domenica 22 Dicembre 2024

Don Cozzi” Temo per la mia vita”

Don Marcello ha fatto una conferenza stampa. Leggete un pò che cosa ha detto. Corvo in un altro post ha fatto riferimento alla querela ricevuta pochi giorni fa.

Clima di tensione dopo polemiche manifestazione in ricordo Elisa
Potenza, 18 set. (Apcom) – "Temo per la mia vita. Potenza mi ricorda tanto la provincia Agrigentina degli anni Novanta in cui fu ucciso il giudice Livatino". Lo ha detto don Marcello Cozzi, coordinatore per la Basilicata dell’associazione antimafia Libera, durante una conferenza stampa a Potenza convocata per riflettere sulla "obiettività dell’informazione locale", all’indomani delle polemiche sorte in riferimento alla manifestazione organizzata domenica scorsa in occasione del 17esimo anniversario dell’omicidio di Elisa Claps, la studentessa uccisa nel 1993. Il prete antimafia si è soffermato su un articolo pubblicato oggi da un quotidiano locale in cui un pentito si addosserebbe la responsabilità del duplice omicidio Gianfredi, commesso a Potenza nel 1997. "Io – ha continuato il prete – so altri nomi e li ho già riferiti alla Magistratura".
 
Sottolineando il clima di tensione e i "numerosi attacchi" nei suoi riguardi, don Cozzi ha lanciato un chiaro messaggio: "l’unico modo per fermarmi è di farlo fisicamente. Possono anche eliminare me – ha continuato – ma non fermeranno mai il vento di speranza che soffia su Potenza e su tutta la Basilicata". Il coordinatore di Libera ha poi annunciato che presto partirà una raccolta di firme a Potenza, da inviare al Csm, per chiedere agli organi competenti di "verificare l’operato della dottoressa Felicia Genovese, il pm che all’epoca dei fatti indagava sul caso Claps" e che non ha mai chiesto che fossero acquisiti gli abiti indossati da Danilo Restivo – unico indagato dell’omicidio – nel giorno della scomparsa della ragazza e i tabulati telefonici di casa sua. Nella raccolta firme si chiederà inoltre di verificare l’opportunità della posizione della Genovese, giudice dell’antimafia, il cui marito, dottor Michele Cannizzaro, ha avuto "contatti telefonici con uomini della ‘ndrangheta".

E’ dovere di tutti esprimere la solidarietà per un uomo che combatte da anni contro i poteri forti, soprattutto per far capire a tutti che non è solo. Pensiamo ad esempio all’invio di mail ecc.

Mario Dimich 


Commenti da Facebook

6 Commenti

      1. Raf

        Io direi di fare un’e-mail a nome di chi (nella community) voglia firmarla.
        Come abbiamo fatto in altre occasioni.

        Direi:
        Mario, se hai voglia, ti chiedrei di fare una proposta di lettera.
        Poi chiediamo agli utenti di firmarla…

  1. webmaster

    Lettera aperta al direttore del Quotidiano della Basilicata Paride Leporace

    Domenica, 12 settembre 2010.

