PONGO ALLA VOSTRA ATTENZIONE QUESTO LIBRO PUBBLICATO RECENTEMENTE.
Sicuramente ne sentiremo molto parlare.
Terroni è un libro sul Sud e per il Sud, la cui conclusione è che, se centocinquant’anni non sono stati sufficienti a risolvere il problema, vuol dire che non si è voluto risolverlo. Come dice l’autore, le due Germanie, pur divise da una diversa visione del futuro, dalla Guerra Fredda e da un muro, in vent’anni sono tornate una. Perché da noi non è successo?
PINO APRILE:
Giornalista e scrittore, pugliese, residente ai Castelli Romani, anni di lavoro a Milano. È stato vicedirettore di Oggi e direttore di Gente; per la Tv ha lavorato con Sergio Zavoli all’inchiesta a puntate “Viaggio nel Sud” e al settimanale di approfondimento del Tg1, Tv7.
VI ALLEGO QUELCHE PAGINA DEL SUO LIBRO.
SI ACCETTANO PENSIERI E CONSIDERAZIONI IN MERITO. BUONA LETTURA
Grazie Falco terro’ presente il suggerimento.
Il tema storico dell’unità d’Italia è sempre molto interessante.
Mentre nessuno si improvvisa matematico, chimico, fisico e via dicendo, in tanti – guardandosi bene dal far ricorso ai più elementari strumenti del mestiere: la ricerca, il confronto e l’analisi critica delle fonti- si accapigliano con le affermazioni della più qualificata storiografia per proporre come verità rivelate ricostruzioni fatte con pezze argomentative d’ogni forma e colore.
Entro certi limiti questo è naturale, la storia è una scienza umana – troppo umana, verrebbe da dire – poiché tratta di questioni che riguardano la vita collettiva ed è quindi giusto che come accade – o sarebbe bene che accadesse – per la politica, tutti ne parlino.
D’altra parte il linguaggio della storiografia ufficiale italiana è stato per molto tempo inaccessibile ai non addetti ai lavori e questo ha aperto spazi a quella take away predigerita. Oggi, spesso, non è più così; da una ventina d’anni circolano su vari argomenti lavori di divulgazione di buona qualità scientifica, ma per pigrizia si continuerà – e magari fosse almeno così- a leggere la storia d’Italia scritta dal giornalista Montanelli anziché quella del filosofo Benedetto Croce o dello storico di mestiere Ernesto Ragionieri; sulla Resistenza si leggerà lo spigolatore truffaldino Giampaolo Pansa invece di chi, prima di fare una qualunque affermazione, si è rovinato gli occhi nella consultazione di migliaia di documenti come Claudio Pavone.
Gli esempi potrebbero continuare, ma, se così è, pazienza. A un certo punto però si dovrebbero mettere dei paletti all’improvvisazione, alla superficialità e alla malafede.
Oggi che, fra Lega Nord e movimenti autonomistici per il Sud, l’unità nazionale è messa in discussione da personaggi e con motivazioni di desolante rozzezza – a parte ogni altra considerazione: è o no ingiusto che l’opera di Mazzini e Garibaldi sia vanificata da Bossi e Calderoli?- e a Terzigno si bruciano le bandiere mentre ad Adro, in quel di Brescia, le si sostituiscono con simboli del folklore locale, credo che sia importante prendere posizione contro la cialtroneria che mistifica il passato rendendo ancora più confusa ogni idea sul nostro possibile futuro.
E del mare di cialtroneria che ci sta sommergendo il pamphlet “Terroni” di Pino Aprile è un esempio.
Retorica, malafede e vittimismo appaiono evidenti fin dalle prime parole: “Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni.
E cancellarono per sempre molti paesi, in operazioni “anti-terrorismo”, come i marines in Iraq.
Non sapevo che, nelle rappresaglie, si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali, come nei Balcani, durante il conflitto etnico…”.
