ORRENDO DELITTO A MONTESCAGLIOSO DI MICHELE TROTTA

60 ANNI!  Questa è una storia vera, accaduta in un paesino della Basilicata nel periodo in cui gli Americani, nostri nuovi alleati, ci liberavano dai tedeschi. Eravamo dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. E’ un ricordo triste, ho voluto rievocarlo anche perchè i giovani possano capire cosa sia la guerra e l’odio: Dio ci dà la vita e solo a lui spetta di toglierla! Per motivi immaginabili i nomi veri degli attori sono stati sostituiti.

 

 

Questo volumetto è dedicato all’amico Carlo Baima (Charlie), autore di “Ritorno alla vita” che ci ha lasciato, dopo una lunga e terribile malattia, il giorno 29.9.2003. Spero che molte persone possano seguire il suo esempio: pur nelle sua condizione disperata, colpito da micidiali metastasi, il suo pensiero era sempre vicino ad altri ammalati, dando loro amore, coraggio, invogliandoli a reagire per un “RITORNO ALLA VITA”. Sarò lieto di parlare di Carlo, continuando il suo racconto, mettendo in evidenza le doti eccezionali di una persona che resterà sempre nei nostri cuori.

Michele Trotta.

 

 

 

Era l’autunno del 1942, la nostra vita nella capitale del Piemonte, diventava impossibile. Sirene, corse nei rifuggi, caseggiati che al mattino c’erano e durante la notte diventavano un ammasso di polvere, mattoni……. Le strade erano allagate d’acqua, fili elettrici spezzati, guardando ti stringeva il cuore al pensiero che la guerra distruggeva tutto. Io avevo sette anni, frequentavo la seconda elementare. Quante volte, la sera, attraversando il ponte delle Molinette, uno dei più grandi ospedali della città, con un freddo atroce, ci recavamo presso una famiglia del nostro stesso paese, al di sotto di “Cavoretto” anche perché era una zona ritenuta sicura. Il pericolo era enorme…. Molte famiglie del mio paese si erano trasferite a Torino per lavoro: i primi arrivati, dopo la loro sistemazione, aiutavano i nuovi, questi davano una mano agli altri, tanto che il numero dei “Montesi” era diventato enorme.

Gli anziani, ovvero i primi a trasferirsi, stanchi dalla paura, dalla visione orrenda della città mutilata dai continui bombardamenti, decisero di partire. Rientravano al proprio paese, considerati a tutti gli effetti “sfollati”! In verità era un luogo ove nessuna bomba era caduta.

Il viaggio fu lungo e faticoso. Si viaggiava in un carro bestiame, appoggiati l’uno all’altro. Quanta gente, fuggiva dalle bombe! Ci fermammo a Milano, sotto il capannone della stazione….aria umida e fredda, mancava quasi il respiro. Era anche la paura di un attacco da parte dei nemici, che ci teneva col fiato sospeso. Un amatore in possesso di una radio galena, appena partiti da Milano, riuscì a captare che pochi minuti dalla nostra partenza la stazione milanese veniva bombardata. Si vagava per l’Italia da un stazione all’altra. Non era più la linea adriatica per raggiungere Bari, ma si seguiva quelle linee che erano rimaste ancora intatte. Ad ogni stazione, ove ci lasciavano scendere dal treno per utilizzare i gabinetti, venivamo accolti con affetto. Le donne in divisa fascista ci rifocillavano con latte, pane, burro e quanto potevano dare in un momento così triste. In tutte le stazioni si ripeteva la stessa scena. Non ci sentivamo abbandonati, come capita in circostanze dolorose, anzi su di noi c’era l’affetto degli italiani. Vagammo così per l’Italia, da Bologna a Pisa, da Pisa a Pescara, da Pescara a Foggia, linee insolite, ma ancora intatte. Il viaggio durò una settimana, eravamo sfiniti dalla stanchezza, dalla paura. Finalmente il treno raggiunse Bari. Eravamo quasi al nostro paese….. Ci recammo alla stazione della Calabro-Lucana, molto vicino alla stazione della ferrovia statale. Salimmo delle scale, erano le cinque del mattino. Tutto era buio, una giornata gelida. Echeggiava il fischio di un bambino, che era con noi, tra il silenzio più assoluto, con la canzone “Lilì Marlen”, in attesa del treno per Matera. Qualcuno lo fece zittire. Non era permesso di farsi sentire. Nella più assoluta oscurità, una motrice con pochi vagoni, pian pianino prendeva posizione sul binario di partenza. Finalmente trovammo posto su dei sedili di legno, avevamo migliorato rispetto ai carri bestiami ove eravamo seduti sul pavimento e appoggiavamo la testa sulla valigia. Quando il treno partì, guardai dal finestrino. Tante piante una dietro l’altra, sembravano fantasmi sfuggenti nella piena oscurità. C’era la luce del giorno quando verso mezzo giorno, finalmente, il treno raggiunse la piccola e simpatica stazione di Matera. Stavamo aspettando la corriera, eravamo una trentina di persone, tutte di Montescaglioso, che avevano cercato fortuna a Torino. Ognuno aveva il suo lavoro, la sua famiglia, si stava bene, ma la guerra aveva distrutto tutto! Si avvicinò una persona, chiedendo: “Voi venite da Torino? Don Carmine, a conoscenza del vostro arrivo, vi dà il benvenuto! Volete seguirmi?” Ci portò in un capannone, ove c’era una corriera (era la corriera che noi stavamo aspettando), dicendoci: “Don Carmine l’ha messa a vostra disposizione. Sa della vostra sofferenza e vuole che finalmente trovate un po’ di riposo. Prendemmo posto, ci portarono da mangiare. Qualcuno, stanco, si addormentò. Ormai non c’era più paura delle bombe….. Matera era una città priva di fabbriche producenti materiali bellici, nessuno aveva intenzione di sprecare bombe inutili per colpire obiettivi inesistenti. Lentamente, all’orario, la corriera, senza soste inutili, si avviò verso il paese……….. Vidi tante gente, che ci aspettava. Molti gridavano i nomi dei parenti. Una voce tra essi: ” Mincuccio, Mincuccio….! Era mia nonna. Ci abbracciò, piangendo dalla gioia che eravamo sani e salvi. Dietro di essa c’era mio nonno, terribilmente emozionato, stentava a farsi avanti….ma ben presto anch’egli ci abbracciò. Mi diede la mano, e tutti insieme raggiungemmo la casa dei nonni. Qui vidi arrivare tanti parenti ed amici a salutarci, conobbi così zia Carmela, anch’essa rifugiatasi a Montescaglioso per paura delle bombe, il marito era in guerra….. C’erano i suoi figli, Gilda, Otello, Michele, Anna, Enza, Maria e Cosimino, il più piccolo. Lo ricordo col suo famoso berretto rosso, di cui non si separava mai. Ci videro stanchi, una settimana circa di viaggio, una settimana che non terminava mai, e ben presto ci lasciarono per farci riposare. Vidi un camino in cui lentamente il fuoco stava consumando della legna. Adagiato vicino ad essa un “pignatieddu” che vedevo per la prima volta, tutto nero all’esterno. Mia nonna stava cucinando i ceci. Ben presto però se ne accorse a tavola che non furono di mio gradimento. Pensai che nell’interno era nero come l’esterno questo nuovo elemento di argilla cotta, che non avevo mai visto prima. Dissi: “E’ sporco, è sporco dentro, io non mangio!”.  Mangiai solo della frutta e andai a dormire…………..

