domenica 22 Dicembre 2024

Magnificat

Il Magnificat

 

o della

 

VISITAZIONE

 

Pietro  Andrisani

 

alla memoria del carissimo amico

Prof. Lucio Marconi

 

 

La storiografia più accreditata sostiene che il 2 luglio la Vergine Maria giunse dalla cugina Elisabetta e la salutò intonando il Magnificat anima mea.

Concordando il passo evangelico di Luca che riferisce l’Annunciazione dell’angelo Gabriele alla futura Madre di Gesù, con alcune date del sanctoriale e del temporale del calendario giuliano-gregoriano, il 2 luglio potrebbe accettarsi come giorno del commiato di Maria da Elisabetta e non quello della Visitazione. Luca sostiene che la Sposa di Giuseppe il Nazareno resta incinta di suo figlio Gesù quando la cugina Elisabetta era al sesto mese di gravidanza del futuro Precursore. Ciò avviene in un presunto 25 di marzo, contraddistinto come giorno dellAnnunziata. Presumibilmente, subito dopo, negli ultimissimi giorni del mese, Maria, dalla Galilea, si mette in viaggio per recarsi in Giudea da Elisabetta a recarle la buona novella giungendovi, probabilmente, il 2 di aprile. In casa di Elisabetta vi resta tre mesi, vale a dire fino ad un ipotetico 2 luglio, giorno importantissimo per quella casa poiché festeggiava due fausti eventi: la circoncisione di Giovanni e la riabilitazione al verbo di Zaccaria.

Per i Semiti la circoncisione non è solo la recisione del prepuzio praticato come un trattamento della fimosi, ma una cerimonia di iniziazione che avviene otto giorni dopo il distacco del neonato dal cordone ombelicale materno per presentarlo uomo al mondo dei redenti. Zaccaria, sacerdote della schiera di Abia, severo osservante della legge mosaica, dopo aver trascorso con sua moglie Elisabetta la giovinezza e la maturità senza prole, in vecchiaia, inaspettatamente, gli viene accordato dal Padreterno la certezza di un figlio di cui l’angelo Gabriele gli reca la lieta notizia. Ciò avviene mentre egli è occupato nel tempio alle funzioni del suo ministero. Considerando Elisabetta assai avanti negli anni, Zaccaria non raccoglie come veritiero l’annuncio dell’Angelo, motivo per cui Iddio punisce la sua incredulità togliendogli l’uso della parola che può recuperare solo il 2 luglio, durante la rituale cerimonia della circoncisione del suo figliolo Giovanni.

Sicuramente Maria, quel 2 luglio assiste alla insolita doppia festa, data che coincide con la fine dei tre mesi di soggiorno che ella trascorre in Giudea, ospite dei cugini Elisabetta e Zaccaria.

Naturalmente l’evangelista Luca narra i fatti, non sempre precisa i tempi o le stagioni in cui sono avvenuti. Per cui le date di quegli avvenimenti riportate nel calendario gregoriano non possono essere quelle effettive. Nelle religioni o istituzioni che contemplano un cerimoniale ricco di valori simbolici i grandi eventi di epoca incerta o ipotetica di solito sono messi in relazione coi solstizi e gli equinozi. L’attempato Zaccaria riceve con una certa diffidenza la notizia della maternità dell’anziana moglie Elisabetta nel giorno dell’equinozio d’autunno (23 settembre); Elisabetta dà alla luce il futuro Battista nove mesi dopo, il 24 giugno durante le solennizzazioni del solstizio d’estate; la Vergine Maria viene Annunziata dall’angelo Gabriele della sua gestazione di Gesù il 25 di marzo (equinozio di primavera) e lo dà alla luce puntualmente nove mesi dopo, il 25 di dicembre quando le celebrazioni per il solstizio d’inverno raggiungono il loro acme. Da queste considerazioni si deduce che la Vergine Maria non il 2 luglio salutò la cugina Santa Elisabetta intonando il Magnificat ma tre mesi prima, probabilmente il 2 aprile.

