nascose tronchi immutabili,
e le sue labbra erano le foglie
dell’immenso albero diviso,
disseminato per ogni parte, 
che cammina con le sue radici.
Questo è l’albero, l’albero
del popolo, di tutti i popoli
della libertà, della lotta.
 
Sporgiti dalla sua chioma:
tocca i suoi raggi rinnovati:
affonda la mano nella sua fabbrica
da cui il suo frutto palpitante
propaga ogni giorno la sua luce.
Solleva questa terra nelle tue mani,
partecipa di questo splendore,
prendi il tuo pane e la tua mela,
il tuo cuore e il tuo cavallo 
e monta la guardia alla frontiera
al limitar delle sue foglie.
 
Difendi il confine delle sue corolle,
condividi le notti ostili,
vigila il ciclo dell’aurora,
respira la sommità stellata,
sostenendo l’albero, l’albero
che cresce nel mezzo della terra.
Qui resto con parole e popoli e cammini
Che mi aspettano di nuovo e che battono
Con mani stellate alla mia porta.


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