Al mattino presto fui svegliato dalle grida di una guardia comunale:”Don Carmine, alle ore 11, convoca in Comune i capi famiglia dei torinesi. Cercate di essere puntuali!” Così, mio padre, insieme agli altri “sfollati” furono ricevuti puntualmente dallo stesso Don Carmine. Un bonaccione che si preoccupò di questa gente, del lavoro che non avevano più, come mantenere le famiglie. Alla fine decise per un sussidio ciascuno, che venne erogato immediatamente. A pensare oggi giorno se qualcuno ha necessità, bisogna ricorrere a domande, approvazioni, passano anni, si può morire….. quanti ricevono “l’accompagnamento” dopo essere passati a miglior vita….. tutta burocrazia. Il gesto di questa persona, anche da me, un bambino in tenera età, veniva considerato, come un atto generoso compiuto da una persona che aveva un cuore. Non posso giudicare per tutto il suo operato, ancora piccolo, ma oggi giorno, dall’esperienza della vita, chi fa qualcosa per il popolo si crea automaticamente simpatie e antipatie, forse più antipatie create da invidia, gelosia e pretese impossibili, anche perché il popolo ignora le leggi, ognuno le trasforma o le crea nella propria testa a proprio vantaggio, senza capire ciò che è lecito e ciò che è impossibile ottenere.

Avevo cominciato la seconda elementare a Torino, ero stato costretto a lasciare i miei compagni…… mio padre mi accompagnò da Don Liborio, direttore della scuola, il quale mi affidò a una giovane insegnante, nipote di Don Pietro Lafratta, che sarebbe stato il mio maestro in terza e quarta elementare. La signorina Lafratta mi accolse con entusiasmo. Mi  fece sedere nel primo banco, spostando un ragazzino. Conobbi Luigi che era seduto nel mio stesso banco. Diventammo amici. Era un ragazzo fantastico! Fu il mio primo compagno a Montescaglioso. Ci davamo tutti i giorni appuntamento vicino “all’Arc ‘a iam” per proseguire insieme lungo il corso per recarci in classe. Diventammo inseparabili. Molti pomeriggi veniva a trovarmi a casa e facevamo i compiti insieme. Nel frattempo seppi che Luigi era figlio di Don Carmine, che rivestiva la carica di Segretario Politico del Partito Fascista. Mi fece piacere, anche perché, per tutto quello che Don Carmine aveva fatto per noi sfollati, veder vicino il figlio e come amico inseparabile, ne fui entusiasta. Quasi tutti i giorni la signorina Lafratta, mi faceva sedere sulla cattedra, vicino a lei, facendomi tante domande. Mi resi conto che voleva che io parlassi e tanto, perché era interessata o meglio si divertiva a sentirmi parlare in una lingua italiana perfetta. In verità mi trovavo in difficoltà con gli altri compagni per il loro dialetto, ma ben presto mi adattai.

Alcuni pomeriggi accompagnavo mio nonno in campagna. Una persona paziente, che molte sere seduti vicino al braciere era solito raccontarmi delle favole. Era il 24 aprile 1943, mi disse:” Vado a prendere l’asinello dalla stalla, aspettami giù al portone!” Mi mise sull’asinello ed insieme raggiungemmo il piccolo terreno, pieno di pianticelle di grano. Fu lì che trovai due volantini simili, sganciati da qualche aereo americano. Ci rassicuravano che loro erano degli amici, che presto ci avrebbero liberati dal regime fascista, che non dovevamo aver paura perché ci avrebbero trattati come fratelli. L’italiano non era perfetto, ma si riusciva a capire il loro messaggio. Al ritorno trovai una grande sorpresa, era nata la mia sorellina….. Quante volte ero andato dal droghiere o dalla panettiera a Torino con quattro soldi, dicendo:” Voglio comperare una sorellina!” Mi veniva risposto:”Quei soldi sono pochi……caro Michelino! Ed ora il mio desiderio si era avverato…. Forse vedendo gli amici ed amiche che avevano fratelli e sorelle, mi sentivo solo……..ma non sono mai stato geloso degli altri. Era stato il vero motivo perché mio padre aveva deciso di portarci al sicuro dalle bombe.

Nel paese c’erano tre carabinieri e pochi marinai, mentre il posto strategico era occupato da moltissimi tedeschi. Era un piccolo rialzo del paese, chiamato “Sant’Antonio”, da cui si potevano osservare alcune strade, che portavano da Montescaglioso ad altri paesi e viceversa. Queste strade erano in parte minate, con tanto di cartello, scritto in italiano, per evitare che cittadini corressero pericolo. In paese i tedeschi si vedevano poco, non davano, in verità, fastidio. Anche loro erano ragazzi tolti alle loro famiglie, e mandati in guerra….contro la loro volontà.

