Vorrei porre alla vostra attenzione il seguente articolo:
http://www.corriere.it/cronache/08_marzo_05/mose_drogato_a3f9f7c2-ea8e-11dc-8a30-0003ba99c667.shtml
La lettura di queste righe mi ha fatto riflettere non poco sul rapporto ragione/fede e su come questo rapporto si sia evoluto col passare del tempo. Ritengo molto interessante notare come gli studi sulle Sacre Scritture siano stati portati agli estremi limiti dell’immaginabile, tali da rivelare prospettive così distanti da qualsiasi dogma di fede. Ragione e fede sembrerebbero posizionarsi lungo due strade progressivamente divaricantesi all’infinito, per quelle che sono le aspettative circa gli studi compiuti nell’età contemporanea, sotto l’egida del progresso tecnologico e scientifico. A questi livelli di criticismo, avere fede è una vera e propria impresa. Al contrario, è una vera e propria impresa anche quella di coloro che, pur di difendere il dogma cristiano, si scandalizzano dinanzi a tali studi e invocano la condanna per risultati come quelli indicati dall’articolo. A mio avviso sia la strada della cieca fedeltà alla ragione (Mosé drogato) sia quella della cieca fedeltà alla religione (rifiuto di qualsiasi studio scientifico delle Sacre Scritture) è dannosa. Chiudersi in una prospettiva a discapito dell’altra significherebbe penalizzare sia la scienza che la religione. A quando una sintesi? Una conciliazione è ancora possibile?
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La cieca fede in qualsiasi cosa è quanto di più sbagliato possa affliggere l'uomo, causa di guerre, intolleranze e violenze ..
Riconciliazione? spero mai, se dovesse accadere una dovrebbe necessariamente asservirsi all'altra. Che prendano strade diverse, anche all'infinito, perchè la scienza si mette costantemente in discussione, la fede è già un approdo, cambia il percorso e sono completamente diversi gli assiomi...
Una sintesi? su questo non sò proprio da dove cominciare a rispondere,
come si possono sintetizzare le due cose senza che nessuno perda alcune
delle proprie posizioni?
Sicuramente prendere delle posizioni estreme non può che far aumentare le divergenze tra scienza e fede. Sicuramente avere fede in senso assoluto è molto pericoloso per molti aspetti, questo modo di fare porta ad una chiusura totale verso qualcosa di diverso (attenzione, diverso non sempre significa comunque un qualcosa di positivo)....è vero, avere fede assoluta significa seguire un concetto senza avere nessun dubbio. Se però la fede ha i suoi lati negativi lo è, a maggior ragione, credere alla scienza in senso assoluto, l'idea della ragione e della scienza come portatori di una modernità positiva non solo è sbagliato ma è anche molto pericoloso.
Se crediamo che solo la scienza risolverà tutti i nostri problemi, se crediamo al concetto banale della "ragione estrema" arriveremo veramente alla fine di questo mondo. Non possiamo escludere Dio dalla nostra vita, non possiamo avere una visione materiale della vita...."Non si può governare la storia con mere strutture materiali, prescindendo da Dio" (Joseph Ratzinger, Gesù di Nazareth, 2007). Se pensiamo solo alla scienza in senso assoluto e scartiamo la fede, allora rischieremo di perdere i valori spirituali che ci servono per affrontare la vita. Lo Stato non può essere totalmente laico perchè a quel punto potrà essere compreso da pochi elitè, potrà essere sostenuto solo da pochi "filosofi del salotto buono". Lo Stato, invece, per essere convincente e credibile non può escludere la religione perchè a quel punto la maggior parte dei cittadini agiranno senza seguire alcun valore spirituale. E' già successo con la Costituzione europea che ha già escluso una verità storica e cioè delle nostre radici giudaico-cristiane. Ed ecco che quella che io chiamo la "l'accanimento terapeutico della ragione" ci ha portato, in nome del laicismo, a rifiutare la nostra identità, la nostra anima. Alla fine questa costituzione non è stata accettata dalla maggior parte dei cittadini europei (e meno male), al massimo è stata accettata solo dai quei pochi luminari filosofi di cui parlavo prima.
