POTENZA – La Corte d’assise d’appello di Potenza ha confermato la condanna all’ergastolo del 30enne di Montescaglioso Gianmarco Mossuto, per l’omicidio, a giugno del 2018, del 42enne Luigi D’Aria.
I giudici hanno respinto il ricorso contro la sentenza di primo grado, arrivata a dicembre del 2019 al termine di un processo col rito abbreviato, in cui la difesa aveva tentato inutilmente di sostenere la tesi dell’incapacità di intendere e di volere dell’imputato a causa di un’intossicazione cronica di cocaina e cannabinoidi.
Secondo l’accusa l’omicidio di D’Aria sarebbe stato programmato da Mossuto per il timore di essere derubato della sostanza nascosta nell’abitazione rurale semi-abbandonata dove è scattata la «trappola» tesa alla vittima. Un casolare dell’ex Ente riforma agraria dove pare che il 30enne volesse trasferirsi, salvo sviluppare un’«ossessione» al pensiero che anche D’Aria frequentasse la zona.
Durante il processo di primo grado Mossuto aveva ammesso le sue responsabilità per l’accaduto, chiedendo scusa alla famiglia della vittima e dando la colpa dell’omicidio alla cocaina assunta poco prima del fattaccio. Tanto non era bastato, tuttavia, a evitargli la pena dell’ergastolo per effetto del riconoscimento di alcune aggravanti alla sua condotta ome la premeditazione, i futili motivi e l’efferatezza. Di qui l’esaurimento dello sconto di pena di un terzo per la scelta del rito alternativo con l’abbuono dell’isolamento diurno, che di solito si abbina, per un periodo più o meno lungo, alle condanne al carcere a vita per i delitti più atroci.
Mossuto è stato anche condannato al risarcimento dei danni alle parti offese e a una provvisionale di 20mila euro per il fratello della vittima, rappresentato in aula dall’avvocato Vittorio Cardinale.
Ieri Cardinale ha espresso soddisfazione il verdetto della Corte d’assise d’Appello,
«Giusto è stato confermare la condanna alla pena perpetua – ha dichiarato il legale -, per una vita tolta per sempre all’affetto dei propri cari».
Il cadavere di D’Aria venne rinvenuto da un pensionato in un terreno di sua proprietà, a 400 metri dal luogo dal luogo dell’aggressione.
Il 42enne sarebbe stato colpito con una serie di coltellate micidiali all’addome e al collo, proseguita anche dopo la sua morte fino a quasi decapitarlo.
A guidare i militari sulle tracce del killer sarebbero state alcune macchie del sangue della vittima, ma anche la confessione dell’amico di Mossuto, poi condannato a sua volta per concorso nell’occultamento di cadavere.