La Riforma Agraria in Basilicata.
Il latifondo medievale. Fin dal sec. XI i Benedettini di Montescaglioso e di Pisticci (MT), i Cistercensi di Chiaromonte (PZ), i Basiliani di Carbone (PZ), i maggiori monasteri di Matera ed i Feudatari dei paesi costieri, posseggono gran parte delle terre coltivabili del metapontino e della collina materana. La sola abbazia di Montescaglioso, all’apice della propria ricchezza, giunge a possedere circa 25.0000 ettari. Il latifondo medievale è organizzato intorno a grancie e masserie fortificate erette al centro di comprensori rurali ove i proprietari, ecclesiastici e laici, esercitano e detengono complesse giurisdizioni feudali. Le masserie sono a servizio di feudi rurali con superfici tra i 100 ed i 2.000 / 3.000 ettari. Al loro interno sono presenti, depositi, stalle, frantoi, forni, abitazioni e chiese al servizio dei lavoranti. Molte strutture sono fortificate e fin dal medioevo hanno dato rifugio alla popolazione rurale durante le incursioni saracene. Nel Vulture i maggiori complessi patrimoniali terrieri sono costituiti dalle vaste proprietà delle abbazie benedettini della SS. Trinità di Venosa, di S. Ippolito a Monticchio e di S. Maria di Banzi. Tra i secoli XI e XIV, i tre monasteri possedevano circa 170 masserie e chiese in Basilicata, Puglia, Calabria e Campania. I feudatari di Montescaglioso, Chiaromonte, Senise e Tricarico, controllano altre ampi comprensori produttivi del metapontino e del retroterra. Tra il Vulture e la Capitanata, nel sec. XVI, lo “ Stato “ dei Principi Doria a Melfi ed Avigliano, controlla una vasta parte della fertile pianura del fiume Ofanto ed i terrazzamenti vulcanici del Vulture ricchi di risorse naturali. L’estensione dei feudi dei Doria è tale da determinare già nei secoli XVII-XVIII la nascita di nuove borgate nelle quali si insediano braccianti, contadini e pastori utilizzati per la lavorazione di sempre più ampie superfici agrarie sottratte al bosco ed alle foreste. Nell’ Altobradano altre enormi proprietà sono organizzate intorno alla case feudali di Irsina e di Genzano che controllano un comprensorio che potrebbe definirsi come il granaio della regione. Il sistema, anche a causa di un popolamento relativamente ridotto, consentiva margini di sopravvivenza accettabili. I monaci benedettini, ma anche i baroni seppure con una maggiore propensione ad uno sruttamnto intensivo della manodopera, consentivano a vari settori della popolazione l’accesso alla risorse agricole. Molti terreni erano fittati a piccoli contadini mentre sui pascoli ed i boschi la popolazione praticava gli usi civici ovvero il diritto collettivo di pascolare piccole greggi, cacciare, raccogliere legna e frutti. Tale assetto resta sostanzialmente immutato fino al secolo XVIII salvo l’inarrestabile aumento demografico che moltiplica i conflitti e le povertà.
Lo smantellamento del latifondo medievale. Dopo la Rivoluzione francese, l’occupazione del Regno di Napoli da parte dei Francesi e l’insediamento sul trono del Borbone di Giuseppe Bonaparte, nuove leggi ispirate alla legislazione d’Oltralpe, tentano di riorganizzare lo Stato e perseguono l’affrancamento definitivo della società da un assetto ancora medievale. Con la legge del 2 Agosto 1806, il Bonaparte abolisce la feudalità. Il decreto del 13 Febbraio 1807, sancisce la soppressione di gran parte delle comunità monastiche del Regno. Altri regolamenti e leggi, collegati ai primi provvedimenti consentirono allo Stato l’incameramento e la vendita di molti beni appartenuti ai feudatari ma soprattutto ai monasteri ed alle istituzioni monastiche. La ricca borghesia urbana, vedeva finalmente soddisfatta la storica richiesta di accesso alla proprietà ma la gran massa dei contadini, pur in piccola parte beneficiata dalla suddivisione dei demani comunali, restava esclusa dal processo di redistribuzione fondiaria. Si forma così un nuova forma di latifondo in mano a poche famiglie insediate nelle città e nei paesi che acuisce il conflitto con la popolazione. Le estensioni delle singole unità produttive, più ridotte rispetto al precedente organizzazione latifondista, restano comunque molto vaste. Nel tentativo di espandere ulteriormente le proprietà i nuovi latifondisti limitano o tentano di abolire gli usi civici e cercano di appropriarsi dei demani comunali ove la popolazione più povera trovava margini per la propria sopravvivenza e praticano uno sfruttamento più intensivo della terra e della manodopera. Con l’Unità d’Italia il processo di smantellamento del latifondo medievale giunge a compimento e la nuova classe di ricchi proprietari consolida il proprio potere e intensifica lo sfruttamento della terra con il sistematico disboscamento e la costruzione di nuove e grandi masserie nelle quali si concentra la manodopera, lo stoccaggio e la lavorazione dei prodotti.