 

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Memore dei suoi tredici anni trascorsi nella città dei Sassi dove era stato benevolmente colpito dalla intensa fede rivolta dai materani alla SS. Bruna, loro Patrona festeggiata il 2 luglio[1] di ogni anno, dal suo soglio pontificio, Urbano VI (Bartolomeo Prignano) volle solennizzare tale data indicendo, per la chiesa universale, la festa della Visitazione. Ma il Prignano non potette godere di questa sua iniziativa perché prima di porre la firma alla bolla, il 15 ottobre del 1389 veniva colto dalla morte. Bonifacio IX, al secolo Pietro Tomacelli, suo successore, il 9 novembre dello stesso anno, con la bolla Istitutio festivitatis Visitationis B. Mariae Virginis pro die 2 iulii proclamò ufficialmente la festa che celebra la Visita di Maria a la cugina Elisabetta riverendola con un canto di lode, il Magnificat. La festa, successivamente, non solo venne salutata come benefica mediatrice per la ricomposizione delle varie fazioni venute a crearsi nella chiesa di Roma ai tempi di Urbano VI ma ispirò musicisti e pittori ad effigiarne il soggetto con suoni e colori[2]. Fra i melodiosi ed armoniosi canti ispirati alla Madonna del Magnificat vanno ricordate le flotte e, soprattutto, il

 

Nigra sum sed formosa 

 

Oltre al Magnificat, la flotta[3] Lieta e festante[4] e l’inno Nigra sum sed formosa[5] sono i canti sacri che hanno caratterizzato la festa della Visitazione o della SS. Bruna di Matera: la flotta, sorta di corale luterano itinerante a quattro voci con accompagnamento di pochi strumenti da eseguirsi prevalentemente sul carro trionfale; il Nigra sum sed formosa è un componimento quasi sempre in forma antifonale o mottettistica, qualche volta è un’aria per voce e basso continuo;

Il Nigra sum più antico che conosciamo è composto in forma di antifona nel 3° modo gregoriano, il più dotto è stato elaborato in forma di mottetto a cinque voci da Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594); il più gaio ed estroso dovremmo considerare quello verseggiato in ottava rima in elegante idioma napoletano da un giureconsulto che nei primissimi anni del secolo XVIII frequentava i cenacoli culturali della poetessa-mecenate lucana, Aurora Sanseverino (1667-1726), duchessa di Laurenzana.

Qui il Cantico dei Cantici[6] ridotto a commedia in dialetto napoletano riesce una chèlleta[7] piena di saggi insegnamenti nei quali la teologia, spesso, diviene pedagogia e spunto per lavori di natura speculativa. Sul frontespizio sono elencate le allegorie che danno vita al poema, cioè, alli Perzunagge del ludo: La Pastorella (Israele), Lo Pastore (Dio), Lo Coro de le Ffigliole e Lo Coro de li Ffigliule che nce credono (i religiosi), lo Coro che no’ nce crede (gli èmpii)[8]. Il Poeta pervade il lavoro di sapienzali concetti espressi con canora giocondità; qui il compassato Nigra sum sed formosa tende a convertirsi in una disinvolta, quanto modulata aria di sagace opera buffa:

 

I’ songo scura comme a le vviòle;

Ma songo bella comme a le ccollane 

E ll’oro de lo mante, e de le stole;

A vendegnà ppe vvuje tengo le mmane[1]

Chiene de calle e sso’ cotta a lo Sole[9]:

A faticà pe vvuje, pe’ vve dà pane,

So ffatta nera mo’, ma de natura

So’ janca comme a latte e non già scura.

 

E chi me vede scura e no’ mme vale

E’ ggente che me ncontra e vota vico

Li frate mieje, li frate mieje carnale

Figlie de mamma mia, nate co mmico

Lloro le primme a mme me vonno male!

Tu sulo, Bello mio, tengo p’ammico

Tu frate, tu marito e patre mio

Tutto tu ssi pe mme, tu mme ssi Ddio!

