I briganti montesi

Con questa terza parte termina la ricerca sul brigantaggio postunitario. Nel farla mi sono accorto che della questione sapevo poco o niente e sono consapevole nel chiuderla dei difetti che presenta. Ciò che qui propongo sono quindi degli appunti o, meglio, un percorso di ricerca; uno dei tanti possibili e praticabili.
Spero che qualcun altro riprenda il tema; magari su questo stesso sito.
Nello scrivere queste pagine spero almeno di aver reso il senso di addolorato stupore che ho provato scoprendo, man mano che andavo avanti nella lettura dei documenti, la gravità dei limiti del nostro processo di unificazione nazionale.
Ricordarli non deve tuttavia servire, a mio avviso, a sollecitare vittimismo e rivendicazioni fuori tempo, ma se mai ad operare per correggere ciò che attraverso i tempi lunghi della storia ancora pesa sul presente.
Credo e spero inoltre che la conoscenza dettagliata del nostro passato possa favorire la formazione di una forte identità regionale e nazionale. E’ questo un obiettivo importante da raggiungere dal momento che siamo costretti a confrontarci con una realtà sempre più complessa e mondializzata.
La salvaguardia delle specifiche identità locali all’interno del sistema-mondo può realizzarsi solo sapendo bene ciò che siamo stati.
La sociologia ha creato il termine glocalizzazione per indicare l’insieme di elementi globali e locali che influenza la vita di ognuno nel terzo millennio. La parola non è fra le più simpatiche, ma indica bene il fenomeno in cui siamo immersi.
 
Briganti montesi


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9 Commenti

  1. LomFra

    Ho seguito ogni “puntata” della sua ricerca con accanimento e trepidazione, ora che è giunto alla fine, e prima di leggere la conclusione di questo lavoro, mi sento di doverla ringraziare per il suo contributo alla comunità. Finalmente qualcosa di concreto vede prendere vita (e viene diffusa), anche grazie a Montenet. 

    Ed ora, alla lettura…

     

    ramingo errante

  2. Cinzia

    In un post di qualche tempo fa, si parlava di Mille anni che sto qui, libro rivelazione del 2006 della conterranea Mariolina Venezia. Finalmente il libro l’ho letto anch’io.
    Vorrei sapere da te, Cristoforo, cosa ne pensi della ricostruzione storica operata dalla Venezia, in particolare della lettura della vicenda dei briganti che ci da la scrittrice.
    In realtà, mi piacerebbe conoscere la tua opinione sull’opera in generale.
    Grazie
    Cinzia

    1. Cristoforo Magistro

      Rispondo brevemente a Cinzia a proposito del romanzo “Mille anni che sto qui” e mi scuso per il ritardo.
      L’opera è indubbiamente di quelle che si fanno leggere tutto di un fiato. Per lo meno a me è capitato di farlo, ma, a dirla tutta, mi aspettavo di più.
      Ho prestato la mia copia e non sono in grado di farne un’analisi puntuale.
      Ti riporto quindi le mie prime, superficiali, impressioni.
      L’autrice si è onestamente documentata sul piano storico, ma senza entrare nel merito e, per così dire, nelle pieghe critiche delle diverse questioni affrontate. La visione del brigantaggio è abbastanza di maniera, anche se in qualche punto l’autrice fa propria la sensibilità dei briganti. Ad esempio quando riporta con poche variazioni il lamento funebre di Crocco per l’amico Giovanni Coppa: “Cammina Giovannino, Cammina meco all’ultima tua baronia, la tua furtuna è bella ed assi¬curata, non temere più, tutto hai pagato, vi resta solo il debito calla madre antica, viene da essa”.
      In qualche altro si dicono cose non vero: i Lacava non erano baroni.
      Piccole cose; d’altra parte la letteratura non ha il dovere di riportare fatti e particolari sulla base di documenti attendibili e dopo averli controllati e ricontrollati.
      Le mie riserve hanno a che fare con la tenuta letteraria complessiva del romanzo. Nella prima trentina di pagine mi è sembrato di ritrovare la lezione ben assimilata e rielaborata di Garcia Marquez di “Cent’anni di solitudine”, già, per altro, riecheggiata nel titolo. Non male neppure la parte centrale, malgrado un certo affollamento di figure femminili alla Isabel Allende. Non mi è piaciuta invece il finale costruito sui luoghi comuni e il trito e ritrito, fra reducismo e riflusso, sessantottismo.

      Detto questo, spero che tanti altri prodotti culturali che si richiamano alla regione abbiano il successo che ha avuto l’opera di Mariolina Venezia.
      Indubbiamente l’ambientazione – la location per gli appassionati di cinema- Lucania/Basilicata, che in questo momento esercita un buon richiamo sul pubblico, ha dato valore aggiunto al romanzo. Ancora più grande spero sia quello che la regione ne riceverà in cambio.
      Non penso a torme di turisti che invece che a Rimini vengono in Basilicata, credo che questo non accadrà mai, ma a un turismo discreto, di qualità e presente tutto l’anno. Bisognerebbe promuoverlo favorendo una conoscenza diffusa, e di qualità, di cosa il territorio può offrire.

