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Carnevale in Basilicata

Riti e tradizione del Carnevale in Basilicata. 

I riti di Carnevale costituiscono l’occasione nella quale le pulsioni ancestrali più profonde della civiltà agropastorale del Meridione emergono in tutta la loro spettacolarità. Non c’è comunità nel Sud nella quale non si rinnovino le tradizioni che mutano da paese a paese, mantenendo però alcuni substrati comuni quali il legame con i riti della fertilità, l’avvio del nuovo ciclo stagionale agricolo, il risveglio della natura, la cacciata del vecchio,  il rapporto con il bosco, la transumanza,  l’innesto della civiltà cristiana con i rimandi alla morte e soprattutto all’imminente Quaresima. In Basilicata si conservano alcune delle tradizioni più complesse e codificate del Mezzogiorno le cui radici più profonde giungono fino ai riti pregreci connessi al risveglio della natura ed ai Saturnalia romani. A S. Mauro Forte sfilano i suonatori di campanacci; a Teana, un feroce Orso rapisce il Carnevale destinato a sicura morte; a Satriano ancora un Orso ed il Romita sbucano dalla foresta per chiedere offerte; a Montescaglioso tra campanacci e maschere agresti si volta le spalle al vecchio e si guarda al nuovo; a Cirigliano sfilano i mesi e ad Aliano le maschere cornute.

Il Carnevale di Tricarico si annuncia già il 17 Gennaio con la benedizione degli animali davanti alla chiesa di S. Antuono Abate, Santo del giorno e protettore degli animali.  Sfilano personaggi che impersonano tori e vacche. Neri con nastrini rossi i primi, bianche con nastrini colorati le seconde. Inquadrati secondo un ordine rigoroso che si rifà alla mandria in transumanza, il corteo è diviso in due gruppi aperti e guidati dal massaro, vestito di pelli, con bastone e fucile, impegnato a mantenere l’ordine nella coloratissima sfilata e ad impedire e controllare le intemperanze dei tori che inseguono le vacche, o meglio le giovenche, mimando selvaggiamente l’atto della monta. Tutti scuotono imponenti campanacci momentaneamente sottratti ai bovini e le vie del paese sembrano attraversate da un immensa mandria in movimento. Come altrove anche qui gli abitanti offrono vino, salumi e formaggi che costituiranno la dote per le libagioni notturne prima che il Carnevale muoia. E come è tradizione Carnevale muore sempre a pancia piena. Il carnevale di Tricarico è stato oggetto di vari studi.. Carlo Levi ne resta fortemente suggestionato e scrive: “… Il paese era svegliato, a notte ancora fonda, da un rumore arcaico, di battiti di strumenti cavi di legno, come campane fessurate: un rumore di foresta primitiva che entrava nelle viscere come un richiamo infinitamente remoto; e tutti salivano sul monte uomini e animali ….”. Bronzino prende spunto dagli studi di Ernesto Demartino  sul menadismo e i riti orgiastici femminili laddove scrive che “Anche le Pretidi, al pari di Io, appaiono nell’atto di ”fare le vacche” (Proerides implerunt falsis mugisibus agros), e ad Io che è inseguita dal bovaro dai cento occhi e che arresterà la sua corsa in un paesaggio arboreo e acquatico dove si compirà in forma simbolica il suo destino di madre, fa riscontro, nel mito argivo, la terapia del mantis Melampo, che con l’aiuto di giovani robusti organizza un inseguimento delle fanciulle (che imitano le giovenche, n.d.r.), mediante gridi rituali e danze di possessione…”.  E pertanto ipotizza per il Carnevale di Tricarico il permanere di memorie ancestrali nelle quali confluirebbero riti di origine greca, italiche-enotrie e lucano-sannitiche. Altri studiosi (Biscaglia, Spera) collocano il radicarsi di tali usanze nel medioevo quando a Tricarico si sarebbe affermata un’economia basata prevalentemente sull’allevamento del quale la transumanza costituisce un elemento essenziale. Appare, però, ovvio che se pure le attuali tradizioni possono ricondursi al medioevo, le stesse conservino memoria di elementi mitologici riconducibili a culture ancora più arcaiche e basate anch’esse sulla pastorizia il cui mondo, nelle fasi storiche magnogreche non doveva essere molto diverso nel medioevo.    