La vigna mia ssi tu…etc

 

Nel Nigra sum sed formosa potrebbe celarsi il senso, il concetto, l’origine del tanto discusso vocabolo gotico e, nel medesimo tempo, il mistero dell’Iside, ossia, della Madonna Nera collocata nelle cripte delle cattedrali gotiche da quei costruttori medievali, forse anche per implicita volontà di San Bernardo di Chiaravalle[10].

Sulla religione di Iside in Europa gli storici sostengono che al tempo in cui il dio Mithra[11] divenne oggetto di culto dei Romani la Bruna dea egizia lo fu dei Galli. Essi suppongono infatti che allora la città di Parigi ne prendesse il nome, e che ad Issi, presso la stessa Parigi, vi fosse un tempio ad essa dedicato; ne fanno fede tracce di reperti archeologici ed alcuni monumenti del luogo[12]. In quel periodo in continua evoluzione sociale e religiosa caratterizzata da rapporti tra i popoli germanici e quelli dell’Impero Romano e, successivamente dai conflitti armati, dai commerci e dagli scambi culturali tra l’Europa e l’Oriente Islamico, sorgono corporazioni, sette religiose, nuove scuole di pensiero rd, infine, lingue neolatine che cantano l’ossequio alla Madonna e alla Donna angelicata.

I Costruttori di Cattedrali imbevuti di ardente fede religiosa e di una tenace dedizione alle pratiche di scienze occulte, evidentemente sostennero di non dare un taglio netto al passato ma di congiungerlo al presente mediante la cristiana preghiera purificatrice che rigenerava la Demetra nera travasandovi le prerogative da Iside alla Madre di Cristo, Notre Dame[13]. In tal modo essi operavano quel processo sublimativo di derivazione alchemica che trasformava il nero in bianco, il vile metallo in oro. Per compiere il processo di travaso alchemico da una Madre all’altra determinante doveva essere le cripte e la posizione orientativa di quelle Cattedrali, rispetto al Sole. Se si prova ad osservare dall’aereo la ubicazione delle prime Notre Dame in ordine di tempo vi si noterà non solo riflessa su di essa la costellazione della Vergine,[14] ma la stessa posizione di ogni cattedrale con l’altare verso Oriente, verso l’Anatolia, terra dalla quale giunge la Luce che annulla le Tenebre.

 

Il concetto di Tempio spiegato col nome ADAM

in un inno alla Madonna

 

Secondo una primitiva leggenda di argomento paleocristiano il concetto di Tempio va cercato nel nome ADAM, il quale rappresenta, spiritualmente, l’Umanità.

Il nome ADAM viene spiegato in un antico inno alla Madre di Cristo in lingua greca[15] come acrostico di Ανατολή (Anatolia-Oriente), Δύοτς (Diusis-Occidente), Άρχτος (Arktos-Settentrione) e Μεοημβρία (Mesembria-Meridione o Mezzogiorno).

Nel canto si narra dell’ultimo giorno della Creazione: il Padreterno, dopo aver generato la Luce, la Flora, la Fauna, si accinse a modellare l’Uomo.

Madre Terra, allora, ebbe un sussulto premonitore e dichiarò che avrebbe accettato malvolentieri la nuova creatura.

Ciò provocò un insinuante sospetto nella mente del Signore.

Ma Egli non si perse d’animo.

Dopo ponderate riflessioni decise di aggirare l’ostacolo ricorrendo ad un abile quanto efficace stratagemma: affinchè la Terra non rifiutasse buona accoglienza al novello essere, Egli decise di plasmare l’Uomo con quattro pugni di terreno raccolti agli estremi orizzonti del suo mondo creato, vale a dire, ad Oriente (Anatolè), ad Occidente (Diusis), a Settentrione (Arktos) e a Meridione (Mesembria).