Le campane della chiesa di S. Rocco suonarono per moltissimo tempo, la piazza si riempì di gente. Si capì che qualcosa era accaduto. Gente che piangeva, gente che pregava, gente che si strappava i capelli, pensando ai figli in guerra se vivi o morti…. La piazza era gremita. Era il 25 luglio 1943 si seppe dell’arresto di Mussolini, della caduta del fascismo. Non si pensò nemmeno alla fine del partito, chi non era tesserato?………… Si ebbe una nuova coscienza, una nuova filosofia, perché fare guerra, ormai si era stanchi……! Forse la fine era vicina. Pensai agli “scalmanati” studenti universitari, con i cappelli lunghi, pieni di ciondoli, che in gruppi di una ventina di persone, percorrevano le vie di Torino, gridando: “Vogliamo la GUERRA, Vogliamo la GUERRA!!…….”  Questi studenti, che hanno generato lutti, lacrime, distruzioni, mi portano in mente gli infiltrati, violenti e provocatori, tra i gruppi estremisti, non meno pericolosi di quelli, che sotto le spoglie dell’agnello si  nascondono dei lupi che si fanno passare per pacifisti, di gente che non ama la guerra, ma poi al primo approccio con le forze dell’ordine fanno di tutto per avere l’occasione di aggredirle, di bruciare auto di persone bisognose, di distruggere, di strappare e bruciare bandiere americane, di calpestare un popolo, in cui ci sono nostri parenti, amici e una nazione che nel passato ha accolto con simpatia nella loro società i nostri nonni. Sono solo dei distruttori, calpestando ciò che di buono è stato costruito con grandi sacrifici!……….. Questi individui quale fiducia possano avere da persone che, pagando imposte e tasse, con grandi sacrifici, si vedono costretti a pagare anche i danni procurati da loro. Non fanno del male a chi governa ma all’intero popolo! Le loro idee corrispondono ad un’ utopia, nel senso vero della parola. Non è con la violenza che si risolvono tutti i mali! Il pacifismo lo si deve sentire dentro, se si odia non si può essere pacifista, tutti i popoli di qualunque razza essi siano, di qualunque colore, di qualsiasi credo politico e religioso, di qualsiasi nazione devono essere tanti fratelli da amare e rispettare. La non violenza genera il pacifismo, ed è proprio qui che i veri cattolici od altri religiosi devono distinguere, devono scegliere, isolando qualsiasi forma di violenza da qualsiasi parte essa provenga. Prima di esporre bandiere ai balconi dai colori variopinti con la scritta “PACE” bisogna fare un esame di coscienza, vedere in noi se effettivamente nel nostro cuore esiste la parola: PACE!

Gli studenti universitari, che chiedevano un intervento in guerra, pensavano che la Germania, che aveva assoggettato gran parte dell’Europa e vittoriosa su tutti i fronti, stava per portare a termine una guerra con pieno successo, e allora, perché rimanere fuori e non condividere la gloria in questa grande vittoria? Sarebbe salito alle stelle il morale della nazione. Purtroppo, come spesso accade, la pelle dell’orso non si può vendere prima di averlo ucciso! Che sia stato un errore l’alleanza Roma – Berlino non possiamo dirlo, anzi opterei per una paura tremenda che anche l’Italia finisse per essere invasa dalla Germania. Considerando che l’Italia era mal vista da parecchie nazioni, specialmente dagli inglesi, per le guerre africane, pressata da un embargo, sola in assoluto, forse non aveva altra soluzione politica. La neutralità non avrebbe garantito di evitare la guerra. Eravamo di fronte a un forsennato, che bramava di sottomettere tutto alla potenza tedesca. Cosa si poteva fare? Oggi giorno non è facile rispondere, magari criticare ciò che è stato fatto, di cui conosciamo gli eventi, sì, ma cosa sarebbe accaduto con una invasione tedesca? Qui nessuno può rispondere perché non è accaduto. E se sarebbe accaduto………?

Questa non è una assoluzione ad errori commessi,  tradimenti, solo chi non fa nulla non commette nè male e nè bene. Ma per le persone che hanno delle responsabilità, il male e il bene si confondono insieme, in verità è secondo come il fare viene considerato da un individuo o dall’altro: se l’individuo ti ha in simpatia per lui il bene e il male, è sempre bene, se invece sei antipatico, qualsiasi cosa tu faccia, sarà sempre male. Vi siete chiesti quando due partiti, uno di maggioranza e l’altro di opposizione, presentando i programmi agli elettori, e, in essi si riscontrano convergenze programmatiche per l’interesse del popolo,  presentate, poi, in parlamento, come mai un partito di questi non li voterà? Questo dimostra che esiste simpatia e antipatia, invidia perchè lo presenta uno invece dell’altro, senza curarsene del bene del popolo…………

Intanto nel paese si viveva solo con un’ idea: che la guerra cessasse al più presto, che i figli lontani, di cui non si conosceva il destino, senza notizie da tempo, tornassero presto alla propria casa. Una grande simpatia era verso il popolo americano, anche perchè i nostri nonni, avevamo vissuto insieme a questo popolo, lavorando nella loro terra….. trascorrendo con loro parte della loro vita. Purtroppo erano nostri nemici. La gente del paese era sempre vicino alle poche radioline per captare notizie, sperando nella pace. Non c’era odio verso il fascismo, non c’era nemmeno un pensiero per il futuro politico dell’Italia…. Qualcuno, chiudendosi nelle spalle, diceva tra sè: “Era destino!”

L’otto settembre del 1943, tutto il paese, appena la notizia dell’armistizio si diffuse, si riversò nella piazza davanti la chiesa di S. Rocco, protettore del luogo, per ringraziare il santo, per aver esaudito le loro preghiere. Pianti di gioia, donne con le fotografie dei figli pregavano il protettore perchè tornassero presto a casa sani e salvi. L’aspetto che aveva la piazza, talmente gremita, dava la sensazione di una grande festa, che in questi tempi i “Montesi” dedicano alla festa di San Rocco, il giorno 20 Agosto di ogni anno.

Sebbene il paese successivamente non abbia subito alcun torto dai soldati tedeschi, che occupavano le loro postazioni, sia i carabinieri e sia la marina vennero disarmati da una decina di tedeschi, per evitare scontri. Da amici erano diventati nemici……pronti alla vendetta per essere stati traditi. Morì dopo un pò di giorni un soldato tedesco, con una malattia incurabile, nonostante le cure prestate dal medico del paese. Un ragazzo incolpevole che non avrebbe più rivisto la propria famiglia.

Si avvicinava il grande giorno della liberazione, forse era stato precoce pensare che l’armistizio da un momento all’altro avrebbe fatto cessare la guerra: avevamo i tedeschi in casa! Ognuno aveva una grande paura, non prevedendo cosa sarebbe successo. Il paese non era mai stato bombardato, tranne qualche allarme che aveva costretto la popolazione a scendere in rifugi di fortuna.

 

 

PARTE 2

 

 

 

Nella notte un grande boato scosse il paese, seguirono altri colpi. Più tardi si venne a conoscenza che i tedeschi avevano fatto saltare con le mine il ponte sul fiume Bradano, S. Lucia, ed altri ponti di accesso al paese per impedire ai nuovi alleati un avanzamento veloce. Fortunatamente i tedeschi lasciarono il paese in ritirata, senza apportare altri danni. Si prevedeva che gli americani e gli inglesi fossero nelle vicinanze.