Queste affermazioni si riferiscono alla repressione del brigantaggio che fu fatta indubbiamente con molta, e spesso immotivata, durezza non dai “piemontesi”, ma da quello che era il nuovo esercito italiano.
In tale esercito c’era, indiscutibilmente, una prevalenza, specie fra gli ufficiali, di piemontesi, ma ciò non toglie che quello fosse l’esercito italiano. Paragonarlo ai nazisti significa truccare la discussione, annullare la specificità di comportamenti, motivazioni e circostanze.
A parte ciò il confronto non regge sul piano fattuale: a Marzabotto furono trucidate, in sei giorni, 1800 persone, fra cui 50 bambini.
Dove e quando accadde qualcosa di simile nella repressione del brigantaggio?
Aprile non lo dice, così come non dice quali paesi del sud furono cancellati, né dove e quando i “piemontesi” stuprarono “donne meridionali, come nei Balcani, durante il conflitto etnico”.
Contro la moda che, in nome delle persecuzioni subite dalle popolazioni del Sud, durante la repressione del brigantaggio cerca di contrabbandare il brigantaggio stesso come cosa buona e giusta dovette, qualche anno fa, prendere posizione il compianto professor Raffaele Giura Lonfo. Lo fece, a nome
della Deputazione di Storia Patria per la Lucania, per motivare il divieto fatto dal prefetto di Potenza al sindaco di Latronico che avrebbe voluto intitolare ai briganti una via cittadina.
Un’ultima osservazione, diciamo tecnica, andrebbe fatta ad Aprile che, da direttore di Gente, venderà molte più copie di qualunque onesto, sudato e meritevole lavoro di storia vera. Ed è questa. Quando si riportano fra virgolette cose scritte da altri, in gergo citazione, bisogna indicarle con un numeretto e, poi riportare nome dell’autore, titolo dell’opera dalla quale si è attinto, pagina, ecc.
Aprile Pino è così autorevole di suo che non sente il bisogno di rendersi credibile adempiendo a questo elementare dovere di trasparenza e cita, a dritto e a rovescio, le opere più disparate.
Con il sistema da lui usato si può sostenere anche che gli esquimesi muoiono di caldo.
Può capitare a chi denunzia una truffa di essere trattato da malfattore dagli amici e ammiratori del truffatore. E così è successo che il mio giudizio negativo su una pubblicazione che il tam-tam della pubblicistica neoborbonica e antirisorgimentale va propagandando in questi giorni come un capolavoro, abbia dettato allo scrittore G. Lomonaco uno sgradevole commento -www.urlodelsole.it/ – su quanto avevo detto.
Ne prendo atto, ma non mi sembra il caso di aprire qui polemiche che confonderebbero ancora più i termini della questione.
Rinnovo le mie critiche a “Terroni” di Pino Aprile.
E aggiungo le seguenti altre considerazioni.
Fin dall’inizio l’autore usa la tecnica concitata degli imbonitori da fiera del passato e dei televenditori dei giorni nostri per catturare l’attenzione e la benevolenza di chi ascolta: io non sapevo, ignoravo, né sapevo, né potevo immaginare…Fino a “Io credevo che i briganti fossero proprio briganti, non anche ex soldati borbonici e patrioti alla guerriglia per difendere il proprio paese invaso.”
Che dire ? Che se prima di scrivere avesse letto, avrebbe scoperto anche che molti briganti, in Lucania Crocco e tanti altri, erano stati anche ex garibaldini. Gli archivi sono aperti a tutti, non ci sono carte nascoste, internet pullula, letteralmente, di pagine filoborboniche. Molte cose sul brigantaggio si possono sapere stando tranquillamente seduti davanti a un pc. Ad esempio, gli atti della Commissione d’inchiesta sul brigantaggio sono sul sito http://archivio.camera.it/
Leggendo qualche altra pagina dell’estratto, ho notato altre grossolane falsificazioni.
Ne indico le più sfacciate.