L’Unità d’Italia: l’illusione della terra ai contadini. Già nella prima metà del secolo XIX in gran parte del Meridione erano avvenute violente rivolte contadine con la richiesta dell’accesso alla terra e soprattutto della difesa degli usi civici sui demani comunali usurpati da grandi proprietari. Nella costruzione dello stato unitario, l’appoggio popolare a Garibaldi è condizionato dalle grandi aspettative sulla redistribuzione delle terre che però resta solo un’illusione. Il processo di unificazione dell’Italia rafforza il predominio dei grandi proprietari terrieri nonostante la parte della borghesia più illuminata abbia ben chiara la drammaticità della condizione popolare. Tra il 1860 ed il 1866 il “ Brigantaggio “ rappresenta una drammatica reazione popolare alla nuova fase politica mentre nei decenni successivi l’avvio di un massiccio esodo verso le Americhe, fornisce un nuovo sbocco alla condizione dei contadini.
Agli inizi del movimento per le terre. Tra l 1891 ed il1895, nella Sicilia postunitaria i primi movimenti contadini si scontrano con la violenta reazione dello Stato. Il Movimento dei Fasci Siciliani è represso nel sangue, con l’impiego dell’esercito, dal governo capeggiato da Francesco Crispi che pure era stato uno dei principali organizzatori della ” Spedizione dei Mille “. Nei primi anni del novecento a Matera, si sviluppano i primi movimenti contadini lucani organizzati e sindacalizzati. Ne è protagonista la “ Lega dei Contadini “ fondata nel 1902 da Luigi Loperfido, nato a Matera, cresciuto a Montescaglioso, formatosi negli USA e, dopo il rientro in Italia, in contatto con il nascente movimento socialista. Noto a Matera e nei paesi vicini come il “ Monaco Bianco “ imprime al movimento una dimensione evangelica e guida i contadini nelle rivendicazioni per aumenti salariali e riduzione dell’orario di lavoro. Le richieste dei lavoratori originano scioperi ed occupazioni di terre, ma anche la reazione della polizia. Nel 1902 a Matera sono feriti 24 lavoratori ed è ucciso il bracciante Giuseppe Rondinone. I reduci della prima guerra mondiale sono protagonisti di una nuova ondata di richieste e lotte contrastate dal nascente fascismo. L’attività del Monaco Bianco è duramente repressa e nel 1940, è inviato al confino. Ma l’Italia è ormai nuovamente in guerra.