Era una bella giornata di settembre, i “Montesi” erano a conoscenza che in giornata i nuovi alleati avrebbero occupato il paese. Si sentiva già il paese in festa, le previsioni erano che una volta insediatosi le nuove truppe ed i tedeschi in ritirata, non c’erano più rischi di combattimento. All’apparire del primo carro armato, la gente in strada si mise ad applaudirlo. La colonna attraversò l’attuale Via Garibaldi, raggiunse Piazza S. Rocco e stava entrando in Corso della Repubblica. Gli applausi erano enormi, gli alleati erano considerati liberatori. Si sventolavano bandiere dai balconi: una accoglienza calorosa. E’ stato un momento di caos generale, quando alcune persone, credendo che i padroni del paese in quel momento fossero loro, trovarono il modo per mettere in atto la loro vendetta. Il vedere Don Carmine, sul terrazzo, battere le mani agli alleati, queste poche persone trovarono l’occasione per esplodere, tanto da non capirci più niente. Per loro era una presa in giro. Ognuno di noi, pur appartenendo ad un partito, può modificare il suo modo di pensare, e, quindi, il suo gesto non era un insulto, come forse era stato interpretato. Molte volte, sui campi di gioco, la nostra squadra del cuore sta perdendo, viene incoraggiata, ma poi vedendo il bel gioco dell’altra squadra si finisce per applaudire gli avversari, specialmente per chi apprezza il bel calcio e il gioco spettacolare. Riconoscere la superiorità degli avversari è un atto ammirevole. Questi individui, entrando violentemente nell’abitazione di Don Carmine, e, non trovandolo, avevano minacciato di uccidere i suoi bambini, in tenera età.

Mi trovavo in Via Metaponto, quando ho visto correre verso Via Pitagora, parallela di Via Metaponto e dalla parte opposta a Corso della Repubblica (ingresso dell’alloggio del segretario), su cui c’erano alcune finestre dell’alloggio di Don Carmine all’altezza di un secondo piano, tanta gente, piangendo, disperata, specialmente donne. Gridavano: “Stanno buttando tutto giù……….Vogliono ammazzare Don Carmine!” Io ero un bambino, non mi rendevo conto che una bella festa potesse degenerare in una tragedia. Unito ad altri bambini ci recammo nelle vicinanze. Dalle finestre pochi uomini si divertivano a buttare giù i mobili e tutto quanto era contenuto nell’alloggio. Una donna si chinò su una divisa di Don Carmine, strappò un piccolo distintivo col fascio, guardandolo lo buttò tra tutto il materiale, dicendo:”Non è nemmeno oro!”. Stavano per dare alle fiamme il tutto, quando vidi mio nonno, tutto preoccupato. Mi afferrò per la mano e nervosamente mi accompagnò a casa: “Non vedi che è pericoloso!” Strada facendo vidi tre uomini, fuori di sè, uno aveva un’accetta sulle spalle. Mio nonno mi rinchiuse in casa. Mi misi a fianco di una finestra, ero preoccupato per il mio amico Luigi. Guardavo la strada piena di gente, molti disperati e confusi, che andavano su e giù, donne che si asciugavano le lacrime coi fazzoletti. Alcuni lanciavano grida di dolore. Non lasciai la mia postazione, soffrivo tanto anch’io, vedendo la disperazione di tutti. Mia mamma mi sollecitava a lasciare la finestra, l’accontentai. Quando sentii un grido lacerante dalla strada:”Hanno ucciso Don Carmine!”

Tornai alla finestra, qualcosa mi spingeva dentro di me a vedere. Passò circa mezz’ora, quando vidi arrivare un carretto, trainato da un mulo(?). Su di esso un materazzo sotto ed uno sopra, tra essi un uomo, non visibile, dalla destra pendeva una gamba insanguinata. Lo stavano portando al cimitero.

Così Montescaglioso si era macchiato di un orrendo delitto, aveva bagnato di sangue le sue strade, cosa che nemmeno la tremenda guerra aveva fatto tanto fino a quel momento! Per la mia età rimasi talmente scosso. Da quel giorno avevo paura, non riuscivo a rimanere più solo in casa! Non ho visto più Luigi, anche se il mio desiderio sarebbe di abbracciarlo. Quella scena terrificante ed inutile, che vedo ancora davanti ai miei occhi, si poteva evitare. La mia tenera età non mi permetteva di giudicare, sapevo solo che Don Carmine faceva del bene. Sono passati tanti anni, mi sono chiesto perchè accadono queste cose? Appartenere a un partito, avere certe idee, può essere motivo di essere eliminati? Avere fatto qualsiasi cosa, non giustifica la gravità di togliergli la vita. Oggi giorno, con l’esperienza anche politica, sono contrario ad ogni tipo di dittatura, amo la libertà, sono un moderato, cattolico, la mia è una condanna per certi crimini. Si fa di tutto per impedire che certi criminali incalliti, già condannati alla pena di morte, siano risparmiati dalla pena capitale, con raccolte di firme e poi…….

Più tardi ho conosciuto il padre e il fratello farmacisti di Don Carmine, un fratello avvocato ed una sorella, che trascorreva le sue ore in chiesa a pregare. Tutte persone da stimare, tutte persone eccellenti, che non avrebbero fatto male ad una mosca. Mi sono interessato anche di avere notizie di Don Carmine. Per capire!

E’ stata descritta come persona estroversa, pronto all’aiuto, specialmente con le persone che era solito intrattenersi. Era ligio al suo dovere di politico….aveva avuto un litigio con suo padre perchè, pare, si sia presentato in una circostanza privo di divisa. Per il posto che occupava, pur tenendosi al di sopra del popolo, non rifiutava di avere un rapporto amichevole con esso. Ascoltava qualsiasi lagnanza. Era un avvocato, anche se per gli impegni politici, la sua professione veniva trascurata.

E’ stato un delitto politico? Non credo. Non esistevano partiti politici organizzati al momento in paese. La sera prima si era intrattenuto, seduto sulla sedia, nella piazzetta, vicino al portoncino della sua abitazione, con dei vicini. Qualcuno gli aveva suggerito: ” Don Carmine, sono periodi poco chiari, noi ti consiglieremmo di andare via alcuni giorni, fino che il tutto torni normale”. Erano preoccupati per l’appartenenza al partito, ormai al declino. Don Carmine:”Perchè andar via, è un paese che non arriva a far del male. Ho cercato di fare del bene a tutti!”