La leggenda narrata in quell’inno presume il greco come lingua originaria dell’Umanità. Però anche Templi costruiti in altre parti del Globo prima che sorgesse l’aureo idioma ellenico hanno avuto l’ara ad Oriente. Gli studiosi del ramo concordano che lo stesso Tempio di Salomone aveva l’ara ubicata a Levante.

Si narra, inoltre, che il Tempio di Salomone fu edificato col legno dei cedri del Libano da certo Hiram, uomo che veniva dalla città di Tiro, fiorente centro commerciale e culturale della Fenicia, lembo di terra che si estendeva lungo la costa orientale del Mediterraneo, a sud dell’Anatolia. In quel Paese gli erranti figli di Noè, finalmente trovarono stabile dimora e iniziarono quella che divenne una estesa catena di insediamenti lungo le sponde del medesimo Mare. I Fenici, di fede monoteista, vollero costruirsi un Tempio che rappresentasse non solo il riflesso del proprio mondo divino, ma anche un concettoso complesso architettonico raffigurante il bacino del Mediterraneo, mare nel quale loro operavano con lo studio, con la mercatura e con la colonizzazione.

Ebbene, se crociandoci osserviamo i quattro lati del Mediterraneo-Tempio ubicati con l’ara ad Oriente (A), le colonne d’Ercole ad Occidente (D), la parete europea a Settentrione (A) e quella africana a Meridione (M) otterremo il nome ADAM con il capolettera dal lato ove spunta il Sole, ove sorge la Luce, fonte della Ragione, punto di riferimento e, soprattutto, di orientamento per il catecumeno che sente la necessità di intraprendere la via iniziatica della cristianità.

Proviamo ad entrare con la bussola nella gotica cattedrale-casa della Bruna di Matera e vedremo tendere il suo ago a settentrione, dalla parte di via del Riscatto, ovvero, verso la costellazione dell’Orsa (Arktos).

 


 


[1] Nel 1726, dietro petizione di Suor Antonia Sances de Luna dei marchesi di Grottole, abatessa del Real Monastero di Santa Chiara in Napoli, l’Illustrissimo e Reverendissimo Capitolo Vaticano concedeva un breve che autorizzava a celebrare il due di luglio, la cerimonia per l’aurea Coronazione della Madonna Regina dei Cieli [la Visitazione?] espressa in dipintura afresco  sul muro del quarto pilastro [della chiesa di Santa Chiara], in figura di mezzo busto stringente nel suo dolce seno Gesù Bambino in atto di lattarlo […] con l’espressione dei Cantici Suggentem utero nostris, Ego dilecto meo et ad me conversio ejus. Nella Relazione delle divote pompe festive celebrate nella Regal Chiesa di S. Chiara  di suor Antonia Sances de Luna  si legge: Vi si  celebra ogni anno sontuosissima Festa nel di’ Due Luglio con musica a più cori, che dura poi un intiero mese col divotissimo istituto dell’esposizione del Venerabile in ogni sera, con cantarvi giulive le sacre composizioni e Litanie […].

[2] Fra i pittori che hanno dedicato la loro arte alla immagine della Visitazione vorremmo ricordare: l’altoatesino Marx Reichlich (Novacella, Bressanone, 1460 ca.-ivi 1520 ca.), Giuseppe Tommajoli (Chiesa di San Giovanni Battista delle Domenicane, ultima cappella a sinistra); Sebastiano Conga, di Gaeta, allievo di Francesco Solimena (ch. di Santa Chiara, sotto il coro deiFrati…sostenuto da quattro colonne); Giov. Battista Vinacci (chiesa di Santa Maria in Portico: in uno dei vani della Croce della chiesa )

[3] La flotta è una forma musicale vocale-strumentale intonata processionalmente o sul carro trionfale, sempre in paranza di angiulilli. Anticamente la paranza di angiulilli era composta da un gruppo di dieci – dodici alunni dei conservatori musicali, successivamente da musici delle Cappelle musicali: il gruppo cantante indossava indumenti (ali e parrucche) da angeli, due di essi – il soprano e il contralto- erano giovani scogliati ossia evirati.