I movimenti contadini nel secondo dopoguerra e l’occupazione delle terre a Montescaglioso. Le prime avvisaglie del movimento in Basiilicata si registrano negli anni 1943/45 con rivolte a Ferrandina, Montescaglioso e Matera, motivate dalla reazione popolare all’incetta di grano e cereali praticata da molti grandi proprietari. Il Referendum repubblicano e le elezioni del 1948 stabilizzano e radicano sul territorio le forme associative, sindacali e partitiche ma anche l’apparato di controllo dello Stato. In Sicilia la reazione degli agrari è violenta: la mafia assassina numerosi sindacalisti, tra questi Placido Rizzotto, e il primo Maggio arma la mano di Salvatore Giuliano la cui banda spara a Portella della Ginestra provocando tra i contadini ben 11 morti. Ad Irsina e Montescaglioso le prime municipalità democraticamente elette promettono la terra ai contadini. A Montescaglioso il comune delibera l’assegnazione di quote del demanio comunale ai contadini non possidenti. In tutto il Meridione dilaga la richiesta di una riforma agraria. Lo stesso governo De Gasperi è convinto della necessità di un intervento risolutivo ed in tal senso riceve anche l’appoggio americano, ma si scontra con una ostinata opposizione degli agrari. Nel 1949 in tutto il Meridione si susseguono agitazioni ed occupazioni di feudi, terre incolte e demani. La reazione delle forze dell’ordine è dura. Eccidi di contadini e braccianti si susseguono a Melissa (Crotone) con tre morti il 29 Ottobre del 1949 e a Torremaggiore (Foggia) con due morti il 29 Novembre dello stesso anno. Le organizzazioni sindacali ed i movimenti della sinistra per il 3 e 4 Dicembre convocano contemporaneamente nelle principali città assurte a simbolo della lotta contadina le cosiddette “ ASSISI DELLA TERRA “. Una di queste sedi è Matera. Le ASSISI danno nuovo impulso al movimento per la terra riescono a mantenere le richieste dei contadini in un ambito lcosttuzionale ed evitano derive insurrezionali. Nei giorni successivi le organizzazioni contadine riprendono con maggiore impulso ed in tutto il materano le occupazioni delle terre. Centro nevralgico del movimento in Basilicata è Montescaglioso ove la Camera del Lavoro organizza la sistematica occupazione di terreni nei demani e nella valle del Bradano. Le occupazioni proseguono per tutto il mese di Dicembre del 1949 e vedono in prima fila soprattutto le donne. Nella notte tra il 13 ed il 14 Dicembre, reparti di Polizia e Carabinieri, dopo aver interrotto l’energia elettrica rastrellano Bernalda e Montescaglioso arrestando i dirigenti del movimento tra cui molte donne. A Montescaglioso, su Corso Repubblica, all’incrocio con via Chiesa Maggiore e via S. Stefano, i Carabinieri sparano sul corteo di contadini che cercano di impedire la traduzione degli arrestati nelle carceri, provocando numerosi feriti, uno dei quali, Giuseppe Novello, morirà il 17 Dicembre. Nello stesso giorno della morte di Novello, le organizzazioni sindacali e gli agrari firmeranno i primi accordi che prevedono la concession in fitto a contadini senza terra di circa 5.000 ettari.
FOTO in alto. 1. In un periodico del PCI lucano le prime testimonianze della mobilitazione dei contadini motivata dalle speculazioni sul grano attuate dagli agrari. Il titolo del giornale documenta la violenza dello scontro sociale in atto nel 1944. 2. Stesso giornale nel 1946: la richiesta di una riforma agraria è già presente nel movimento contadino e la mobilitazione promossa dai sindacati tenta di coinvolgere anche i ceti medi produttivi. 3/4. Lo scontro più feroce è in Sicilia ove la mafia è in prima linea. Dopo il massacro di Portella della Ginestra, il 10 marzo 1948 scompare il sindacalista socialista Placido Rizzotto il cui cadavere sarà ritrovato a Corleone il 15 dicembre del 1949. Tra gli accusati dell’omiidio c’è Luciano Liggio. Le indagini furono condotte dal Capitano Carlo Alberto Dalla Chiesa. FOTO in basso. 1/2 I resoconti dell’Unità sui fatti di Montescaglioso a firma di Alberto Jacoviello, successivamente celebre corrispondente estero di ” La Repubblica ” e nativo di Lavello. 3.ll manifesto della CGIL per commemorare Novello. 4. Nota fotografia, conservata in molte case del paese, che ritrae i braccianti di Montescaglioso sulle terre occupate a Tre Confini. E’possibile riconoscere molte persone protagoniste degli eventi del Dicembre 1949.