Non si sarebbe aspettato nulla di quanto è accaduto…… Era tranquillo nella sua coscienza…..fare del bene, nel rispetto delle leggi.

No, non credo al delitto politico! Gli assassini avevano un odio personale e non politico. Hanno approfittato della confusione per mettere in atto il loro piano criminoso, in un paese allo sbaraglio. Ricordiamoci che molti analfabeti, ignorando le leggi, pretendono l’impossibile, che nessuno può risolvere senza bacchetta magica. Bisogna considerare che un delitto di matrice politica, avrebbe indotto gli assassini ad utilizzare tutto il ben di Dio trovato per sfamare gente bisognosa, e non bruciare tutto con grande disprezzo.

Ho pensato anche che qualcuno di questi sia stato punito con olio di ricino, come era in usanza, verso coloro che si mostravano avversi al regime, oppure qualcuno di questi, vagabondando per il paese, sia stato preso di forza e mandato a lavorare. Al contrario di oggi che si cerca inutilmente il lavoro, mentre allora mandati, qualcuno non ne aveva voglia. Niente di tutto questo! Dalle informazioni prese in tanti anni non risulta nulla. E allora si vaga nel buio, anche perchè molte volte si incontrano persone che sanno e magari preferiscono non parlare, gli anziani rimasti sulla terra sono pochi. Era l’ultima ruota del carro, non aveva poteri decisionali, non avrebbe potuto decidere l’ingresso dell’Italia in guerra, creando dei lutti.  Poteva essere odiato per errori che venivano commessi da altri, solo perchè vestiva la camicia nera, ma personalmente non ne era responsabile. Se in molte case mancavano tanti giovani, mandati in guerra, non era certamente colpa sua. Con qualsiasi forza politica al governo, e, in caso, di necessità, qualsiasi cittadino ha il dovere di difendere la propria patria. Qualcuno sostiene:” Abbiamo visto buttare dalle finestre due sacchi pieni di sale, tanti sacchi di farina, formaggio, ecc…. Noi, per fare il pane, andavamo a Metaponto a prendere l’acqua del mare, non avevamo nè sale e nè altro. Si viveva di stenti, con la tessera e chi era più fortunato al raccolto, nascondeva il grano nei muri.” Esisteva una differenza di vita, tra il povero e Don Carmine. Una differenza che avrebbe potuto attraverso l’invidia tramutarsi in odio profondo. Non bisogna dimenticare che l’usanza del paese era sempre contraccambiare ciò che veniva chiesto e si otteneva, anche se la persona interessata non chiedeva nulla. Così per un permesso di aprire una semplice finestra al proprio alloggio, anche previsto dalla legge, chi otteneva “il favore” mandava a chi si era interessato, una gallina, un pollo, formaggio, all’uccisione del maiale il miglior pezzo di carne, salumi ed altro. Certamente non sono le tangenti di oggi giorno che ci vengono forniti dai vari giornali, ove le cifre sono sproporzionate, ma quel poco che arrivava giornalmente, permetteva una vita più agiata, rispetto agli altri. Da notare che mentre oggi, riferiamoci a tangentopoli, viene chiesto, allora era chi aveva ottenuto “un favore” a sdebitarsi, con la sua piena volontà e senza pressioni esterne. In altri termini era un piccolo regalo volontario, che si poteva anche evitare di fare. Questo aiuto permetteva a Don Carmine di essere economicamente un gradino al di sopra agli altri. Ma quante volte avrà detto:” Ma perchè ti sei disturbato, pensi alla tua famiglia, hai tanti figli da sfamare……!.”. 

Era appunto questo il motivo, perchè Don Carmine venne eliminato: la gelosia! Una gelosia prodotta proprio dalle usanze del paese! Chi non aveva nulla da mangiare aveva covato un odio profondo tale da portarlo al delitto. Forse non era un odio per Don Carmine, ma per la persona che vive meglio di te. Il delitto politico è da scartare, perchè l’uomo è stato creato per essere libero di pensare, libero di appartenere a qualsiasi pensiero politico o religioso. Se tutti i politici siano destinati a fare questa fine, non avremmo più governanti! L’uomo creato da Dio, qualsiasi camicia egli indossi che sia nera, sia rossa, sia bianca od altro è sempre una persona umana inviolabile. Sono passati anni, una sessantina esatti, ho voluto ricordare un uomo, che i giovani d’oggi, non sanno nemmeno che sia esistito, non sanno nemmeno che Montescaglioso in una giornata di festa, la liberazione, abbia macchiato di sangue le sue strade…….. una scena atroce che io porto davanti agli occhi dalla tenera età di sette anni!  Per quanto l’uomo possa far male, ricordiamoci che Dio ci dà la vita e solo a lui spetta di toglierla!


Commenti da Facebook

12 Commenti

  1. falco

    Ricostruzione un tantino leggerina e approssimata  imperniata solo da sensazioni personali che da quanto realmente accaduto a Montescaglioso. Sicuramente  il nostro storico di Montenet Prof.Cristoforo Magistro saprebbe  aiutarci nel descrivere veramente il personaggio vittima del brutale omicidio.

    Mi trovo d’accordo, solo su una cosa con l’autore:  Un orrendo ed efferato delitto di cui la comunità Montese, del periodo della seconda guerra mondiale, si è macchiata.

    1. tm

      Sarebbe utile conoscere il pensiero di tutti coloro cui “Don Carmine”, continuiamo a chiamarlo cosi, aveva elargito decine di litri di olio di ricino, solo perchè avevano nascosto in casa un mezzetto di grano, o coloro che si erano ritrovati con le figlie violentate o coloro che avevano avuto le gambe e le braccie rotta dai mazzieri di “don Carmine”, cosa ne pensano oggi della ricostruzione del sig. Trotta.

    2. Cristoforo Magistro

      Lo scritto del Signor Trotta è un esempio  utile a capire la differenza fra Storia e Memoria.

      In riduttiva sintesi si può dire che:

      -la ricerca storica si preoccupa sulla base della documentazione reperibile di ricostruire il passato nella consapevolezza di subire l’influenza dell’epoca in cui si vive, ma avendo ben presente lo spirito dell’epoca  in cui i fatti sono accaduti;

      -la memoria ha come oggetto frammenti di passato, ma giudica tutto secondo il presente.