    Felicia Genovese e Michele Cannizzaro accusati pubblicamente di essere in odor di mafia. Questo sarebbe, secondo il Quotidiano della Basilicata, il “teorema del don”. Un teorema che scandalizza, suscitando sdegnate reazioni, oggi più che mai. Ma quale sarebbe la novità? Più volte in questi anni sono state rese pubbliche le relazioni inquietanti di Michele Cannizzaro, marito della pm antimafia Felicia Genovese (Licia per gli amici), con esponenti della ‘ndrangheta. Addirittura, Antonio Massari, in un articolo pubblicato su La Stampa l’8 maggio 2007 dal titolo inequivocabile: “gli strani amici della pm”, aveva raccontato di esponenti della ‘ndrangheta visti uscire dai carabinieri dalla casa di Michele Cannizzaro, a Potenza. E se a Reggio Calabria o a Laganadi non deve essere difficile avere rapporti anche sporadici con malavitosi, a Potenza, che non è un isola felice, ma obiettivamente Reggio non è, un po’ di impegno bisogna mettercelo. Oppure bisogna essere sfortunati. Io sono un comune cittadino, che di fronte a queste notizie si chiede se certi fatti per troppo tempo nascosti non possano spiegarne altri apparentemente inspiegabili. E poiché rispetto al dolore di una famiglia che attende giustizia da 17 anni proprio non riesco a girarmi dall’altra parte, qualche domanda me la pongo. Ho il dovere di pormela. Da questo dovere nasce un impegno dentro Libera, che tutto è meno che un’associazione di giustizialisti assatanati e senza prospettiva. Questo il direttore Leporace lo sa bene, tanto è vero che più volte in questi anni ha affiancato Libera nelle sue manifestazioni, ribadendo la volontà di contribuire al riscatto morale e civile di questa regione, sebbene non fosse la sua, per rispetto della sua stessa storia di giornalista e di uomo. O avevo capito male? Avevo male interpretato la sua profonda stima nei confronti di don Marcello Cozzi (a cui chiedeva di presentare il suo libro), di Libera, di questa parte di società che non si rassegna al silenzio e all’asservimento? E di Michele Cannizzaro già si parlava. Se ne parlava nel 2006 quando 41 cittadini lucani, tra cui il sottoscritto, decisero che certe istanze di verità e giustizia, non potessero più essere nascoste, come non potessero più essere nascosti certi nomi. Abbiamo organizzato incontri, pubbliche manifestazioni, non di una piazza giustizialista ma di donne e uomini che nel ritrovarsi sperimentavano finalmente l’esistenza di una società civile libera, anche in Basilicata. Quel movimento piaceva così tanto al direttore del Quotidiano, una volta. Certo, si può cambiare idea, le valutazioni possono evolversi, a partire dai fatti. E questo è evidentemente un segno di intelligenza. Non riesco a capire, però, in che modo i fatti avrebbero oggi reso prive di fondamento le richieste di allora, quelle che lei condivideva, caro direttore. Quelle che tu condividevi, caro Paride. Mi ricordo quando mi chiedevi se era vero che poche ore dopo la scomparsa di Elisa ci fossero già in giro tanti manifesti stampati (in realtà erano solo fotocopie). Tutta la città ne era tappezzata, te lo aveva detto Michele Cannizzaro, volendo alludere a chissà cosa. Eravamo in treno, Potenza Roma, ricordi?, e di Elisa non si sapeva ancora nulla. Glielo dici tu al dottor Cannizzaro che dovrebbe vergognarsi per quelle illazioni? Come, è bene ricordarlo, dovrebbe vergognarsi la dott.ssa Fasano, la gent.le signora che disse che anche lei sarebbe fuggita da quella casa, riferendosi alla famiglia Claps. Peccato che Elisa non era fuggita, ma era dove sappiamo, barbaramente uccisa e scientificamente occultata. Ma loro non si vergognano. Tanto è vero che a poche ore dalla manifestazione del 20 marzo (10.000 giovani in piazza), mentre ancora risuonavano nelle teste e nelle coscienze le parole di Filomena, la mamma di Elisa, erano lì a via Pretoria, ad ostentare sicurezza, calma, normalità. In questi mesi, nel verminaio di polemiche e pettegolezzi, tra i quali l’ultimo, ridicolo perché