La Riforma Agraria. L’estensione del movimento contadino, permette al Governo De Gasperi di superare l’opposizione degli agrari alla riforma agraria ormai non più rinviabile. D’altra parte la stessa Costituzione, promulgata il 27 Dicembre del 1947, nell’art. 44 ne delineava i caratteri disponendo che “ al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove e impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostruzione delle unità produttive, aiuta la piccola e la media proprietà”. Le leggi, presentate dal governo De Gasperi, furono tre. Il primo provvedimento di riforma fondiaria, la cosiddetta “Legge Sila”, relativo alla Calabria fu quello del 12 maggio 1950 (legge 12.5.50 n. 230). Nell’ottobre successivo venne approvata la “ Legge Stralcio ” (legge 21.10.50 n. 841) che estese la riforma ad altri territori individuati da un successivo decreto governativo nel Delta padano, la Maremma tosco-laziale, il bacino del Fucinoin Abruzzo, alcune aree della Campania, dell’Abruzzo, del Molise, della Puglia, della Basilicata e della Sardegna. Il 27 dicembre, la Regione Sicilia emanò un’altra legge di riforma, adeguata al peculiare territorio dell’isola. La riforma interessò circa il 30% della superficie agraria e forestale del Paese: furono espropriati circa 700.000 ettari dei quali 450.000 nel Mezzogiorno e nelle isole e 250.000 nei territori dell’Italia centrale e Settentrionale. L’esproprio riguardò 2.805 proprietari terrieri ed interessò tutte le grandissime proprietà (oltre i 2.500 ettari), il 64% di quelle superiori ai 1.000 ettari e solo il 10% delle proprietà con una estensione intorno ai 50 ettari. I comprensori delimitati dalla Riforma furono otto e in ognuno di essi operarono uno o più Enti di Riforma appositamente istituiti. Contestualmente agli espropri fu avviata la realizzazione delle opere di bonifica e di trasformazione fondiaria più urgenti. L’assegnazione delle terre espropriate alle famiglie contadine avvenne con un contratto di vendita e pagamento rateale previsto in 30 annualità.
Le strutture della Riforma.
Il passaggio della proprietà delle terre dagli espropriati ai contadini fu realizzato in tre anni così come definito dalla legge e le assegnazioni riguardarono due tipologie di proprietà: i poderi e le quote. Il ”podere” aveva una dimensione media di circa 9 ettari ed era assegnato a contadini, braccianti e salariati che non avevano mai posseduto un pezzo di terra. Il podere era completo di abitazione per la famiglia, stalla, forno, cisterna e costituiva una unità produttiva teoricamente autosufficiente. La “quota” era un appezzamento di ben più ridotte dimensioni, circa 2,5 ettari, ed era assegnata come una integrazione a piccole proprietà già già possedute dalle famiglie. L’avvio della Riforma fu accompagnato da un massiccio intervento di infrastrutturazione del territorio: bonifiche, viabilità, scuole rurali, irrigazione, realizzazione centri sociali e borghi. Particolarmente importanti nel materano la realizzazione dei bacini artificiali di S. Giuliano e Gannano che permettono l’irrigazione del metapontino e la fondazione di due borghi Policoro e Scanzano Jonico che diventano comuni autonomi nel 1959 e 1974. Altri importanti nuclei della Riforma furono Taccone e S. Maria d’Irsi a Irsina, Calle a Tricarico, Venusio a Matera, Monteserico a Genzano, Caprarico a Tursi, Pianelle a Montescaglioso, Serramarina a Bernalda,S. Cataldo a Bella, Boreano a Venosa. Nei borghi e centri della Riforma erano sono presenti servizi commerciali, scuole ed attività di assistenza tecnica ai coltivatori, direttamente gestiti dall’Ente Riforma che organizzava perfino l’invio di bambini nelle colonie estive ed i corsi di alfabetizzazione dei contadini. Il successo ottenuto nel metapontino non si ripeterà, almeno in Basilicata, in altre zone e nella stessa misura. L’isolamento dei poderi, l’assenza di irrigazione, la mediocre qualità delle terre di molti comprensori di espropriio, determinano ben presto un sistematico abbandono dei poderi e la ripresa dell’emigrazione che negli anni sessanta spopolerà tutti i paesi della Basilicata.
Bibliografia:
Fonti:
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