      Nella ricerca storica la memoria (bisognerebbe in realtà ancora distinguere fra memoria individuale e collettiva) è una fonte, nelle narrazioni basate sul vissuto – spesso ricordi distorti dal tempo – la memoria è invece l’unica fonte. 

      Sono differenze importanti come si può meglio capire  dal seguente brano:

      STORIA E MEMORIA. Per quanto la storia possa essere considerata come un’estensione, un raffinamento, una sistematizzazione o una istituzionalizzazione della memoria, e per quanto alcuni storici, come P. Ariès, vedano nella fascinazione per la memoria l’origine della passione dello storico, storia e memoria vanno distinte. Il sociologo M. Halbwachs sosteneva che la storia inizia a essere scritta «là dove la memoria finisce» (La memoria collettiva, 1968, ed. it. 1987): in ogni caso storia e memoria rispondono a logiche dissimili. Ciò che scrive Y.H. Yerushalmi per la differenza tra storia e memoria ebraiche può valere in generale: «la memoria e la storiografia moderna, per la loro stessa natura, si pongono in un rapporto molto diverso nei confronti del passato: la seconda non mira infatti a una restaurazione dei ricordi, ma a un modo di ricordare interamente nuovo. Nella sua ricerca incessante essa porta alla ribalta testi, eventi, processi evolutivi o involutivi che non hanno mai fatto parte della memoria […] Ma non è tutto: lo storico non si limita a colmare le lacune della memoria, ma sottopone a un esame critico anche i ricordi che sono giunti intatti fino a noi» (Zakhor. Storia ebraica e memoria ebraica, 1982 ed. it. 1983). Mentre i processi di selezione, conservazione e ricostruzione del passato operati dalla memoria individuale e collettiva sono ispirati dalle esigenze di guidare pragmaticamente l’azione e di preservare l’identità, quelli operati dalla storiografia sono ispirati dal desiderio di conoscere “obiettivamente” (per quanto sia possibile) ciò che è accaduto, tendono a esplicitare e controllare i criteri di interpretazione delle fonti e, almeno per quanto riguarda la condizione dello storico moderno, sottostanno a regole custodite dalla comunità scientifica. Tuttavia, è possibile rendere questa distinzione meno netta osservando che la storiografia interagisce con le memorie individuali e collettive, sia nel senso che queste definiscono la rilevanza relativa dei campi d’indagine dello storico, sia nel senso che i risultati della ricerca storica retroagiscono sulla cultura di una società restituendo immagini del passato che sono incorporabili nella conoscenza diffusa dei suoi membri (si pensi per esempio all’insegnamento della storia nelle istituzioni scolastiche moderne).( http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/263.htm).

      Venendo a quanto scritto dal Signor Trotta, devo dire che non condivido i suoi giudizi, ma ho trovato il suo racconto di grande interesse.

      Il Don Carmine del suo racconto era in realtà Francesco Locantore, ucciso a Montescaglioso il 19 settembre del 1943, nel giorno dell’arrivo degli  alleati. La violenza nei suoi confronti fu scatenata dal fatto che, formalmente ancora in carica come segretario della sezione fascista, si fosse messo ad applaudire i soldati anglo-canadesi  che sfilavano in piazza, ma era maturata nel clima di gravissime privazioni in cui la popolazione si trovava da tempo.

      In qualche modo la sua fu una morte annunziata. Ne parlava, ad esempio, una lettera firmata “Un Patriotto” – ma gli anonimi più o meno si conoscevano – spedita in prefettura un anno prima: “A Monte scaglioso si vive in uno stato che si cova lo sviluppo di qualcosa di brutto e de proprio causa de l’autoritta e specie del segretario politico…”

      In tale lettera in verità di nomi se ne facevano parecchi, ma gli altri furono più prudenti.

      L’uccisione di Locantore non fu dovuta a elementi di partito, anzi i capi partito comparsi in quei confusi giorni si adoperarono a mantenere la calma e si premurarono di avvertire gli altri fascisti a rischio. A mio avviso fu tuttavia un fatto politico, nel senso letterale del termine, poiché anche se l’azione fu compiuta da una o, comunque, poche persone, fu poi l’intera polis, la comunità nel suo insieme, a farsi moralmente carico dell’accaduto. Tanto che né sul piano giudiziario, né su quello dei si dice si conosce il nome del  colpevole. Eppure c’è qualcuno che ancora oggi afferma di averlo saputo.

      Credo che questo sia significativo.

      Oggi possiamo dire che si trattò di un delitto, ma dubito che in quei giorni l’avremmo giudicato allo stesso modo.

      Alcuni anni fa mi sono occupato delle vicende verificatesi in Basilicata al momento del passaggio dall’occupazione tedesca a quella alleata. Brevemente – per mancanza di riscontri – avevo parlato anche di Monte.

      Mi permetto quindi  di rinviare a quel mio articolo intitolato “Il Materano fra totalitarismo e liberazione alleata” e pubblicato nel Bollettino Storico della Basilicata n. 21, a. XX, 2005, alla pag. 83 e seguenti.

      In ogni caso ne riporto qui, con lievi modifiche, la parte che attiene alla questione.

       

      ll 19 settembre 1943 a Montescaglioso, dopo la ritirata dei tedeschi e l’arrivo delle truppe canadesi del reparto “Gatto nero”, ha luogo una manifestazione guidata dai locali esponenti del Comitato di Liberazione Nazionale. Dal pianerottolo di casa anche  il segretario del fascio osserva il corteo, ma la folla non gradisce il suo atteggiamento. Si sente sfidata e partono fischi e qualche pietra. Quando prova a ritirarsi è inseguito e ucciso.

      I canadesi, presenti, non intervengono e saranno gli stessi capi del CLN a correre dal podestà che, nell’eccitazione del momento, è indicato come prossimo obiettivo per dirgli di nascondersi. Lo farà e quella notte il convento dei Cappuccini ospiterà un nuovo frate[1].

      A Irsina, l’irriducibile cittadella rossa nella quale il regime ha dovuto sospendere l’invio di confinati da altre province e dove, ancora nell’aprile del 1942, i comunisti riescono a far circolare scritti di protesta[2], la mattina del 22 settembre -i tedeschi sono partiti e i liberatori non sono ancora arrivati- una processione per invocare la pioggia si trasforma in manifestazione antifascista. Il movimento è guidato da una ventina di persone che hanno formato una commissione politica – scrivono i carabinieri – allo scopo “di portare la violenza, la distruzione e il disordine nel comune”. La popolazione è stata istigata a parteciparvi promettendo “il possesso della proprietà altrui, specie terriera”. L’azione si conclude col ferimento grave di un fascista e l’uccisione del segretario comunale.

