Il botto del trono fu accussì forti che Montalbano non sulo vinni arrisbigliato scantatizzo di colpo, ma per picca non cadì dal letto per il gran sàvuto che aviva fatto.
Era chiossà di ‘na simanata che chioviva a retini stise, senza un minuto di ‘nterruzioni. Si erano raprute le cataratti e parivano ‘ntinzionate a non chiuirisi cchiù.
Non sulamenti chioviva a Vigàta, ma supra a tutta l’Italia. Al nord c’erano stati straripamenti e allagamenti che avivano fatto danni ‘ncalcolabili e da ‘na poco di paìsi l’abitanti erano stati fatti sfollari. Ma macari nel sud non si sgherzava, sciumare che parivano morte da secoli erano tornate ‘n vita armate da ‘na speci di gana di rivincita e si erano scatinate distruggenno case e tirreni coltivati.
La sira avanti, ‘n tilevisioni, il commissario aviva sintuto a ‘no scinziato diri che tutta l’Italia era a rischio di un gigantisco disastro geologico pirchì non c’era mai stato un governo che si fusse seriamenti occupato del mantenimento del territorio.
‘Nzumma, era come se il propietario di ‘na casa non si fusse mai dato il pinsero di fari arriparari il tetto romputo o le fondamenta lesionate. E po’ s’ammaravigliava e si lamintiava se un jorno la casa finiva per crollarigli ‘n testa.
«Forsi è la giusta fini che nni meritamo» aviva commintato amaro Montalbano.
Così l’inizio dell’ultimo libro di Camilleri