Nel 1975 dall’incontro artistico fra due visionari (il poeta cileno Pablo Neruda e il musicista greco Mikis Theodorakis) nacque un’opera, a mio avviso, molto interessante: la versione in musica del poema Canto General.
Consiglio di ascoltare, magari anche solo un pezzettino, il brano di cui al link sotto
Allego anche il testo di Neruda in italiano e in spagnolo.
I liberatori (Da Canto General, di Pablo Neruda)
Qui viene l’albero, l’albero
della tormenta, l’albero del popolo.
Dalla terra si alzano i suoi eroi
come le foglie per la linfa,
e il vento sbatte il fogliame
di rumorosa moltitudine,
finché cade il seme
del pane un’altra volta alla terra.
Qui viene l’albero, l’albero
nutrito dai morti spogliati,
morti frustati e feriti,
morti dai volti impossibili,
impalati sopra una lancia,
fatti a pezzi nel rogo,
decapitati dall’ascia,
squartati dai cavalli,
crocefissi in chiesa.
Qui viene l’albero, l’albero
le cui radici sono vive,
estrasse salnitro dal martirio,
le sue radici si nutrirono di sangue
e strappò lacrime dal suolo:
le innalzò per i suoi rami,
le distribuì nella sua architettura.
Furono fiori invisibili,
a volte fiori sotterrati
altre volte illuminarono
i loro petali, come pianeti.
E l’uomo raccolse nei rami
Le chiocciole indurite,
le consegnò di mano in mano
come magnolie o melograni
e d’un tratto aprirono la terra
e crebbero fino alle stelle.
Questo è l’albero, l’albero dei liberi.
L’albero terra, l’albero nube,
L’albero pane, l’albero freccia,
l’albero pugno, l’albero fuoco.
Lo sommerge l’acqua tormentosa
della nostra epoca notturna,
però il suo tronco diritto bilancia
il cerchio del suo dominio.
Altre volte, di nuovo cadono
i rami spezzati dalla collera
e una cenere minacciosa
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copre la sua antica maestà:
così avvenne da altri tempi,
così venne fuori dall’agonia
finché una mano segreta,
e delle braccia innumerevoli,
il popolo custodì i frammenti,
nascose tronchi immutabili,
e le sue labbra erano le foglie
dell’immenso albero diviso,
disseminato per ogni parte,
che cammina con le sue radici.
Questo è l’albero, l’albero
del popolo, di tutti i popoli
della libertà, della lotta.
Sporgiti dalla sua chioma:
tocca i suoi raggi rinnovati:
affonda la mano nella sua fabbrica
da cui il suo frutto palpitante
propaga ogni giorno la sua luce.
Solleva questa terra nelle tue mani,
partecipa di questo splendore,
prendi il tuo pane e la tua mela,
il tuo cuore e il tuo cavallo
e monta la guardia alla frontiera
al limitar delle sue foglie.
Difendi il confine delle sue corolle,
condividi le notti ostili,
vigila il ciclo dell’aurora,
respira la sommità stellata,
sostenendo l’albero, l’albero
che cresce nel mezzo della terra.
Qui resto con parole e popoli e cammini
Che mi aspettano di nuovo e che battono
Con mani stellate alla mia porta.