   

Sant’Antuono e quindi il 17 Gennaio è la data che a S. Mauro Forte, si aspetta per tutto l’anno. Anche qui si vive il rito indissolubile tra campanacci, transumanza, cicli agricoli e tradizionale festività dedicata al taumaturgo egiziano nel cui nome da sempre i contadini invocano la benedizione sugli animali. Il campanaccio è strumento indispensabile nella tenuta delle mandrie. Ogni animale ne è provvisto e serve a segnalarne la presenza nei boschi e sui pascoli. Il suono, all’orecchio esperto del pastore, aiuta a individuare anche la gerarchia tra gli animali poiché al momento della transumanza, le vacche seguiranno, aiutate anche dal campanaccio, la femmina riconosciuta come ” capomandria “.  Le sfilate dei ” liberi suonatori “, una sorta di mandria in movimento, ormai impegnano il paese per ben tre giorni, ma tradizionalmente il momento centrale della festa era costituito dal pomeriggio/sera del 16, vigilia di S. Antuono. Tradizione vuole che nel pomeriggio si preparino le grandi e profonde cantine-grotte del paese con brace, desco, vino, formaggi e salumi pronti a rifocillare e sostenere la fatica dei ” suonatori ” ed a fine manifestazione, a notte fonda, fare l’abbuffata finale con il gruppo di ” appartenenza “. All’imbrunire i vicoli del paese sono invasi da gruppi intabarrati in mantelli scuri, con in testa cappellacci che spesso nell’antichità erano costituiti dalle coperture in vimini dismesse dalle damigiane ed armati dell’immancabile ed imponente campanaccio. Ogni gruppo, quasi come un clan familiare o amicale, può avere qualche variante distintivo nell’abbigliamento e può essere preceduto da personaggi che inalberano lunghi bastoni con appesi campanelli, spighe di grano, nastrini colorati ed altri emblemi tipici della cultura dei massari e dei pastori. In qualche gruppo sono ancora presenti animali da soma, con sul  ” basto ” la testa tagliata al povero maiale appesa per le orecchie, vittima sacrificale predestinata dell’antico rito. A S. Antuono infatti si ” fa la festa ” al maiale, intesa come riconoscenza al tanto ben di Dio che il povero animale, curato e ingrassato per tutto l’anno, procura alla famiglia. Ogni gruppo comincia la propria sfilata con i tradizionali e rituali tre giri intorno alla chiesa di S. Rocco ove è esposta la statua di S. Antuono. Il pesante campanaccio è impugnato sul ventre e ritmato congiuntamente dall’intero gruppo. Un incredibile fragore stordisce per ore l’intero paese ed aumenta all’inverosimile quando le comitive si incrociano ed allora si scatena una sorta di sfida tra suonatori. I campanacci sono individuati come maschio, quando il batacchio sporge dallo strumento, e femmina quando invece la bocca dello stesso è molta larga. I rimandi a simboli della fecondità della terra sono evidenti come pure la funzione del fragore: cacciare la malannata, il malocchio, l’anno vecchio, propiziare l’avvio del nuovo ciclo agricolo che dovrà portare messi abbondanti ed un nuovo porco sempre ben ingrassato.

Anche ad Accettura, il 17 Gennaio i campanacci accompagnano la festa di S. Antuono. Al centro del rito è il falò che ogni rione accende. Se ne contano ogni anno tra i 20 ed i 25. La statua del Santo, accompagnata da organetti, zampogne e ceramelle, visita ogni fuoco intorno ai quali giungono poi i cortei dei campanacci.  

A Cirigliano il corteo celebra la morte di Carnevale e la nascita del nuovo. Qui è possibile leggere l’affondare delle radici del Carnevale nei riti della fertilità e nei cicli agricoli, collegati all’arrivo della Primavera, ma anche la memoria ancestrale delle feste annuncianti l’anno nuovo nel mondo indigeno, romano ed altomedievale. La sfilata è composta da maschere che rappresentano i mesi dell’anno accompagnati da campanacci e maschere cornute. Gennaio vestito di bianco, Aprile colorato e infiorato, Giugno, le messi indorate, Novembre grigio e triste. Tra lazzi e danze, la rappresentazione si conclude con il funerale di Carnevale. Personaggi ricoperti di bianche vesti ed improbabili e blasfemi preti, precedono con una croce ed il teschio di un bovino il feretro di Carnevale impersonato da un giovanotto in carne ed ossa. Emaciato e ben vestito, come ogni cadavere che si rispetti, il finto morto non rifiuta l’offerta di vino. Così pure i portatori del defunto giammai si sottrarrebbero all’assaggio del vino nuovo che si stura proprio a febbraio. Segue la vedova di Carnevale, la Quaremma, che urla e si lamenta, ben sapendo però che il congiunto è già pronto a risorgere. Il feretro  è seguito da una rappresentazione di Carnevale fatta con un pupazzo di paglia e stracci che alla fine del corteo finisce sul rogo. Muore il vecchio ed il nuovo è già pronto a rinascere nella ciclicità dell’offerta propiziatoria e, nell’avanzare della notte, accompagnato dai bagordi prima dell’arrivo del mercoledì delle ceneri.

