A metà degli anni Sessanta la modernità a Monte stava muovendo i primi, timidi e incerti passi.
Per modernità intendo per prima cosa abitazioni decenti, con l’acqua e i servizi igienici in casa, con una cubatura adatta al nucleo famigliare, con la disponibilità di una cucina a gas.
Più del frigo e della televisione fu questo piccolo elettrodomestico a dare una svolta alla vita delle famiglie, soprattutto a rendere la condizione delle donne meno schiavistica. Non si ricorda mai cosa potesse significare per una donna accendere e controllare il fuoco per dare il latte, quando c’era, ai poppanti, per preparare da mangiare, per scaldare l’acqua per lavare la biancheria, per lavicchiarsi. Risparmiò morti atroci a un certo numero di bambini e ad anziani che prima del suo arrivo morivano di ustioni. Liberò tutti dal pericolo di avvelenamenti da anidride carbonica, ecc.
Per modernità intendo anche la possibilità di acquistare scarpe e vestiti a prezzi accessibili e di curare meglio l’igiene personale. Dimenticare il cappotto ricavato da quello della mamma, liberarsi dalla giacca di velluto che non si consumava mai, dire addio ai geloni in inverno, non passare più giorni e giorni con il mal di denti.
Nel 1965 il paese contava circa diecimila abitanti, una media di trecento disoccupati e tremila emigrati. Furono soprattutto loro, le loro rimesse a tirarci per i capelli fuori dal sottosviluppo, a finanziare la costruzione di case decenti, la vasca da bagno, lo spazzolino, le scarpe senza tacce e gli studi per i figli. A quegli eroi dobbiamo tutto, anche la possibilità di far assistere oggi i nostri anziani dagli stranieri che nel frattempo per vie misteriose hanno raggiunto i nostri paesi più sperduti. Molti dei nostri emigranti non sono più fra noi, possiamo onorare il nostro debito di gratitudine nei loro confronti trattando chi è venuto in questi anni dalle nostre parti nel modo in cui avremmo voluto che fossero stati trattati loro dove andarono.
Fatta questa premessa – al solito più lunga di quanto volessi – mi sembra interessante proporre all’attenzione dei lettori una relazione del sindaco comunista Marchitelli su come si presentava Montescaglioso nel 1965. Io la trovo interessante e utile a capire quale fosse lo spirito dell’epoca. Marchitelli era un semplice operaio e la sua esposizione presenta carenze di forma, ma le intenzioni che lo animano sono, pur con qualche ingenuità lodevoli.