      Per avvalorare l’ipotesi della premeditazione, gli stessi carabinieri si troveranno però a spiegare che la popolazione era esasperata contro i fascisti “che per anni l’avevano angustiata  e che, da ultimo, avevano aiutato i tedeschi che occupavano il paese […] avevano loro denunciato elementi antifascisti e favorevoli agli alleati, avevano procurato dei lavoratori forzandoli a lavorare per scavare trincee e, inoltre, ritiratisi i tedeschi, avevano cercato di organizzare gli elementi fascisti locali[3].” L’ultimo episodio del genere si ha nella colonia confinaria di Marconia, nell’agro di Pisticci. Qui, mentre le colonne alleate si avvicinano, i confinati disarmano il direttore e gli elementi della milizia addetti alla sorveglianza. Un milite si oppone e nel parapiglia che ne segue rimane ucciso[4].

      Ciò che avviene negli altri paesi in questo delicato momento è stato efficacemente raccontato da Rocco Scotellaro per la sua Tricarico.

      Non avviene nulla.

      Il 17 settembre, quando si sa dell’arrivo degli inglesi, il podestà, avuto il benestare degli “altri”, cioè degli antifascisti,  al fatto che sia lui a gestire l’evento, manda il banditore a invitare la popolazione a trovarsi in piazza la mattina dopo. I contadini hanno altro cui pensare e se ne vanno in campagna. Le donne, i nullafacenti, i preti, i commercianti, gli artigiani e gli studenti si fanno trovare pronti all’applauso. Qualche ex emigrato si prepara a fare da interprete. Il podestà e il suo vice, sulla jeep del capitano canadese, incitano la folla ad inneggiare ai liberatori. Al loro passaggio, il più autorevole antifascista del paese, un avvocato inneggia all’Italia. Non sapendo a quale Italia si deve augurare vita, nessuno risponde.

      Intanto un certo don Enrico scende a passi veloci per il corso e, raggiunta la piazza, indica a gran voce il segretario del fascio, gli si avvicina, lo prende per il bavero, aspetta che la folla sia pronta a registrare la scena e gli dà uno schiaffo. Poi, sempre indicando lo schiaffeggiato, invita gli ufficiali canadesi a pranzo a casa sua. Fanno parte della tavolata anche il podestà e il suo vice.

      Inutile precisare che la folla in corteo fino al palazzo del don non è invitata.

      In altri luoghi il passaggio dall’occupazione tedesca a quella alleata precipita in tragedia. Si sa molto dei caduti partigiani e una fitta memorialistica fascista – rinverdita di recente da “Il sangue dei vinti” di G. Pansa – celebra da decenni i propri caduti e diffama la Resistenza. Sono rimaste poco conosciute o, al più, confinate nella storia municipale, solo le tante vicende che videro il sacrificio dei senza bandiera.

      Come quelle di Matera, da tempo ricostruite da Francesco Nitti, uno dei protagonisti, che ha dedicato alcune dolenti pagine anche all’eccidio di Rionero con le sue diciotto vittime. Diciotto persone che cercavano cibo e, complici i fascisti locali, furono massacrate solo per creare terrore.

       


      [1] Devo queste notizie a un testimone che ha chiesto l’anonimato.

      [2] Archivio Prefettura di Matera, gab., relazione del questore sulla “Situazione della Provincia nel mese di Aprile 1942” del 1-5-1942.

      [3] Dagli atti del procedimento tenutosi a Potenza nel dicembre 1945 e già citati da N. Calice in “Partiti e ricostruzione nel Mezzogiorno. La Basilicata nel dopoguerra”, Bari 1976, p. 20.

      [4] L. Sacco, “Provincia di confino. La Lucania nel ventennio fascista”, cit. p. 384.

  2. anycamy

    ….” ero lì quel giorno a casa di Don Frang’schin (si chiamava così), aveva l’abitudine di far chaimare me e mia sorella molto più piccola che sembrava un  bambola con quelle gote bianche e rosse, dalla donna di servizio. Voleva che giocassimo con le sue figlie magre, pallide e sempre malaticce (non ricordo di figli maschi), all’epoca avevo circa 8/9 anni, e mia madre non era mai molto contenta di ciò. Infatti ogni volta che la donna di servizio mi veniva a prendere mi faceva nascondere tietro i traini du Uaddon.

    Avevo mio sorella in braccio quando un botto forte ed improvviso ha colpito la finestra, era un  secchio di ramera poi cominciarono a piovere  sassi e altri secchi di ramera, venivano lanciati dalla strada….Che spavento!…Don Franceschino era lì, sembrava che sapesse già cosa stava succedendo infatti ordinò immediatamente  a Donna Stella (sua sorella) di accompagnare me e mia sorella giù al portone, voleva che andassimo via per non farci correre alcun pericolo, mentre lui si lanciava dalla terrazza sul retro della casa. Fu così che scappò via. Infatti non lo trovarono in casa. Donna Stella ci accompagnò al portone e per mettere in salvo noi che aprì la porta di casa alla folla. Non lo avesse mai fatto! Erano tutti lì, dietro la porta! Quante facce urlanti…Spingevano…Spingevano tanto e forte, la porta si spalancò in un attimo e in un attimo erano tutti su per le scale….Io scappai via tenedo forte la mia sorellina fra le braccia, mi girai solo un attimo, viddi Donna Stella (er na sand’occh) sparire.  Avevo il cuore che faceva bumbumbum e le gambe mi tremavano ma la curiosità era tanta, così ho mollato alla svelta mia sorella da mia madre e sono ritornata. Qundo sono tornata ormai lo avevano trovato e gli avevano fatto il fattaccio….Mi sono fatta coraggio e sono risalita nella casa. Che desolazione tutto distrutto, c’era gente che ancora si accaniva contro gli oggetti, un pianoforte intero lanciato dalla finestra, ricordo ancora il boato quando ha toccato terra. Ma non dimenticherò mai la moglie, era lì stretta nella propria vestaglia, era già a conoscenza della morte brutale di suo marito (preso ad accettate), stretta con tutte le figlie in un angolo della casa, muta senza fare alcun gesto, da quell’angolo guardava fissa una ragazza che le stava derubando tutti gli ori dal comò. Era inespressiva. Imbambolata, Lei con le sue figlie strette a lei . Questo è il ricordo più forte che ho di quel giorno, il ricordo di una donna sola. Pauredd”

    Questo è quanto raccontato da mia madre!

