U SPARATRAK (sparadraps)

Mi sono fatto un piccolo tagliettino ad un dito mentre armeggiavo in cucina, cosi dopo aver disinfettato la ferita ho chiesto a mia moglie, naturalmente in stretto dialetto montese, di passarmi  “U SPARATRAK”.

Immediatamente è scoppiato lo stupore dei miei figli accompagnato da una sonora risata di fronte a quella parola mai udita e dal suono cosi strano.

“U SPARATRAK” termine comunemente usato, forse oggi sostituito da altri più italianizzati, nel dialetto montese e lucano, sarebbe il nastro adesivo di cotone in rotoli che serve per le medicazioni, oggi sostituito nella maggior parte dei casi dal comune cerotto.

Spesso accade che situazioni di questo tipo si ripetono ogni qualvolta viene fuori un termine dialettale dimenticato, allora mi chiedo se tutto ciò abbia un senso. Discorso simile si potrebbe fare con la stessa lingua italiana e con i tanti termini che ormai sono stati sostituiti da altri termini in uso in altre realtà e dall’inglese in particolare, cosa ancora più grave poi i sostituti sono termini neanche esistenti che snaturano la lingua senza apportare alcun contenuto reale.

Alcuni anni fa da più parti venivano proposte di istituire negli orari di lezioni scolastiche delle ore per lo studio dei dialetti locali al fine di mantenere vivo ed in uso nelle varie realtà quella lingua che per molti versi racchiude in essa un linguaggio espressivo e semplificato che spesso la grammatica della lingua madre non permette.  Espressioni dialettali semplici e racchiuse in pochissime parole avrebbero bisogno di un intero periodo per essere tradotte, invece, è il caso di dirlo, in dialetto basta la parola.

Ora la riforma Gelmini ha allontanato definitivamente tale possibilità, questo però non ci impedisce di essere noi stessi i maestri della nostra lingua, tornando magari a parlare comunemente nelle nostre case e ad esprimerci con i nostri figli e conterranei in dialetto


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