  

    

     

Le maschere  cornute di Aliano, sono quanto di più arcaico si possa rintracciare in Basilicata.  I personaggi sono addobbati con fasce di cuoio dalle quali pendono campanelli e numerosi finimenti usati per muli e cavalli. Alla vite, una sorta di cintura realizzata con crine di cavallo ed in testa una orrenda maschera nella quale spiccano grandi corna, enormi nasi e addobbi formati da penne di gallo e, come descritto da Carlo Levi, in mano pelli di pecora rinsecchite ed arrotolate, usate come bastoni sulla schiena di quanti intralciano il corteo. In serata il fraseggio di sfottò sui personaggi e gli eventi del paese. Chiaro ed evidente anche in questo caso la ” discendenza ” diretta dal mondo della transumanza e dei pastori e massari. 

A Montescaglioso Carnevalone, nasce soprattutto dalla cultura dei massari e dei braccianti. Anticamente i costumi erano realizzati con pelli di animali, ma anche Carnevalone si è evoluto insieme al mondo contadino. Per realizzare ogni anno i costumi si utilizzano i materiali disponibili sul momento, la tela di canapa, di juta ma anche la plastica dei sacchi per le sementi del grano, carta, cartoni e stoffe di vestiti in disuso. Il Carnevalone come la natura ricicla quasi tutto. All’alba del martedì grasso, ha inizio il lungo rito della vestizione. Il gruppo ha precise figure e gerarchie. Apre la parca che rotea il lungo fuso tra le gambe della gente: simbolo della ruota del tempo che gira e della morte che prima o poi arriva. Guai a farsi colpire. Seguono i portatori dei campanacci più grossi, sbattuti con l’ausilio del ginocchio: con il fracasso scacciano il vecchio, la malasorte e ritmando le cadenze della transumanza. La tetra figura della Quaremma , vestita di nero e con in braccio un neonato. La carriola con il Carnevalicchio in fasce, ove depositare le offerte in natura. Il Cucibocca intabarrato in un mantello nero, con una lunga barba di canapa ed in mano un ago con cui minaccia di cucire le labbra pretendendo l’offerta. Una maschera, tra le più robuste, controlla gli slanci del caprone, legato ad una robusta fune: impersonifica le forze primordiali della natura che è in procinto di risvegliare  quel che di demoniaco è insito nel Carnevale. La sposa di Carnevalone, più o meno sguaiata, ferma tutti e chiede offerte in natura e danaro: serviranno a fare crescere il Carnevalicchio ma in realtà a fornire materia prima per la cena e l’ubriacatura notturna. A ruota libera e con i campanacci più piccoli, tante figure sempre suggestive in costumi ogni anno diversi. Si accetta ogni offerta: pane, finocchi, pasta, dolci, frutta, vino e salsiccia. Chiude il corteo il vecchio e massiccio Carnevalone. Intabarrato in un mantello nero, in testa un cappellaccio, cavalca un povero asino. E‘conscio che nella notte schoccherà la sua ultima ora. Non parla ma accetta tutte le offerte. Sulle spalle di Carnevalone, sui fianchi o sulle chiappe dell’asino, qualche cartello con gocce di saggezza contadina condite da aspre critiche, sempre sgrammaticate (Carnevalone non ha avuto tempo per studiare), rivolte per lo più a politici e pubblici amministratori. Il governo è ladro, le tasse sono alte, il padreterno non dà pioggia, l’annata è andata male! A fine mattinata si fa la conta degli incassi in denaro e natura. Ci si prepara alla lunga notte sacrilega che già appartiene alla Quaresima. A notte fonda si avvia il corteo funebre di Carnevalone preceduto da mammane, falsi medici, frati ubriachi e incappucciati che come nel medioevo accompagnano il condannato a morte. A mezzanotte in punto dalla più grande campana della Chiesa Madre, partono i 40 lugubri rintocchi che segnano l’inizio della Quaresima. Inizia la penitenza, la festa è finita, Carnevalone va al rogo ma contemporaneamente la vedova partorisce Carnevalicchio già pronto per la prossima annata. Nel giorno dopo, il Mercoledi delle ceneri, nei vicoli già compaiono le sette figure della “Quaresima” appese ad una corda per ricordare a tutti gli obblighi del buon cristiano per la Pasqua che è vicina.