falso, sulla rissa sfiorata tra Libera ed Azione Cattolica, abbiamo assistito alla grottesca commedia di personaggi della nostra comunità attenti a difenderne l’onorabilità da chissà quali accuse. Neanche un secondo dopo il ritrovamento di Elisa, gentile direttore, sul suo giornale, Andrea Di Consoli si affrettava a dire che occorreva chiedere scusa alla pm Felicia Genovese e a suo marito, Michele Cannizzaro, ingiustamente accusati in tutti questi anni, perché, come era evidente, Elisa non era stata sciolta nell’acido come aveva rivelato qualche anno fa il pentito Gennaro Cappiello. Elisa però non era fuggita, nessuno l’aveva vista in via IV novembre, nessuno l’aveva vista uscire dalla chiesa della Trinità, e non era stata ritrovata neanche il 17 marzo, ma chissà quanto tempo prima, chissà quante volte! Nella chiesa in cui nessuno aveva guardato, dando il tempo a qualcuno, probabilmente non il suo assassino, di occultarne il cadavere. Lei, direttore, in questi mesi ha tentato di scaricare la responsabilità del mancato sequestro degli abiti di Danilo Restivo sul capo della Squadra Mobile del tempo, il dott. Grimaldi, che avrebbe commesso questo gravissimo errore all’insaputa del magistrato, la dott. Felicia Genovese. Dilungandosi poi su questioni tecniche riguardanti i tabulati, a suo dire non disponibili a causa del tipo di centrale in uso all’epoca a Potenza (sui tabulati non acquisiti e probabilmente ancora disponibili aveva scritto il procuratore Setola nel 2000). Tutto questo per difendere la professionalità e l’onorabilità della pm Felicia (Licia per gli amici) Genovese. Che però, rispetto alle richieste reiterate, mai aveva dato questa spiegazione alla famiglia Claps. Se non ignorante, se non complice, certamente una persona di squisita sensibilità umana, come più volte ci ha ricordato, urlando tutta la sua indignazione, la signora Filomena. Sui fatti, su questi fatti e su altri, tutti auspichiamo che venga fatta piena chiarezza, così da smascherare le false notizie messe in giro ad arte per confondere l’opinione pubblica. Si capirà finalmente quali e quanti teoremi sono stati costruiti a vantaggio di chissà chi, quali e quanti servigi sono stati resi dall’informazione ai potenti di turno. Non posso fare a meno tuttavia di credere che la ricerca di verità non è mai ansia forcaiola, se basata sui fatti, ma il faticoso dovere di ogni cittadino. E se i fatti in questione sono le telefonate sporadiche di un personaggio rispettabile, marito di un magistrato, con esponenti della ‘ndrangheta, le sue frequentazioni con Gianfredi fino al giorno prima del suo omicidio (anche se da medico), l’amicizia con Martinelli, amico di Gianfredi, che la moglie cancella dall’elenco delle persone da intercettare, tutti fatti pubblici, io tranquillo non sono. Non lo sono pur sapendo che tutti questi fatti, anche se messi insieme, ben difficilmente potrebbero reggere al giudizio di un tribunale. Sono però tali e tanti gli errori e le omissioni nelle indagini sull’omicidio di Elisa Claps, da farmi ritenere che qui ci si trovi o davanti a un disegno criminoso di cui il magistrato è complice o a un magistrato di una “superficialità sconvolgente”, per usare le parole del giudice Gerardo D’Ambrosio, non proprio uno qualunque. In entrambi i casi, mi pare che ci siano tutte le condizioni per chiedere l’intervento del Csm. Forse sarebbe il minimo della decenza. A meno che non si creda che il Csm debba occuparsi solo di quei magistrati accusati di interpretare il proprio lavoro come una missione (vedi caso de Magistris). Ovviamente, caro direttore, io non ho cambiato idea da quando queste cose le scrivevo sul suo giornale. Quel giornale che ai “teoremi del don” dava ampio credito e che oggi ha semplicemente e legittimamente cambiato “don” di riferimento. Personalmente la ritengo una perdita culturale e morale, ma evidentemente ciascuno è libero di avere le proprie opinioni, tanto più un direttore di giornale competente ed esperto, quale lei