[4] Qui di seguito il testo di una delle flotte eseguite sul carro trionfale della Bruna o della Visitazione materana:

 

Lieta e festante viene la Bruna

E in quest’istante vi accenda il cor.

L’amor di pace vi colma il seno

L’alma sua face v’infiammi ognor.

 

[5] Anticamente, oltre al Nigra sum sed formosa, i canti in gregoriano eseguiti il 2 luglio, ossia il giorno della Visitazione della Beata Vergine alla cugina Santa Elisabetta erano: Jesu, tibi sit gloria (al completorium); Qui natus es de Maria Virgine e Exurgens Maria (ad primam); Intravit Maria e Adjuvabit èam (ad tertiam); inoltre: l’alleiluiattico Feix es, sacra Virgo Maria (in 8° modo gregoriano); gli antifonali Exurgens Maria (8° m.gr.); Intravit Maria in domum Zachariae (2° m. gr.); Ut audivit salutazionem Mariae Elisabeth (3° m. gr.); Benedicta tu inter mulieres (7° m. gr.); Exquo facta est (1° m. gr.); Beatam me dicent (8° m. gr.), tutti testi elaborati polifonicamente dai più noti musicisti dei secoli successivi al XV .

[6] L’inno Nigra sum sed formosa è composto dai versetti 5, 6 e 7 del I° capitolo, La Sposa,  del Cantico dei Cantici di Re Salomone.

[7] Chèlleta è un vocabolo che, a Napoli, si impiega in sostituzione di cosa di cui non ci sovvenga il nome ma i librettisti di opera buffa se ne servivano per indicare un proprio lavoro drammatico, da loro ipocritamente ritenuto di poco conto, con personaggi del popolo che si esprimono in un dialetto apparentemente frivolo, ma, di fatto faceto, gaio, penetrato da detti filosofeggianti con venature di sottili intenti pedagogici in contrapposizione al dramma eroico che ospita personaggi di ceto superiore dal linguaggio contegnoso, accigliato, preoccupato. Aniello Piscopo uno dei più illustri librettisti dell’opera buffa, sosteneva che la commedia (chèlleta) non doveva essere solo uno spettacolo pe’ spassatiempo, [ma]‘nce ha ‘mparà cuarcosa de buono costume, ca si nò è ‘na cocuzza pazza, che pare grossa da fora e ddinto non c’è niente.

[8] Per le celebrazioni della Madonna Bruna di Napoli, quei PP. Carmelitani fecero mettere in scena un dramma per musica che aveva per soggetto lo sposalizio di Cristo con la Chiesa, soggetto che implica il Nigra sum sed formosa. Il titolo: Le nozze di Salomone con la figlia del re di Egitto. Sottotitolo: Simbolo dell’unione di Gesù Cristo con la Chiesa e con la B. Vergine. La sceneggiatura del libretto dell’Epitalamio venne affidata alla esperta penna del poeta di corte Saverio Mattei, la musica fu composta da Luigi Platone. La rappresentazione avvenne nel teatro del conservatorio della Pietà dei Turchini: soli cori e orchestra del medesimo conservatorio.

[9] Anticamente, l’innodia sacra materana ha spesso sviluppato il tema dettato dai versetti 4 e 5 del biblico Cantico dei Cantici, ossia, il concetto, l’allegoria riferiti all’Amante e Sposa chiamata a coltivare la vigna mistica del Padreterno. Monsignore D. Bruno Andrisani, Rettore del Seminario Diocesano di Matera, riflette poeticamente lo spirito che anima il Nigra sum sed formosa… nella prima quartina di un sonetto che verso il 1750 compone e dedica all’Arcivescovo Francesco Lanfreschi: Signore, che mosso da celeste zelo / Di quest’Orto adornar, onde l’Amante / Diva Sposa dovrà di scelte Piante / La vigna fecondar del Re del Cielo. Anche Jacopo Sannazaro nel poema De Partu Virginis (c. II, w 34-39) ritorna sul tema della vite quando Elisabetta acoglie Maria in casa dicendo “ O decus, o laudi, mulier, dux prævia nostræ, / Cælitibus sola humanum quæ digna reperta es / Conciliare genus, cœtusque adtollere ad astra / Femineos: gremium cujus divinus abumbrat / Palmes, inexhaustis terras qui compleat uvis: / Quis me, quis tanto superum dignatur honore? ” (Oh Donna laude, e nostro onor primiero, /  Che degna sola sei render al cielo / L’umana stirpe, e agli astri innalzi il sesso / Femineo, il di cui sen divino adombra / Tralcio, che l’uve ognor darà alla terra, / Chi mi degna d’un tanto onor celeste?  Versione di  Scipione Colelli) .