      1. Cinzia

        Grazie, Cristoforo, per le interessanti riflessioni che condivido, soprattutto quando parli di una palese “similitudine” con autori sud-americani. C’è molto Garcìa Màrquez, molta Allende nel romanzo, a partire dalla struttura, da un linguaggio quasi cantilenato che rende bene l’idea di un tempo che si trascina attraverso le vicende di una famiglia nel corso di un secolo, dalle superstizioni e credenze popolari che richiamano l’elemento soprannaturale dei romanzi latino-americani (e qui penso anche a Jorge Amado). Cent’anni di solitudine e La casa degli spiriti sembrano gli ispiratori di questo romanzo di “genere”. In un incontro con l’autrice, nello scorso gennaio, le fu chiesto a cosa fosse dovuta questa similitudine. La scrittrice commentò che esiste una somiglianza molto forte tra i popoli del sud del mondo, che li rende quasi “fratelli”. Il Sud d’Italia come il Sud dell’America. Condivisibile, entro certi limiti.
        Personalmente mi sono appassionata di più alla parte corale del romanzo; anch’io negli ultimi capitoli trovo un che di minestrina riscaldata, clichè ormai ripetitivi e stanchi legati a quello che fu il Sessantotto.
        Il ritorno della popolarità del romanzo in termini di immagine e di interesse turistico, però, potrebbe essere notevole. Mi auguro che la regione sarà in grado di rispondere efficacemente e di trarne le dovute opportunità di sviluppo turistico e culturale.
        Sarà interessante, concludendo, assistere alla trasposizione cinematografica del romanzo, sperando che il cinema americano (la Warner ha comprato i diritti) non dia il meglio di sè e ci propini l’ennesimo polpettone insulso.
        Buona giornata
        Cinzia

  3. titus

    …A terre è nostra e nu sadda tucca…
    Molti di noi conoscono, questa strofa della Ballata del Brigante o la canzone del Brigante o canto della libertà.
    Secondo me, questa strofa racchiude il senso del Brigantaggio visto, da un punto di vista socio economico.
    Dato che l’argomento è molto complesso ed assume diverse sfumature e chiavi di lettura asseconda della trattazione a cui è sottoposto, facendole risultare tutte in egual modo verosimili.
    Briganti= patrioti del Re Franceschiello; Briganti taglia gole senza onore, Briganti= Irredentisti di leva del Piemontese…
    Ma credo che un minimo comune denominatore, possa essere rappresentato dalla Terra o per lomeno il mito del possesso della terra.
    L’italia meridionale, era un unico latifono, con un tipo di agricoltura estensia ( cereali, olivo,vite, un po di frutta, e pastorizza).
    I “Signori” o “Padroni” soggiornavano o vivevano nella maggioranza dei casi a Napoli, lasciando i Loro affari ai cosidetti “Massari”.
    Incuranti delle condizioni in cui versava il contado ed i Braccianti.
    Questo stato di cose, ovvero il disinteresse da parte del proprietario ha determinato un repentino impoverimento delle delle produzioni e delle coltivazioni.
    Le condizioni lavorative e di miseria una giustizia con due pesi e due misure le vessazioni ed umiliazioni in cui erano costretti a vivere, I Cafoni sono stati un terreno fertile affinche potesse attecchiere il Brigantaggio.
    Non ci dimentichiamo che quando Garibaldi, sbarco in sicilia con i suoi mille, per far si che il popolo lo fiancheggiasse promise la terra a dei latifondisti a tutti.
    Solo in questo modo si ebbe la sollevazione popolare.
    Una volta ricevuto, l’appoggio del popolo fiancheggiato dai comitati locali Rivoluzionari si è fatta L’Italia (chiedo preventivamente schusa ma questo rappresenta un sunto del sunto, degli avvenimenti storici in questione).
    Cacciato il Borbone Arrivo Il Savoia, che fece la terre venne distribuita Nooooooo.
    I Signori o i Nobili Da fedeli al re Borbone divennero Fedelissimi Al Savoia, Conclusione lo stato delle cose rimase Tal è Quale, cambio il Re ma la Proprietà agraria non muto (vedi Gattopardo).
    Quel lungimiranti di un uomo politico che rea C.B. Cavur…disse una frase eblematica: Abbiamo fattio L’italia ora dobbiamo fare gli Itagliani….
    Qui iniziarono altri problemi, LA macchia per i giovani irredentisti di leva, che da dove provenivano se no dai cafoni… questo stato delle cose contribui ad alimentare le file delle bande dei Briganti.
    Il brigante, asseconda della chiave di lettura o del nostro punto di vista può rappesentare, un patriota, un ladro, un partiggiano,
    Ma di cosa!! di un diritto che non ha mai conquistato…
    E’ se nel recente passato anni cinquanta, c’è stato una forma di Ridistribuzione del capitale Terra(Riforma Agraria “Legge Stralcio”) ai Braccianti!!!( e non solo), questo si E’ rilevato un ennesimo fallimento totale.
    Riportando nel coso degli anni alla formazione del nuovo latifondo Agrario.
    Mi scuso per la lunghezza del post.