A pag. 8 l’autore scrive che mai avrebbe “immaginato che i Mille fossero quasi tutti
avanzi di galera.” C’è di che dubitare riguardo alla fondatezza dell’affermazione. Ma, se anche fosse vera, viene da chiedersi se ad Aprile hanno mai detto che anche “quasi tutti” i componenti dei nostri primi governi repubblicani erano avanzi delle galere fasciste e che molti dei loro campagni non erano neanche riusciti a diventare avanzi perchè in galera furono fatti morire.
Nella stessa pagina dichiara di aver scoperto che la spedizione nelle Due Sicilie fu “parzialmente finanziata dalla massoneria”. Dov’è lo scandalo? Le associazioni segrete, fra cui la massoneria, erano le uniche forme di organizzazione politica possibili nei regimi tirannici. Oggi la massoneria è vista giustamente con sospetto; proiettare le ombre della massoneria attuale – che in ogni caso non è stata e non è solo quella di Gelli e della P3- su quella del 1860, è intellettualmente disonesto.
Fra le pagine 13-14 del pacco di Aprile troviamo quest’altra perla:
«Il Sud è stato privato […] della sua gente (con una emigrazione indotta o forzata senza pari in Europa)».
È una perla falsa. I paesi che nell’Ottocento hanno avuto più emigrati sono stati quelli del Nord Europa.
Per la sola Germania negli anni 1850-1897 emigrarono soltanto per gli Stati Uniti 4.048.907 persone (http://aad.archives.gov/aad/). Si calcola che nel complesso dallo stesso paese partirono fino al 1914 in dieci milioni.
Dall’Italia le partenze per gli Usa negli anni 1855-1900 furono 845.368. Fino al 1900 la stragrande maggioranza proveniva dalle regioni del Nord Italia. Nei successivi quindici anni l’esodo partirà anche dal Sud, ma il contributo delle regioni settentrionali resterà molto forte. Ciò che accadrà negli anni cinquanta-sessanta non mi sembra che si possa attribuire ai “piemontesi”.
Su alcuni atteggiamenti della parte peggiore della classe politica meridionale un editorialista del Corriere della Sera, Panebianco, ha scritto (in http://www.corriere.it/editoriali/10_ottobre_26/classe-per-nulla-dirigente):
« L’aspetto più grave non sta nella protervia dei maneggioni ma nei pensieri e nelle parole di tante persone per bene. Chiunque scriva di Mezzogiorno sa di cosa parlo. Quando si toccano questi argomenti si ricevono tanti messaggi dal Sud, spesso di professionisti o di insegnanti. Persone istruite, che fanno opinione nei rispettivi ambienti. Persone capaci di fare l’apologia del regno borbonico, di trattare Cavour e Garibaldi come criminali di guerra, di liquidare la storia dell’Italia unita come il frutto di un’odiosa colonizzazione. Questa forma di autoassoluzione, condita di leggende nere sull’unità d’Italia è, da sempre, la maledizione del Sud. Se non se ne libererà non cambierà mai nulla. E dei «doni» della democrazia resterà solo una capacità di ricatto sempre meno sopportata dal resto del Paese.»
Non vorrei che avesse ragione.
Michele Torraca – deputato del Collegio di Matera dal 1886 al 1906- in una lettera a Pasquale Villari scriveva ( in L. Musella “Individui, amici, clienti”, Il Mulino, 1994, pag. 85):
«Io credo che il miglior modo di curare i mali del Mezzogiorno sia di dire ai meridionali: – Voi siete stati e siete pessimi medici di voi medesimi. Anzi! Ciò di cui si lagnano i meridionali è per 99 parti su 100 colpa dei meridionali. Che cosa hanno saputo fare, proporre, pensare? Ed oggi non fanno che dolersi ancora, piagnucolare, mendicare. Se la prendono col Governo, con lo Stato. Nel concreto Governo e Stato siamo noi. Di ogni Ministero fecero parte tre o quattro meridionali, di ogni Camera, dal 1860 in qua, fecero parte oltre 150 deputati del Mezzodì.»
