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MILLION DOLLAR BABY, C. Eastwood, 01 Distribution, 2005

Mentre si guarda Million Dollar Baby, si deve restare in silenzio. Un silenzio quasi indotto da una narrazione essenziale, dalla netta distinzione tra bene e male, tra senso di riscatto sociale e profonda indignazione per la sorte amara di una giovane donna e di un vecchio allenatore, con entrambi i quali la vita ha un grande debito. Un silenzio rispettoso di un dolore non urlato, di una “scelta” ineluttabile che avvicina l’uomo Eastwood a quel Dio “pane-burro-e-marmellata” che egli stesso schernisce da 23 anni, tutti i giorni, durante la messa; ed al suo potere di dare e togliere la vita: Dunn crea Maggie “Mocuscha”, il suo tesoro, il suo sangue; rivive in lei il naufragato rapporto con la figlia, fatto ormai solo di lettere rispedite al mittente; ma poi la vita, il caso, il destino – o chi per loro – lo costringono a staccare la spina ed iniettare una fatale dose di adrenalina nelle braccia oramai inerti di Maggie.
Aveva ragione Clint Eastwood, in una delle innumerevoli interviste rilasciate in seguito all’uscita del film, quando affermava che Million Dollar Baby non è un film sulla boxe: il pugilato diventa metafora di lotta per l’affermazione, per la realizzazione e questo è quanto concede Eastwood all’ormai logoro Sogno Americano.
Million Dollar Baby è un film che parla di morte, ma non è un film sulla morte: è un pugno nello stomaco, ma nella storia di una ragazza di più di trent’anni che nulla ha avuto nella vita, il Coraggio e la Forza Interiore la fanno da padroni, più della sete di rivalsa sociale, più dei sogni di gloria degli abitanti della Terra di Nessuno, che è il deserto americano.
Per nulla melenso e neppure demagogico, come tanta cinematografia hollywoodiana, il film è scarno, privo di orpelli narrativi e descrittivi che risulterebbero ridondanti ed inadatti all’austerità, alla miseria, al grigiore della palestra Hit Pit di Dunn & Co. La cinepresa indugia sul volto dei personaggi quel tanto che basta per lasciar intravedere nelle rughe marcate di Eastwood, nell’occhio spento di Morgan Freeman, nel sorriso aperto di Maggie la paradossale amarezza di un traguardo quasi raggiunto, e mancato per poco.
Il film si chiude con la cinepresa che scruta, attraverso una finestra appannata, la sagoma di un vecchio al bancone di un bar: con lo stesso sguardo velato, lo spettatore lascia la sala, non del tutto persuaso che il cinema sia soltanto illusione.

Cinzia:

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  • Miseria, emarginazione, sogni infranti, morte, dolore.... gli avvenimenti di ogni singolo personaggio raccontati in questo film avrebbero potuto fornire infinite occasioni per cadere nell'ovvio e nel melenso come decine di altri film "bagnafazzoletti" prodotti a Hollywood. Seppur triste e commovente Million Dollar Baby non risulata mai ovvio e melenso.
    Ha ragione Cinzia quando dice che il film è un pugno nello stomaco.... personalmente amo i film che riescono a trasmettermi emozioni forti!
    Million Dollar Baby: 10 e lode!

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