di Piero Didio
Capitolo I: Condizioni socio economiche della Basilicata nel secolo XIX
1 – Strutture produttive e classi sociali nella prima metà del XIX secolo
“A vedere queste valli, questi colli, queste spiagge squallide e morte, non par vero che dove ora vi sono zolle ed acque ed arie letali, dove havvi il deserto e la morte, rifulgessero un tempo le fiorenti città della Magna Grecia: Metaponto ed Eraclea, sede di imperi, celebrate per splendore di natura e magnificenza di monumenti”. [1]
Con queste parole il politico bresciano Giuseppe Zanardelli (1826 – 1903) ricordava la sua visita in Basilicata nel mese di settembre del 1902.
Le parole dell’uomo politico, che per primo volle toccare con mano la sconcertante realtà del Mezzogiorno d’Italia, sono illuminanti sulle condizioni di vita delle popolazioni lucane all’alba del XX secolo.
Eppure non è necessario risalire all’epoca della colonizzazione ellenica per trovare in Basilicata tracce di una civiltà ben più fiorente di quella che l’illustre uomo politico avrebbe trovato qualche secolo più tardi.
Le produzioni agricole, quella della seta, la tradizione tessile nonché un certo fervore commerciale avevano caratterizzato la vita economica Lucana per parecchi secoli. L’Italia meridionale aveva seguito molto da vicino l’evoluzione storica degli altri popoli europei. Improvvisamente, però, successe qualcosa che avrebbe deciso il destino di arretratezza e di precarietà delle regioni del Sud d’Italia e che avrebbe fatto parlare, successivamente, di “Questione meridionale”.
E’ diffusa opinione tra i meridionalisti, compreso lo stesso Fortunato[2] (Giustino Fortunato, Rionero in Vulture 1848 – Napoli 1932), che le condizioni ambientali, orografiche e idrografiche rappresentarono le maggiori e più importanti cause alla base del ritardo socio-economico del Mezzogiorno d’Italia rispetto alle altre regioni italiane. Riteniamo che alle cause appena citate se ne possa aggiungere una ulteriore di natura sociale: un’evoluzione storica che qui sembra non avere seguito compiutamente il proprio corso.
Il feudalesimo, che nell’Europa del XIX secolo era poco più che un ricordo, in Basilicata, e in generale in tutto il Mezzogiorno, sembrava essere ancora una realtà tragicamente viva e presente; né si può affermare che l’avvento della borghesia a classe sociale dominante avesse fatto registrare quei benefici effetti che invece aveva determinato altrove.
“ In molti casi la borghesia non ha fatto altro che sostituirsi alla nobiltà, perpetuandone alcune caratteristiche negative, a cominciare dal tristemente famoso assenteismo che veniva a costituire un fattore d’inerzia anche nel campo specificatamente tecnico non tanto per il continuo drenaggio di capitali liquidi che lo caratterizzava, quanto con l’impedire la trasformazione del feudo nella grande azienda di tipo imprenditoriale da una parte e con l’inibire, dall’altra, quelle forme di conduzione che comportassero una qualche partecipazione del possidente – quale la colonìa parziaria – a favore di forme di rendita parassitarie che trovavano nel sistema dell’affittanza a breve la loro tipica espressione, con la conseguenza che veniva imposto un ruolo imprenditoriale proprio alle masse dei nullatenenti che non disponevano neppure delle scorte necessarie alla messa a coltura del fondo” [3].
L’attenta e rigorosa analisi del professor Morano mette bene in evidenza come in queste condizioni l’agricoltura, che rappresentava in Basilicata la principale attività produttiva, continuò a soffrire degli stessi mali caratterizzanti un sistema socio-economico di tipo feudale. La borghesia, che a partire dal primo ventennio dell’Ottocento si era andata sempre più imponendo come classe dominante a scapito della nobiltà e del clero, non seppe dare un indirizzo di carattere imprenditoriale ai fattori produttivi di cui era venuta in possesso. La scalata della nuova classe, a prima vista, sembrava avesse acceso la scintilla dello svecchiamento sociale ed economico; la circolazione degli eletti paretiana (Vilfredo Pareto 1848 – 1923) avrebbe portato i fattori della produzione nelle mani d’imprenditori che, ispirandosi a principi economici nuovi, avrebbero sostituito il profitto alla rendita, ma nella realtà, come ben descrive il Morano, ciò non avvenne. Né possiamo intravedere in ciò un qualche condizionamento esterno di carattere ambientale, orografico o idrografico.
[1] Cfr. P. Corti, (a cura di), Inchiesta Zanardelli sulla Basilicata, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 1976, p. 25
[2] Cfr. G. Fortunato, Le due vie, (1904, riprodotto in La Voce, numero 11, 1911)
[3] Cfr. M. Morano, Tecniche colturali ed organizzazione produttiva nelle campagne della Basilicata del secolo XIX, in “Problemi di storia delle campagne meridionali nell’età moderna e contemporanea” (a cura di A. Massafra), Bari, Dedalo, pp. 510-511