Domanda:
Sto decidendo sull’affitto di una casa. Il proprietario mi propone un contratto non molto standard con alcune clausole che non mi piacciono molto.
Ad esempio una dice che se decidesse di vendere io non potrò chiedere di essere interpellato per primo con trattamento privilegiato, cioè dovrei rinunciare al diritto di prelazione. In un’altra fa una descrizione molto dettagliata delle condizioni della casa (non basta dire che devo rilasciarla in buono stato così come l’ho trovata?). Ancora sulla caparra dice che non mi sarà restituita con interessi. Ora aldilà di ogni singola clausola che non sto qui a riscrivere la domanda è…. Un tale contratto è davvero legale a tutti gli effetti anche in caso di clausole non previste dal codice civile? Perché proprio sulle clausole che a me non piacciono mi richiede di firmare 2 volte? Devo firmarlo? E Se lo faccio non potrò mai contestare clausole che si riveleranno in futuro dannose per me?
Risposta:
La questione con cui apriamo questa nuova rubrica riguarda i contratti di locazione, più comunemente chiamati “contratti di affitto”
Innanzi tutto occorre sapere che il contratto di locazione, secondo quanto disposto dal Codice Civile, è quello con cui una parte (il locatore) si obbliga a far godere ad un’altra (il conduttore) una cosa (mobile o immobile) per un certo periodo di tempo ricevendone in cambio un determinato corrispettivo (art. 1571 c.c.).
Per quanto riguarda la locazione di immobili la normativa di riferimento, oltre al Codice Civile, si trova nella Legge 431 del 1998 e, per le norme ancora in vigore, nella Legge 392 del 1978 (la Legge sull’equo canone).
Tutte queste norme forniscono le “indicazioni” ai contraenti su come comportarsi per avere un contratto valido e gestire in modo legittimo le vicende contrattuali.
Tuttavia, anche per questo tipo di contratto come per qualunque altro, sono poche le norme inderogabili: vige infatti anche qui il principio della “autonomia contrattuale” ovvero la possibilità per le parti del contratto di determinare liberamente (anche se sempre nel rispetto dei limiti imposti dalla legge) il contenuto del contratto stesso (art. 1322 c.c.).
Nel caso che ci riguarda le uniche norme inderogabili dalla volontà delle parti sono:
– quelle relative alla durata del contratto: la legge 431/98 prevede infatti che “Le parti possono stipulare contratti di locazione di durata non inferiore a quattro anni decorsi i quali i contratti sono rinnovabili per un periodo di quattro anni” (art. 2), e tale durata non può essere modificata convenzionalmente dalle parti (esistono tuttavia delle forme contrattuali alternative con durata inferiore- c.d. contratti transitori- previsti per casi particolari quali ad esempio la locazione di immobili agli studenti);
– quelle relative al canone di locazione: la Legge 431/98 prevede che nei contratti di locazione “ordinari” sia nullo “qualsiasi obbligo del conduttore nonchè qualsiasi clausola o altro vantaggio economico o normativo diretto ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito” con questo escludendo che il locatore possa vedersi riconoscere vantaggi ulteriori oltre a quelli previsti dal contratto o dalla legge;
– quelle a “prevalente natura pubblicistica”: vi sono norme che hanno quale scopo principale quello di tutelare un interesse generale di uniformità e legittimità nonchè preservare il contraente più debole da clausole contrattuali evidentemente più favorevoli al contraente “forte” generalmente il locatore. Queste norme prevedono la nullità della clausola contrattuale che preveda una disciplina diversa e contraria a quanto previsto in esse.
In sostanza sono le parti che stabiliscono, fatte salve le norme di cui abbiamo appena parlato, il contenuto del contratto di locazione.
Nel caso, poi, le norme contrattuali siano predisposte da una sola parte, come avviene nella generalità dei casi in quanto il contratto di locazione è di norma predisposto dal locatore ed il conduttore si limita ad accettare quanto gli viene proposto-imposto, occorre comunque che le c.d. clausole vessatorie, ovvero quelle che impongono oneri particolarmente gravosi alla parte più “debole” del contratto siano da questa espressamente sottoscritte pena la loro inapplicabilità.
Questo meccanismo in sostanza garantisce che il contraente “debole” sia stato informato correttamente e pienamente del contenuto degli obblighi contrattuali e che li abbia accettati per quanto gravosi. Conseguenza della sottoscrizione espressa delle clausole c.d. vessatorie è quella che tali clausole non sono più reclamabili in un secondo momento.
E’ evidente comunque che se una norma viene definita inderogabile dalla Legge stessa (quali quelle sopra richiamate) l’eventuale patto contrario che sia stato sottoscritto per espresso (la “doppia firma”) non esclude la sua nullità e dunque l’applicabilità della normativa generale prevista dalla Legge.
Venendo ora al quesito sottoposto è il caso di ribadire che non esiste un contratto “standard” o meglio non esiste una forma contrattuale obbligatoria, ma semplicemente le associazioni di categoria, sulla base della normativa vigente, hanno stilato un contratto “tipo” per agevolare la conclusione di accordi tra privati senza la necessità di rivolgersi a centri specializzati o altro.
Il contratto che è stato proposto al nostro utente, oltre a discostarsi leggermente da quelli proposti dalle associazioni di categoria, contiene clausole che, così come accennate, appaiono illegittime.