Oltre che sui siti dei nostalgici dei Borbone, giustamente si parla del libro di Aprile nel blog di Grillo, se ne è parlato anche – leggo in http://www.pinoaprile.it/?p=95- in una trasmissione radio con l’autore e con storico Lucio Villari che, mi par di capire, non l’ha gradito per niente.
Da quanto ne ho letto, i fatti che Aprile denunzia sono tutti accaduti e già ampiamente noti: è l’interpretazione che ne dà, la falsificazione di alcuni dati, l’accostamento improprio a fatti ed eventi di diversa natura (Marzabotto, l’Olocausto) e il giudizio complessivo che suscita sdegno.
Fra i giornali a diffusione nazionale ho trovato solo la recensione de “Il Riformista”. Che non lo considera proprio una pietra miliare della storiografia italiana, ma un preoccupante fatto di costume. Condivido e riporto di seguito l’articolo di Alessandro Leogrande
«Tra le tante urla lanciate contro i 150 anni dell’Unità d’Italia, non mancano quelle che provengono da Sud, dal cuore di un rinnovato movimento d’opinione neo-borbonico. La galassia sudista è viva e vegeta. Ha le sue riviste e i suoi siti di riferimento (il più articolato è http://www.eleaml.org). Le sue manifestazioni in costume, i suoi libri, in particolare uno.
Da qualche mese è uscito nelle librerie, riscontrando un buon successo di vendite, Terroni del giornalista Pino Aprile. Pubblicato da Piemme con il sottotitolo Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero meridionali, vuole essere un fosco affresco di tutti i possibili mali patiti dal Mezzogiorno a opera dei “piemontesi” da quando l’Italia è stata unificata. Poiché il libro è stato subito definito dal governatore siciliano Raffaele Lombardo come il suo testo di riferimento, e pare conquistare consensi ben al di là dell’asfittico universo sudista, merita attenzione. Non solo è il segno della presenza in Italia di una corrente uguale e contraria (molto uguale, per quanto apparentemente contraria) a quella della Lega Nord, ma è anche un ottimo esempio di come queste rivendicazioni vengono articolate.
Capita di leggere in Terroni frasi come questa: “i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto”. Oppure, a proposito della conquista: “Noi non sappiamo più chi fummo. Ed è accaduto come agli ebrei travolti dall’Olocausto (il paragone non è esagerato: centinaia di migliaia, forse un milione di meridionali furono sterminati dalla truppe sabaude; da tredici a oltre venti milioni, secondo i conteggi, dovettero abbandonare la loro terra in un secolo): molti scampati ai lager cominciarono a domandarsi se il male che li aveva investiti non fosse in qualche modo meritato.”
Olocausto, un milione di morti… Sono parole molto pesanti, e prive di un reale fondamento storico. Tuttavia sono pronunciate con tutta calma. In questo minestrone, i piemontesi sono come i nazisti, o i militari americani a My Lai e a Guantanamo. I meridionali come gli ebrei, i neri ai tempi della schiavitù in un altro Sud, gli indiani…
Nell’universo neo-borbonico, di cui Terroni è la punta dell’iceberg, il noi e il loro si tagliano con l’accetta, e la storia della penisola si racchiude in pochi concetti. I Mille erano “tutti criminali” (altro che studenti e volontari!) e la loro Spedizione è stata solo la testa d’ariete della colonizzazione e del saccheggio. La guerra al brigantaggio è stata la vera guerra contro il Sud: ha distrutto un Regno fiorente e liberale (!), ha generato la mafia e l’emigrazione all’estero, ha portato morte e distruzione.