certamente è. Mi meraviglia, pertanto, che nell’introdurre il suo editoriale lei abbia ironizzato sul “sermone scritto e recitato” a proposito delle denunce di don Marcello Cozzi, definendolo leader del movimento giustizialista lucano. Eravamo lì, insieme a Gildo e alla sua famiglia, per sostenerli in questo lunghissimo calvario, eravamo lì con i nostri figli, a cui cerchiamo di insegnare con fatica la scelta delle vittime come scelta di campo. La scelta della verità, senza sconti per nessuno, come scelta di vita. E non ho colto omissioni nelle parole di don Marcello, che da prete non schizofrenico sa quanto costa l’amore per la chiesa volto di Cristo e per il Cristo incarnato nel prossimo più indifeso. Altri invece, questa volta, avevano deciso di non esserci, a cominciare dal nostro sindaco, della cui sincerità non dubito quando chiede verità e giustizia sulla mano assassina, ma che dimentica, forse, i diciassette anni di omissioni, coperture, depistaggi (innocenti o meno), silenzi complici e silenzi indifferenti. Lui, così attento alla sua immagine, questa volta non c’era. Perché? Quanti teoremi, caro direttore. Vede come è facile? Io ritengo che si tratti di domande, ma non posso non rendermi conto che evocare la ‘ndrangheta come domanda possa essere un po’ forte. Qualcuno può anche sentirsi diffamato. Io invece credo che di fronte a una vicenda così oscura, di fronte a un magistrato che non ha saputo fare neanche le cose più elementari, di fronte all’omertà delle tante persone coinvolte, interrogarsi su certe frequentazioni, chiedersi e chiedere se non ci sia il rischio di condizionamenti all’azione di un magistrato, che in passato non ha avuto neanche l’accortezza di astenersi immediatamente dalle indagini sull’omicidio Gianfredi come avrebbe dovuto, non sia altro che una necessaria domanda di giustizia. È evidente, poi, che sulle interpretazioni di alcuni fatti ci si possa dividere anche tra persone perbene. A me però non sfugge il senso profondo della canzone di De Andrè che i giovani potentini hanno evocato il 20 marzo in uno striscione: “Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti”. La diffamazione, i teoremi, caro direttore, sono un’altra cosa. Sono d’accordo con lei sul bisogno di chiarezza, ma non credo che stabilire se una domanda di verità e giustizia sia diffamazione o meno serva a questo. Serve la verità completa sui fatti. Quella che tutti diciamo di volere, perché finalmente sia resa a tutti giustizia. E nel frattempo, dal mio punto di vista, è legittimo che lei abbia rispetto e forse affetto per Felicia Genovese e Michele Cannizzaro. A proposito, le ricordo che c’è un quarto “don”, diffuso in Basilicata, ma anche in Calabria, attribuito a persone davvero rispettabili e non mafiose. Mi saluti don Michele. Io, se vuole, le saluto don Marcello. P.S. Non posso fare a meno di manifestare, a margine di questo intervento, il mio personale dispiacere per una linea editoriale che ai miei occhi appare come una profonda linea d’ombra su un percorso di rinnovamento dell’informazione in Basilicata in cui in tanti avevamo creduto.

    Rosario Gigliotti Referente provinciale Libera -­‐ Potenza

  2. drago

    caro raf, provo a scrivere qualche parola..

    Desideriamo rivolgere a Don Marcello e a "Libera" alcune riflessioni circa gli avvenimenti degli ultimi giorni. Ci riferiamo ai ripetuti attacchi a Don Marcello, che è stato protagonista il 12 settembre di una grande manifestazione, fatta per ricordare la povera Elisa Claps.

    Conoscendo bene l’operato di Don Marcello e di Libera nell’instacabile iniziativa per difendere la legalità nella nostra terra sfortunata, esprimiamo piena solidarietà e vicinanza e rinnoviamo la volontà di impegnarci con "libera" per cercare di fare luce sui troppi misteri che avvolgono la storia della nostra regione. Questo intento rimane prioritario e gli attacchi possono solo rafforzare la nostra volontà.

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