Dal Diario di Fidenza – 16.05.2010
di Franco Bifani
Ho voluto iniziare parafrasando le parole di una nota canzone di Dalla, ma il mio intento è quanto mai serio, anche se, spero, non serioso. Il caro "sudista", ma, idealmente non il solo, cui scrivo, con affetto e simpatia, è Tonino Ditaranto, proprio lui, in carne ed ossa, finalmente conosciuto, di persona, al Ridotto del Magnani, venerdì sera, per la presentazione del libro "Rossa terra mia". Mi aspettavo una persona del tutto diversa, chissà perchè me l’ero immaginato alto, magro, sui 30 anni, con barbetta. Ma la sua simpatia, la sua cara e gradevole semplicità, il suo calore ed entusiasmo, ti prendono subito, come gli stringi la mano, sono fortemente e "pericolosamente" contagiosi. Ogni tanto ci davamo, via e-mail, del terronaccio e del polentonaccio; fossero tutti come te, Tonino, i "terronacci"!
O come quei simpaticissimi ragazzi con cui, all’entrata del Magnani, ho scherzato un poco, prima del tuo arrivo, e che, a volte, parlavano un lucano stretto, per me incomprensibile. Su al Ridotto, che io pensavo per me irraggiungibile e per cui ti avevo chiesto un eventuale supporto per avanzare in salita, ho finalmente conosciuto anche Guido Giombi, accompagnato dal flemmatico sir Carduccio Parizzi, e Villiam Vernazza. Anche qui una sorpresa, me li ero figurati del tutto diversi. Ed ho rincontrato il caro amico Fausto Maria Pico, che non vedevo più da ere geologiche; mi ha duramente rimproverato per non aver ancora letto i suoi libri di poesie e mi ha ricordato, per l’ennesima volta, che sua sorella Anna Maria, mia compagna di classe al Ginnasio a Fidenza, ancor oggi biasima il mio caparbio rifiuto di studiare le regole di latino.
Il fatto è che io non reggo nemmeno la lettura delle liriche altrui, fatta eccezione per i grandi dell’800 e del ‘900; a sum propria antig cme i brugn! Ed ho finalmente incontrato anche il fustigatore della neo-edilizia perversa borghigiana, Ambrogio Ponzi, il figlio del mitico Ettore, di cui conserva lo sguardo penetrante e severo; tutto grazie a te, Tonino! E poi è iniziata la presentazione del libro, che io avevo preventivato come noiosetta anzichenò- intorno a vicende che io assolutamente ignoravo, di quella terra, la Lucania, fuori dai circuiti della storiografia cattedratica ufficiale, ed anche tagliata fuori dai percorsi turistici più trendy ed esclusivi. Ho apprezzato, con vera commozione, le parole di Filippo Novello, figlio di quel bracciante, Giuseppe, ucciso dai poliziotti di Scelba nel ’49, a Montescaglioso, durante le lotte per il possesso delle terre; parole semplici, chiare, efficaci, di una riservatezza pudica nobilissima, quasi eroica; un uomo straordinario, Filippo! Poi ha parlato a lungo Vera Lamonica, sindacalista della CGIL; aveva subito puntualizzato che era calabrese. Alla fine dell’incontro, l’ho avvicinata e salutata, complimentandomi e congratulandomi con lei, e le ho specificato che, anche se non avesse confessato le origini calabre, ci avrebbe pensato la sua parlata inconfondibile. Quella donna non parlava solamente, ma dardeggiava fuoco e fiamme, mi ha incantato con l’entusiasmo di quanto esponeva, con veemenza oratoria coinvolgente; avrebbe potuto continuare ancora lungo e non mi avrebbe minimamente annoiato. Il suo discorso aveva la forza e l’energia di una colata lavica dell’Etna. Dico la verità che gli ultimi interventi dei politici di professione, Garbi, Bartoletti e Bubbico, mi sono risultati, al confronto, molto meno coinvolgenti. Tornato alla magione, mi sono documentato sulle vicende di Montescaglioso e sono rimasto allbito per quanto è successo a quella povera gente indifesa, di fronte alla violenza delle forze dell’ordine di allora -ma anche di adesso, no?-. Novello testimoniava, con grande tristezza, che, nel ’49, in quelle zone, si viveva ancora nel profondo Medioevo, in tutti i sensi. Ho letto poi un pezzo del giornalista Rocco De Rosa, che ricordava, oltre a Vincenza Castria, altre eroine del paese, come Marianna Menzano, Anna Avena, Nunzia Suglia, che fra l’altro scontarono in carcere quasi un anno di pena. E se non vado errato, rimase invalido per la vita, in quella sparatoria senza ragioni e senza senso, anche un certo Michele Oliva.
All’uscita, dopo aver salutato,la signora Lamonica e Novello, mi son perso per le strade di Fidenza; avevo urlato ai lucani, stretti in falange verso una pizzeria: "Ueh, lucani, ma a noi polentoni nun ce vulite proprio?". Mi stavano trascinando con loro, ma poi ho calcolato l’ora, la mia tarda età, la disponibilità di chi doveva farmi da cane-lupo, verso casa, essendo io mezzo cecato, e mi sono congedato, tra parlanti dialetti sconosciuti. Tonino, poi, era uccel di bosco, l’avevo perso di vista. Tornato a casa, mi son buttato sul divano e mi sono raccolto in meditazione, poco trascendentale e molto immanente, pensando al fatto che avevo forse perso un’occasione per conoscere gente di un Sud profondo e sconosciuto, veramente straordinaria, tale da farmi ripensare e correggere certi miei bruciori antimeridionali da polentone incallito, come mi rimprovera sempre il solito Tonino, tanto più essendo io un meticcio di lombardi e campani. E mi è venuto a galla, nel gran pelago della memoria, quanto mi aveva scritto appena il giorno prima, proprio lui: che volevo di più dalla vita, dopo non solo uno, ma diecine di lucani?
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L'articolo è allo stesso tempo simpatico e profondo. Uno spunto di riflessione per tutti. Un bell'esempio di rapporto tra "nordico" e "sudista".
L'attaccamento alle proprie origini e alla propria terra non esclude il sentirsi vicino con chi viene da lontano.
Tonino è una persona speciale.