A Satriano di Lucania il Carnevale è incentrato su tre figure chiave, l’orso, il romito e la ” Quaremma “. La figura dell’orso è presente in molti cortei carnacialeschi in aree montane e legate alla cultura del bosco ma anche in tutta la Sardegna ed in qualche paese della Sicilia. Lungo l’Appennino e l’arco alpino, ed in particolare nelle comunità occitane, l’orso è una delle figure centrali del Carnevale, spesso accompagnato da una sorta di domatore che lo controlla con una catena o una corda. Con l’avvicinarsi della primavera, l’orso (la natura) si risveglia dal letargo e si aggira tra gli umani cercando cibo. A Satriano l’orso è rappresentato da maschere coperte di pelli di capra e pecore, al piede una catena spezzata ed in mano i campanacci. Ad affiancare l’orso, ecco il romito. Altra suggestiva figura appartenente al mondo agropastorale. Personaggi completamente rivestiti di edera fino ad essere irriconoscibili. In mano il personaggio stringe lunghe verghe e come l’orso proviene all’antro oscuro della foresta. La maschera richiama altre rappresentazioni dell’Italia contadina nelle quali il ritorno della Primavera è rappresentato da giovani ricoperti di fronde, ovvero la natura che si rinnova e rifiorisce. La ” Quaremma” come altrove in Basilicata è impersonata da maschere con le fattezze di vecchie ed in abiti più o meno tetri. A Satriano la ” Quaremma ” porta in braccio un pupazzetto rappresentate Carnevalicchio, presente anche nelle culle che qualche ” Quaremma ” porta in bilico sul capo. I personaggi principali sono accompagnati dal corteo nuziale di Satriano: insieme agli sciagurati sposi incedono il prete e gli amici in ambiti più o meno discinti.

 

     

A Pietrapertosa il rito segue un’altra tradizione ben presente nei piccoli borghi contadini: il processo a Carnevale. Il corteo è formato dai giudici, dai cancellieri e dalla ” Quaremma “, moglie e prossima vedova di Carnevale che incede incatenato fra i gendarmi. In piazza si celebra il processo e la condanna è inesorabile. Il fantoccio di Carnevale è prima impiccato e poi bruciato mentre un’altra maschera, vestita di nero e con le corna di un caprone sulla testa,  raffigurante il demonio, infierisce con un forcone sui resti del condannato.  

Analoga rappresentazione anche a Viggianello sul Pollino. Carnevale, preso dai gendarmi è processato in piazza e condannato al rogo. Il pupazzo di paglia rappresentante Carnevale finisce tra le fiamme tra i lazzi e risate. A Pedali, frazione dello stesso comune, il pupazzo di Carnevale, con la pancia gonfia dal mangiare è portato in giro su un asino addobbato con  nastri colorati circondato da questuanti armati di cupa-cupa e organetti. Si cerca l’offerta nelle case e presso i commercianti. Si arriva alla sera ormai ebbri, quando il povero Carnevale espia le colpe di tutti finendo al rogo.

A Trecchina, protagonista del carnevale è il ” Contacronze . Un personaggio vestito con il tipico giubbone dei pastori ed in testa un cappellaccio scuro, mette alla berlina con fraseggi in rima, i personaggi più noti del paese, accompagnato dal ritmo della ” cupa – cupa “.

