La raccolta delle decime del 1310 e del 1324, attesta l’esistenza di un clero secolare organizzato intorno ad una parrocchiale la cui configurazione tardomedievale è testimoniate nelle Sacre Visite degli Arcivescovi materani dei secoli XVI e XVII.
L’edificio medievale, sempre più vetusto, crolla in parte nel 1776 e l’Università ritenendo inutile il tentativo di restauro della vecchia chiesa che in ogni caso appariva inadatta alle necessità della popolazione locale che ormai superava le cinquemila unità, avvia la costruzione di una nuova grande chiesa. La sede della parrocchia è trasferita momentaneamente prima nella chiesa dei frati agostiniani e poi nella chiesa di S. Giovanni Battista. E’ formato un comitato al quale partecipano le personalità più in vista del paese, con l’incarico di soprintendere allungo e complesso cantiere. Il progetto è affidato all’architetto barese Gimma che disegna una pianta a tre navate con grandi absidi e cupola all’incrocio del transetto. Il cantiere si prolunga per molti anni e fra alterne vicende. Un primo problema è determinato dalla demolizione della chiesa vecchia che richiede alcuni anni. Successivamente, agli inizi dell’ottocento, crolla parte della navata sinistra appena costruita. La chiesa è comunque consacrata il giorno del Corpus Domini del 1823.
L’edificio si presenta imponente con un campanile che giunge a ben 44 metri di altezza. L’interno presenta un elegante quanto sobrio apparato decorativo tardo barocco, caratterizzato da poche policromie ed estremamente luminoso.
L’altare maggiore, un elegante manufatto marmoreo di metà secolo XVII acquistato dalla chiesa dei Gesuiti di Sessa Aurunca, è collocato su un presbiterio sopraelevato circondato da una balaustra in marmi policromi aperta da sportelli in bronzo dorato con lo stemma della famiglia Galante.
Tra i corredi della chiesa ben quattro tele attribuite all’ambito di Mattia Preti ed un ampio numero di dipinti firmati dal pittore veneziano Donadio. Ancora un gruppo di acquasantiere provenienti dalla chiesa di S. Maria di Toledo a Napoli, un organo appartenuto alle benedettine di Montescaglioso, la fonte battesimale formata da elementi in porfido rosso appartenuti ad una fontana dell’abbazia di S. Michele. L’argenteria, molto ricca è in parte quella già appartenuta alla chiesa crollata nel 1776 e pertanto conserva notevoli manufatti provenienti dai migliori laboratori napoletani dei secoli XVII e XVIII.
Testo: Francesco Caputo. Foto: Angelo Lospinuso e F. Caputo (CEA Montescaglioso).