[10] San Bernardo (Digione, 1090–Clairvaux, 1153) fondò l’abbazia cistercense di Chiaravalle che ebbe una immediata e vasta risonanza nella cultura politica e religiosa. San Bernardo va ricordato per essere stato uno dei primi riformatori del canto gregoriano ma soprattutto per aver redatto la regola dell’ordine dei Templari.

[11] Secondo Plutarco il culto del dio Mithra, simbolo della luce solare che feconda la Natura, venne introdotto a Roma nel 69 a.C., dopo che Pompeo Magno sconfisse definitivamente i pirati del Mediterraneo Orientale. Ai tempi di Costantino il Grande il culto per i misteri mitriaci si era tanto diffuso da insinuarsi nei riti pseudo-cristiani. Di quei misteriosi riti si conoscono solo alcune congetture fatte da parte di scrittori paleocristiani e dei Padri della Chiesa

[12] Dizionario Mitoligico ovvero Della Favola Storico, Poetico, Simbolico; Cosenza, Ediz. Brenner, 1834: tomo 3, p. 161 e seg.

[13] Nelle cattedrali gotiche la Madonna Nera (Iside) veniva posta nella cripta, la sua omologa bianca (Notre Dame) sull’altare maggiore del piano superiore. Fino a circa venti anni fa anche il quadro della Madonna Bruna di Napoli è stato esposto nel piano inferiore della chiesa del Carmine. (La Madonna Bruna napoletana non solo ha sorprendenti somiglianze con la Vergine Bruna di Matera ma la stessa pittura sembra risalga ad epoca coeva).

[14] Se si fa un riscontro dei nomi delle città ove furono costruite le prime cattedrali gotiche con le stelle di questa costellazione avremo la Spiga della Vergine corrispondente a Reims; Gamma a Chartres; Zeta ad Amiens; Epsilon a Bayeux.

[15] L’inno in questione è stato argomento di alcune lezioni di paleografia musicale tenute dal professore Carlo del Grande durante l’anno accademico 1965-1966 nella Scuola, appunto, di Paleografia Musicale di Cremona. L’argomento è riportata in un approfondito lavoro di musica liturgica bizantina dal titolo L’Inno Acatisto dello stesso Carlo del Grande (Firenze, Fussi Editore, 1948, p. 102).

[15] Il castello saccheggiato durante i festeggiamenti della Madonna del Carmine o della Bruna di Napoli fu il tema di una esilarante opera buffa redatta dal poeta dialettale Francesco Oliva (pseud. Ciccio Viola) e rappresentata, la prima volta, nel novembre del 1722 al Teatro dei Fiorentini con musiche di Michele Falco e Leonardo Vinci. Il titolo: Lo Castiello sacchejato, commedeja ammascherata pe’ mmuseca […]. La scena è al Molo Piccolo, poco distante dalla chiesa del Carmine. Sul piazzale del molo è eretto un castello di tavole: sopra vi monteranno dei popolani camuffati da Turchi; un altro drappello di popolani, che sostengono la parte dei Cristiani, cercheranno d’assalirlo. Il nucleo dell’opera rappresenta una delle tante feste della Napoli spagnoleggiante del secolo XVII, nelle quali i pretesti per giungere alle mani coi Turchi era cronaca d’ogni giorno.


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