    1. falco

      Ho, letteralmente, divorato le 18 pagine eccelsamente redatte dall’ ottimo Cristoforo Magistro.

      Leggendo mi venivano in mente alcune considerazioni che prontamente Titus riportava.

      In effetti il romanzo di Tomasi de Lampedusa fotografa esattamente quella che era la situazione del momento.

      Quando i mille sbarcarono in Sicilia nel 1860 la classe contadina si ribellò massicciamente contro la Chiesa, l’aristocrazia, e in alcuni casi anche all’esercito borbone, sperando di ottenere la proprietà delle terre che coltivavano, come promesso da Garibaldi stesso. I volontari del nord tradirono le aspettative che avevano seminato tra la popolazione, e repressero nel sangue ogno rivolta, mostrando nel ristabilire l’ordine un favoritismo per la borghesia locale.

      I Mille ben presto furono sostituiti dall’esercito regolare piemontese, trattarono il sud come bottino di guerra.

      La cosa, secondo me, più sensazionale fu che la rivolta scoppiò nel 1861 e partì proprio dalla Lucania , presto estesa a tutto l’entroterra.

      Impossibile stimare le vittime, cito testualmente che le cifre ufficiali dell’epoca citano decine di migliaia di morti fra i ranghi dei ribelli, ma, oltre ad essere inattendibili, tali fonti indicano solo i morti in battaglia. Si stima che solo il 10%

      delle vittime siano dovute ai combattimenti, il restante 90%  dovute ad esecuzioni, scontri fra insorti, carestie ed epidemie.

      Gli stessi parlamentari piemontesi non nascosero le loro riserve per le gesta di Cavour e dei suoi generali dichiarando che si trattava di invasione non di annessione.

      Tutti i provvedimenti che il governo prese fino al novecento favorirono il nord a discapito del sud, ricordiamo la tassa sul macinato , che gravava sull’unico prodotto meridionale, indispensabile oltretutto alla sopravvivenza della popolazione.

      Insomma secondo me l’unità d’Italia fu solo uno sporco affare per cercare di risollevare il regno savoia da un idebitamento gigantesco. Nel 1859 i suoi titoli di stato erano insolventi e nonostante il bottino ottenuto grazie alla conquista del sud, la lira italiana venne considerata inconvertibile in oro da tutte le piazze finanziarie.

      Al contrario il regno delle due sicilie coniava monete d’oro e d’argento estranee quindi all’inflazione. Tale quantità di denaro era cinque , sei volte superiore alle riserve auree delle banche settentrionali.

      Questa disparità di riserve condusse ad una spoliazione delle ricchezze, manodopera, risorse, e proprietà del Mwzzogiorno in seguito alla sua occupazione, avvenuta per mano di Garibaldi e dei suoi mille volontari.

  4. ciffo

    Trovo divertente che nel 1865 si parlava già di “imminente” congiunzione di Matera alla linea ferroviaria. Un secolo e mezzo evidentemente non è bastato.
    Cristoforo mi hai incuriosito sui tre personaggi di cui parli in coda: Salinari/Casella/D’Alessio. In che modo condizioneranno la storia montese fino al ventennio?

    1. ZODD
      vediamo un po quel po che ricordo di loro tramite mio nonno:
      Carlo salinari critico e storico della lketteratura italiana, partecipo alla resistenza ,docente universitario nn ricordo di dove, ebbe un rilievo sulla comunità montese come edukatore o consigliere sulle kosa da farsi, riguardante le problematiche di quei tempi , tipo i problemi kon le terre. altro nn so
      Luigi Casella penso che fosse un agronomo, propose la bonifica nei territori lucani , a spese dei proprietari terreri. ma cio nn fu troppo costoso quindi il suo progetto si limito sul territorio montese, presso la diga san giuliano (ke nn esisteva ancora) metaponto , insomma intorno al bradano . tutto questo per porre fine alle malarie , quindi un problema a doppio sbocco sia in campo salutare x l’uomo sia x recuperare terrenni .
      D’alessio ce ne sn molti , anche un generale la tomba di famiglia risiede nel nostro cimitero, ma penso che quello piu illustre sia un parlamentare lucano che ebbe anche il ruolo o di tesoriere del governo o di ministro del tesoro . per quello che ricordo avrebbe dato una svolta alal valuta italiana a favore dei contadini che veniva rettribuiti male .
      questo rikordo . meglio ce lo dira’ il nostro storico Magistro 🙂
      buon appetito a tutti byebye

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