  3. Cristoforo Magistro

    La narrazione proposta da Anicamy è molto bella perché restituisce umanità alla terribile vicenda.

    Il muto dolore della moglie dell’ucciso che si stringe alle figlie, la ragazza che ruba gli ori, il frastuono del  pianoforte buttato in strada e poi – racconta un altro testimone –  dato alle fiamme, in un film sarebbero state scene di grande effetto drammatico. Accaddero realmente.

    Purtroppo, possiamo dire oggi. Ma solo oggi che “il vento come fa ci (si) tace”, allora soffiava forte e rimise in scena  un ultimo episodio di antica barbarie nelle comunità schiacciate e disumanizzate dalla miseria e incapaci di trovare altri modi per ribellarsi.

  4. MICHELE3

    Il mio racconto è stato scritto nel 2003. Ringrazio quanti si siano interessati ad esso. Trovo lo scritto di “Any camy”fedele e ben costruito, io ero dalla parte sottostante quando buttarono il pianoforte dal terrazzo, con un rumore infernale… Voglio solo rettificare che aveva un figlio maschio di nome Peppino e che Don Franceschino si calò dal terrazzo citato, aiutato da una scala, procurata da un compagno di partito. Era troppo alto per calarsi giu. Si rifugiò in un alloggio della Sig.ra IRENE SIMMARANO in Via Pitagora, piano terreno, proprio di fronte al terrazzo. Non fu né inseguito e né ucciso per strada. Ho omesso volutamente la parte più interessante, forse il nocciolo, per la sua atrocità. Mio nonno, nel mentre, mi conduceva a casa, da Via Pitagora, verso Via Metaponto, una piccola piazzetta, giunsero tre uomini, uno muscoloso con un’accetta sulla spalla, insieme a due giovani, tutti e tre agitati. Non essendo riusciti a scovare il segretario, andavano via, forse per raggiungere il Corso, penso, che non sarebbe accaduto più nulla. Avevano distrutto la casa, erano contenti così.

    In quel momento giunse una donna (Luisa): “Dove andate? Tornate indietro!

    Venite con me! So io, dov’è nascosto! E’ da IRENE!

    Questo è quanto ho visto e sentito in mia presenza.

    Successivamente, dopo aver eseguito i miei compiti, passati due anni dall’assassinio, andai ad aiutare e imparare un mestiere, o meglio, salendo su un banchetto, a insaponare e preparare coloro che si recavano dal parrucchiere, in Via Metaponto, per radersi la barba. Il parrucchiere era Emanuele Simmarano, fratello di Irene.

    In quel periodo, specialmente d’inverno, si rifugiavano nel locale i clienti, ove si parlava di politica, di sport, di problemi personali, di tutto….Non c’erano posti di ritrovo!

    Emanuele, una persona seria ed affidabile, informato dalla sorella, ha sempre sostenuto questo:

     

    “Lo trovarono sotto il letto di Irene, in uno stato, era più dall’altra parte, che da questa! Alcuni colpi sulla testa con l’accetto dalla parte non tagliente. Il decesso fu rapido. Con un colpo, dalla parte tagliente dell’accetto, gli recisero quasi la gamba destra. Con una carretta della spazzatura, un materasso sotto, lo poggiarono a pancia in giù, coprendolo con un altro materasso, lo trasportarono al cimitero, come spazzatura. Penzolava, volutamente, la gamba recisa, bagnando le strade che attraversava di sangue. Fu ucciso in casa di Irene e non in strada! “

     

    Il carretto è lo stesso che io ho descritto nel racconto, visto con i miei occhi. Riportato poi al paese, dopo aver depositato il cadavere,venne lasciato in una piazzetta che si raggiunge da Via Monterrone, lato destro dell’abbazia, per anni è stato lì, fino all’autodistruzione.

    Posso affermare che nel salone di parrucchiere, non ho mai sentito parlare male di Don Franceschino, anzi al contrario era elogiato! Non mi risultano violenze sui cittadini, rendiamoci conto che era una famiglia per bene! Lo stesso Emanuele sosteneva che l’odio di Luisa verso il segretario era dovuto a due cause, affidate allo stesso, e perse.

    Chi lo ritiene un delitto politico, scagli la prima pietra! Sono d’accordo che sia avvenuto in un momento da farlo apparire tale……momento giusto….io non ne sono convinto, ci sono odi personali.

     

    Sono informato che il comando anglo-canadese, lasciò ai Montesi una giornata di libertà,

    Non so se ci fosse anche la licenza di uccidere….???

    Solo davanti a Dio chi ha sbagliato verrà punito!

    1. MICHELE3

      Voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno scritto, sostenendo in coro che il mio racconto è fedele a quanto accaduto: <E’ uguale, sostituendo i nomi, a quanto raccontato da mio nonno!>.  Colgo l’occasione per salutare tutti i miei concittadini. MICHELE TROTTA.

  5. fralo

    Ho letto con molto interesse, sono Francesco Locantore, il nipote di ” Don Carmine” come lo chiamate Voi, ed il figlio di Peppino , Suo figlio, allora di soli 7 anni.
    Per molti anni il 19 settembre ho accompagnato mio Padre, che ora non c’é piú, ad onorare la tomba di mio nonno al cimitero di Monte……….dopo quello che ho letto, continueró a farlo da solo.

    1. MICHELE3

      Ciao Francesco. Voglio unirmi a te per il dolore per la mancanza di tuo padre. Eravamo amici inseparabili, persino, eravamo seduti nello stesso banco a scuola. Facevamo i compiti insieme e poi le passeggiate per il corso di Montescaglioso….. Ci siamo sentiti qualche anno fa per telefono con la speranza che un giorni ci saremmo incontrati. Voleva darmi i documenti processuali per ampliare il racconto. Credo che, nella semplicità,il racconto penetra nei cuori dei giovani. Ti sono vicino, in questo momento triste. Continua il 19 settembre ad andare dal nonno, credimi, lo merita!

      1. Umberto Berto

        Con gli occhi pieni di lacrime ho letto il tuo racconto che si mescola alle parole confuse di mia madre Cesira (la terza dei sette
        figli) che
        ci raccontava, sin da piccoli, quei terribili momenti. Momenti di paura che hanno segnato per sempre la
        sua e la nostra vita. Momenti di odio assurdo che infangheranno per sempre la storia di Monte e dei montesi.
        Siamo fieri di Nonno Franco. Anche mio figlio si chiama Francesco, non a caso.
        Che Dio perdoni i suoi assassini!
        Grazie Michele

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