C’era una volta…
C’era una volta…, cosi cominciano tutte le più belle storie, allora cosi vorrei cominciarne una io sperando che anche questa sia una storia a lieto fine.
Allora, dicevamo, c’era una volta una piazza, e in quella piazza ogni sera si ritrovavano dopo una lunga e dura giornata di lavoro, i contadini del posto, i braccianti, i lavoranti a mezzadria, ma anche i bottegai, i calzolai e i sarti, e ognuno con il proprio gruppo di amici si era ritagliato il suo angolino dove passava in spensieratezza le poche ore che concludevano la giornata prima di andare a letto per il meritato riposo e poter affrontare il lavoro del giorno dopo. In quella piazza si ritrovavano anche gli avventori venuti da fuori per i lavori stagionali dei campi, e anche coloro che vi si recavano per concludere affari o incontrare persone.
La banda musicale del paese era solita fermarsi in quella piazza dare dimostrazione di bravura e quando ciò accadeva le donne, i bambini, gli anziani cominciavano con il via vai di sedie e la piazza si riempiva e la piazza si riempiva di grande armonia.
Si era instaurato tra tutti i frequentatori della piazza un tacito accordo, una specie di regola non scritta ma tramandata e rispettata da tutti perché un tale luogo meritava il massimo rispetto, e allora i cavalli, i muli, gli asini e anche i traini e gli sciaraballi venivano tenuti lontani da quel luogo sacro che era la casa comune di tutti.
Un giorno arrivò la modernità e qualcuno penso bene che la regola non scritta non aveva più alcun valore e quindi decise di sostituire la rizzata, ossia la ciottolata di lapilli della gravina e i cubetti di porfido che ne costituivano la pavimentazione originaria con una più comoda asfaltatura di catrame onde permettere alle gomme delle prime macchine e degli autobus di scivolare bene su di un liscio tappeto.
Per alcuni anni uomini e mezzi parvero convivere in quella piazza, ma man mano che il tempo passava, erano sempre più i mezzi che vi sostavano o che vi passavano che non gli uomini che riconoscevano il posto come la propria casa comune, fu cosi che di li a qualche anno la desolazione si impadronì della piazza, gli uomini trovarono altri posti dove potersi incontrare e le macchine divennero padroni assoluti.
La cosa però creava tanta tristezza, i posti che gli uomini avevano scelto per i loro incontri non avevano lo stesso sapore, si provò con piazzette e giardini, qualcuno si rifugiò in un bar, altri in un cinema, altri cercarono piazze in altri comuni, ma nulla poteva restituire l’armonia della casa comune.
Un giorno però, qualcuno, forse per un antico rimpianto, o semplicemente per un semplice giocò tolse l’asfalto e fece una nuova pavimentazione, lastre bianche di pietra, lisce come l’asfalto ma con un piccolo difetto, si sporcavano facilmente sotto le nere gomme delle auto e dei pulman, allora si pensò bene di togliere le ruote che sporcavano e riempire la piazza di fioriere dice qualcuno, mangiatoie qualcun altro, fatto sta che anche in presenza di una discussione sui pro e sui contro, quella piazza come d’incanto torno a riempirsi di gente e tutti, anche quelli che proprio d’accordo non erano scelsero la piazza nuovamente come la casa comune.
Avrei voluto che la storia finisse a questo punto, purtroppo cosi non è, altri uomini hanno poi pensato che cosi non poteva andare bene, e allora di nuovo dentro le gomme che sporcano i basolati di pietra, via mangiatoie e fioriere dentro di nuovo le auto.
Sta a noi scrivere il finale della storia, pensiamo sia giusto togliere di nuovo ai montesi la casa comune? Allora facciamo tornare le auto, se invece pensiamo che per una volta sia giusto mettere da parte gli stupidi litigi e interessi di bottega allora lasciamo tutto com’era e lasciamo che siano gli uomini e non le macchine i padroni della piazza.