Pare in ogni caso opportuna un’analisi approfondita per ogni singola condizione contrattuale così come accennata nel quesito che mi è stato sottoposto.
In merito al deposito cauzionale, impropriamente definito “caparra”, esso è disciplinato dall’art. 11 L. 392/78 il quale dispone, in primo luogo, che esso non possa essere superiore a tre mensilità del canone e che “esso è produttivo di interessi legali che devono essere corrisposti al conduttore alla fine di ogni anno”: tale norma, per costante previsione giurisprudenziale, ha natura imperativa in quanto persegue finalità di ordine generale tutelando il contraente più debole ed impedendo che la cauzione (ed i suoi frutti ovvero gli interessi che ne derivano) possano tradursi in un incremento “nascosto” del corrispettivo della locazione. A riprova di ciò la stessa norma prevede che il locatore sia tenuto a versare annualmente gli interessi sulla cauzione anche se non espressamente richiesti dal conduttore. E’ evidente che una pattuizione difforme non sia in alcun modo efficace e potrà essere oggetto di specifica domanda giudiziale.
Quanto al diritto di prelazione che il nostro potenziale locatore vorrebbe escludere, occorre distinguere a seconda che ci si trovi in vigenza di un contratto “lontano dalla scadenza” ovvero in prossimità della prima o della seconda scadenza contrattuale.
Nella prima ipotesi così come nel caso della seconda scadenza contrattuale (cioè al termine dell’ottavo anno di locazione) il conduttore, secondo la vigente normativa, non ha alcun diritto di prelazione e una pattuizione volta ad escludere tale diritto non modifica in alcun modo i diritti del conduttore il quale avrà comunque diritto di continuare ad occupare l’immobile sino al termine naturale del contratto a cui è subentrato, nella parte del locatore, il nuovo acquirente dell’immobile e dovrà lasciare l’immobile alla scadenza.
Cosa ben diversa è l’esclusione del diritto di prelazione al termine del primo quadriennio di locazione: l’art. 3 L. 431/98, con riferimento ai casi di disdetta del contratto da parte del locatore, prevede infatti che sia possibile per il proprietario dell’immobile concesso in locazione, recedere dal contratto alla prima scadenza “quando intenda vendere l’immobile a terzi e non abbia la proprietà di altri immobili ad uso abitativo oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione. In tal caso al conduttore è riconosciuto il diritto di prelazione da esercitare con le modalità di cui agli art.li 38 e 39 L. 392/78”.
In sostanza mentre nei primi due casi la mancata prelazione non comporta alcunchè per il conduttore (se il contratto è in corso esso procederà sino alla scadenza naturale, se il contratto si è già esaurito per decorrenza del tempo massimo, in mancanza di volontà esplicita di rinnovo, il conduttore non può vantare alcunchè dal locatore), nel caso appena richiamato il rischio per il conduttore è quello di veder terminare il contratto di locazione anzitempo e, pertanto, il legislatore ha voluto fornirgli maggiori garanzie, imponendo al locatore dei vincoli ben precisi per poter disdettare il contratto alla prima scadenza ed in particolare prevedendo che, in caso di vendita, il conduttore abbia un diritto di “prima scelta” quale possibile acquirente dell’immobile.
Conseguenza della mancata prelazione, da esercitarsi nei modi e nei termini di cui alla Legge 392/78, sarà la possibilità per il conduttore di riscattare l’immobile entro 6 mesi dalla trascrizione del contratto di vendita, dall’acquirente o da ogni altro successivo avente causa. E’ evidente che, anche in questo caso, una pattuizione diversa e contraria sia del tutto inefficace.
Da ultimo per quanto riguarda la “descrizione dettagliata delle condizioni della casa” v’è da dire che il Codice Civile prevede quale obbligo principale per il conduttore quello di “prendere in consegna la cosa locata e di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l’uso determinato nel contratto o per l’uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze” e, al momento della riconsegna, quello di “restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento od il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto”: è evidente che, l’eccessivo zelo nella descrizione dello stato dell’immobile e degli arredi presenti al suo interno non sia in alcun modo contrario alla legge e, in ogni caso, il deterioramento o il consumo della cosa locata che deriva dall’uso ovvero il perimento conseguente dalla vetustà non comporta alcuna responsabilità in capo al conduttore che ne abbia fatto un uso nei limiti del contratto ed anzi, a ben vedere, una descrizione dettagliata dell’immobile e degli arredi contenuti nel suo interno (ovviamente solo se controfirmata e pienamente accettata dal conduttore in quanto rispondente al vero…) non può che garantire il conduttore. Si consideri ad esempio che se uno degli arredi già evidentemente “malandato” dovesse andare distrutto a seguito del normale uso fatto da parte del conduttore dell’immobile il locatore non potrà trattenersi la cauzione a titolo di risarcimento danni affermando che l’arredo era nuovo all’atto della stipula del contratto (come potrebbe invece fare nel caso manchi una descrizione dettagliata delle cose locate).
In conclusione occorre dire che nel momento in cui un locatore ci propone-impone un contratto con clausole evidentemente diverse da quelle normalmente applicate, non necessariamente tale contratto è illegittimo ma occorre prestare attenzione a quelle che, considerata la normativa vigente, sono nulle e quindi inapplicabili, ovvero alla convenienza di accettare condizioni eccessivamente difformi da quanto generalmente previsto per questo tipo di contratti.