A Teana nel corteo di Carnevale sono presenti numerose maschere ed il fulcro del corteo è costituito da Carnevale e dall’orso. Carnevale si avvia al processo ove sarà condannato a morte, accompagnato da quattro gendarmi, da un prete, dal sacrestano, il giudice, alcuni medici e la  ” Quaremma ” e dalle figlie che la scelleratezza del padre ha affamato. Seguono il corteo musicanti con l’organetto e la cupa – cupa, le figure dello sposo e della sposa, il portafortuna con la gabbia del pappagallo ed i bigliettini della fortuna e gruppi di contadini vestiti alla stracciona. Tra questi il cosiddetto ” Pezzente ” che raccoglie i frutti della questua. Anche l’orso è incatenato e condotto tra due gendarmi: strazzona e si avventa contro la gente ed i bambini che lo stuzzicano. Nei vicoli e nelle piazzette, balli, danze, canti ed offerte di vino, salumi e formaggi. Carnevale sarà processato in piazza ove il giudice fellone lascerà la sentenza alla mercè del popolino che lo condanna a morte mediante fucilazione. Ma l’orso, liberatosi dalle catene, fuggirà nei boschi con i resti del povero Carnevale.

   

A Pomarico la canzone di Zeza rinnova un’antica tradizione di origine napoletana spesso nel passato proibita per la sua licenziosità. La rappresentazione si svolge itinerante tra i vicoli del paese ed i protagonisti sono Pulcinella, la sfottente moglie Zeza, la figlia Vincenzella e lo studentello don Nicola candidato a sposare la Vincezella. Il matrimonio è osteggiato dal padre mentre gli intrighi della Zeza mirano a far finalmente scambiare tra i due giovani la promessa d’amore e quindi a sistemare finalmente la Vincenzella. Il tutto si svolge secondo una trama costellata da battuttace a doppio senso mentre il rimando al rito nunziale ed i contrasto tra il vecchio ed il giovane alludono ancora una volta al succedersi ciclico del vecchio-nuovo ed al passaggio inverno-primavera.

Altre manifestazioni di Carnevale, delle quali si è quasi persa la memoria sono presenti in altri paesi lucani nei quali, però,si assiste negli ultimi anni a tentativi di recupero di riti e tradizioni carnascialeschi.  Ad Armento,  il funerale ed il rogo di Carnevale. A Stigliano la sfilata con le maschere della pacchiana e del pastore. A Picerno, un lungo corteo che tra lazzi e danze porta Carnevale al rogo accompagnato dalla moglie Quaremma e dalle sei disperate figlie. A Tursi i Pupazzoni  di Carnevale che finiscono al rogo. A Sanseverino Lucano, le maschere tipiche della tradizione locale, sfilano tra le cupe – cupe. Ad Oppido Lucano fino a qualche anno fa, il mercoledì delle ceneri sfilava un corteo nel quale le maschere raffiguravano i braccianti che da Abriola arrivavano in paese a zappettare il grano. Vestiti con i tradizionali costumi da lavoro, portavano con se gli attrezzi da lavoro stridenti per lo sbattere sul selciato. Il corteo era chiuso dalla  ” quarantana “, una sorte di ” quaremma ” con in braccio il figlio avuto da  Carnevale, deceduto il martedì grasso. Il corteo sfilava al sono della cupa-cupa che accompagnava le strofe della questua con la quale si chiedeva l’offerta in natura per l’abbuffata notturna. A Grassano, era usanza organizzare cortei con campanacci sbattuti da giovani travestiti con lenzuola. Erano parte del corteo ragazze con indosso il costume della  ” pacchiana ” e giovani musicanti con cupa- cupa e organetti. In piazza la presa in giro con fraseggi di personaggi ed eventi del paese. La conclusione con il funerale di Carnevale, il cui fantoccio finiva gettato in uno dei fossi intorno al paese. Alla mezzanotte deI martedì grasso i rintocchi del campaile della chiesa madre segnavano l’avvento della Qaresima e nei vicoli comparivano, appesi ai balconi, le ” pupazze  delle ” quaremme “. 

 

Link:

Teana http://www.youtube.com/watch?v=-lrxrzYV3LM      http://www.youtube.com/watch?v=BZIgYrabjGc

Pedali (frazione di Viggianello)   http://www.youtube.com/watch?v=OfyUhicTZBk

S. Mauro Forte   http://www.youtube.com/watch?v=J1uQczG8Sn4   http://www.youtube.com/watch?v=nofjy5eNLQk

Tricarico    http://www.youtube.com/watch?v=8OLoxyL53F0        http://www.youtube.com/watch?v=6hpaEDsNvcI

Montescaglioso    http://www.youtube.com/watch?v=BLbl6AULZV0     http://www.youtube.com/watch?v=RInxudht0GY   http://www.youtube.com/watch?v=zwbt46eLzm0

Accettura http://www.basilicatanet.com/movie/index.asp?nav=12

Testi e foto: Francesco Caputo (CEA Montescaglioso).

CEA:

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