Ora, nessuno può negare che la guerra al brigantaggio fu condotta in maniera spietata, con esecuzioni sommarie, arresti di massa e incendi di villaggi. Nessuno può negare che è stato proprio il silenzio della storia ufficiale su tali eventi e sul reale numero dei morti, ad aver alimentato le favole revanchiste. Il generale Cialdini parlò di quasi 9mila fucilati, la Commissione di inchiesta parlamentare sul fenomeno del 1863 fornì la cifra di 3.500 morti. Sicuramente i morti fino al 1865 furono molti di più, ma da qui ad arrivare a parlare di genocidio, di un milione di morti, ce ne vuole…
Ma tant’è, il dibattito nei 150 anni dell’Unità è fatto anche di questo. Soprattutto in Terroni non c’è nessuna attenzione (e ciò è sintomatico di un certo spirito del tempo) alla differenze interne al Risorgimento, alle differenze tra Unità d’Italia ed errori (anche orrori) dello Stato unitario. Non si dice mai, ad esempio, che tra i vinti della prima metà degli anni sessanta dell’Ottocento non c’erano solo i borbonici o i sostenitori dell’ancien regime, ma anche gli stessi garibaldini, gli stessi democratici, gli stessi repubblicani che avrebbero voluto un’altra Italia.
Non si dice mai che il Risorgimento, per decine di migliaia di italiani (molti dei quali giovanissimi), non è stata una conquista imperialista, ma il tentativo di creare un paese nuovo, liberato dagli assolutismi e dagli autoritarismi dell’epoca. Non si dice mai, ad esempio, che molti dei mali del Sud (che ancora incredibilmente persistono, e che nel tempo si sono ulteriormente aggravati) erano già presenti prima dell’Unità, né che rimasero irrisolti anche perché lo Stato unitario decise di affidare la burocrazia delle regioni meridionali ai vecchi burocrati del Regno delle Due Sicilie, non certo ai democratici.
Ma forse il principale errore di Terroni è quello di supporre che tra pensiero neoborbonico e meridionalismo (il meridionalismo di Fortunato e Nitti, di Salvemini e Fiore, di Dorso e di Gramsci) non ci sia alcuna distinzione. Che si sia in presenza di un tutt’uno scagliato contro l’Unità d’Italia. Purtroppo in questo errore di prospettiva, e di riconsiderazione di quella che è stata una delle parti migliori del pensiero politico italiano, Aprile non è solo.
Salvemini, ad esempio, ha analizzato a fondo la condizione dei contadini meridionali, gli squilibri tra Nord e Sud, e gli errori (anche orrori) dello Stato Unitario. Ma il suo meridionalismo non è mai stato separatista, anzi era l’elaborazione di una questione nazionale. Le due grandi correnti del meridionalismo (quella democratico-radicale e azionista, e quella marxista e gramsciana) vengono dal Risorgimento, dai pensieri di Pisacane e di Cattaneo, dai proclami della Repubblica Romana, non da Franceschiello e la sua corte. Avrebbero voluto “più Risorgimento”, non la sua dissoluzione.
Quando Carlo Levi, nel Cristo si è fermato a Eboli, scopre il brigantaggio e il mito ancora fortissimo dei briganti, non riconduce questa scoperta nell’alveo del separatismo neosudista, ma la reinterpreta all’interno di una riflessione sul ruolo dello Stato, e sul suo rapporto con le autonomie locali.
Tra i tanti sconfitti, in questo 150ennale dell’Unità, c’è proprio il meridionalismo più illuminato, aperto e universalista, italiano ed europeo, democratico e riformista, feroce innanzitutto contro la borghesia “lazzarona” e la piccola borghesia “depravata” del Meridione. Un meridionalismo che ha sempre criticato il “noi”, non solo “loro”. Oggi invece rimane sul campo una retorica consolatoria della sconfitta e del rancore. La lagna dei Borboni.»
Questo articolo è stato pubblicato il giovedì, 29 luglio 2010
Un grazie particolare al Prof. Magistro per il merito e per il metodo.
Saluti.
Ho spesso pensato che discutendo di storia viene facile dire tutto e il contrario di tutto… ma questo è vero solo se non si usa metodo e rigore come in qualsiasi altra scienza.
In quest’ottica le parole forti di Cristoforo riguardo al libro propoto da falco in fin dei conti non sono neanche così forti.