Scienza e fede sono due cose diverse ma son convinto che non possiamo assolutamente escludere la fede dalla vita pubblica. Naturalmente questa è l'opinione discutibile di un non esperto
Può ciò che è incommensurabile essere trovato da voi e da me? Può ciò che non è del tempo essere scovato da quella cosa che è fatta di tempo? Può una disciplina praticata diligentemente condurci all’ignoto? V’è un mezzo per giungere a ciò che non ha né principio ne fine? Può quella realtà essere colta nella rete dei nostri desideri? Ciò che noi possiamo catturare è la proiezione di ciò che è noto; ma l’ignoto non può essere colto dal noto. Ciò che ha un nome non è ineffabile e nominando noi ridestiamo soltanto dei riflessi condizionati. Questi riflessi, per nobili e belli, non sono le risposte del reale. Noi reagiamo a degli stimoli, ma la realtà non offre stimoli: essa è.La mente muove dal cognito al cognito e non può spingersi nell’incognito. Non possiamo pensare a qualcosa che non conosciamo; è impossibile. Ciò che pensate viene dal cognito, dal passato, sia questo passato remoto o il secondo appena trascorso. Questo passato è pensato, foggiato e condizionato da molte influenze, si modifica secondo le circostanze e le pressioni, ma rimane sempre un processo temporale. Il pensiero può soltanto negare o asserire, non può scoprire il nuovo. Il pensiero non può trovare il nuovo; ma quando il pensiero tace, allora può esservi il nuovo: che è immediatamente trasformato nel vecchio, nello sperimentato, dal pensiero. Il pensiero forma sempre, modifica, colora secondo uno schema di esperienza. La funzione del pensiero è di comunicare, ma non di essere nello stato di sperimentazione. Quando la sperimentazione cessa, allora subentra il pensiero e la definisce entro la categoria del cognito. Il pensiero non può penetrare nell’incognito, così che non può mai scoprire o sperimentare la realtà.Discipline, rinunce, distacchi, riti, esercizio della virtù, tutte queste cose, per nobili che siano, sono il processo del pensiero; e il pensiero può soltanto operare verso un fine, una conquista, che sono sempre del cognito. Il conseguimento è sicurezza, la certezza autoprotettiva del cognito. Cercare la sicurezza in ciò che è senza nome vuol dire negarla. La sicurezza che si può trovare è soltanto nella proiezione del passato, del cognito. Per questa ragione la mente deve rimanere in profondo e totale silenzio; ma questo silenzio non può essere acquistato mediante il sacrificio, la sublimazione o la soppressione. Questo silenzio viene quando la mente non cerca più, non è più presa nel processo del divenire. Questo silenzio non è cumulativo, non può essere creato attraverso la pratica. Questo silenzio deve essere così sconosciuto alla mente come ciò che è senza tempo; perché se la mente sperimenta il silenzio, allora c’è lo sperimentatore che è la somma di esperienze passate, che è consapevole di un passato silenzio; e ciò che è sperimentato dallo sperimentatore è soltanto una ripetizione che si autoproietta. La mente non può mai sperimentare il nuovo, così che la mente deve starsene tranquilla all’estremo.La mente può tacere solo quando non sperimenta, vale a dire quando non definisce o nomina, non registra e non accumula nella memoria. Questo dare un nome e registrare è un processo continuo dei differenti strati della coscienza, non soltanto della mente più elevata. Ma quando la mente superficiale è in quiete, la mente più profonda può far sentire le sue intimazioni. Quando l’intera coscienza è muta e tranquilla, libera d’ogni divenire, che è spontaneità, allora soltanto l’incommensurabile viene in essere. Il desiderio di conservare questa libertà dà continuità alla memoria del diveniente, la qual cosa è un ostacolo alla realtà. La realtà non ha continuità; è di momento in momento, sempre nuova, sempre recente. Ciò che ha continuità non può mai essere creativo.La mente superiore è soltanto uno strumento di comunicazione, non può misurare ciò che è incommensurabile. Della realtà non si deve parlare; e quando se ne parla, non è più realtà.
Questa è meditazione.
(Tratto da meditazioni sul vivere J.K.)
"Quello che ogni uomo teme è l’ignoto. Quando questo scenario si presenta si rinuncia volentieri ai propri diritti in cambio della garanzia del proprio benessere assicurata dal Governo Mondiale."Henry Kissinger, Evian, Francia, 1991