COMUNICATO STAMPA
SETTIMANA DELLE MEMORIE:
A CASARCOBALENO UN PERCORSO SULLE VITTIME DEL NAZISMO E FASCISMO
Dal 22 al 30 gennaio in CasArcobaleno
In occasione della Giornata della Memoria 2016, CasArcobaleno apre le porte alle immagini, alle testimonianze, ai volti e alle storie che furono, per non dimenticare chi siamo ogni giorno, tutti i giorni. Dal racconto dei pochi sopravvissuti all’Omocausto, ovvero la deportazione nazista dei gay e delle lesbiche, marchiati i primi con il triangolo rosa, le seconde con il triangolo nero destinato agli asociali, si stima che gli omosessuali uccisi nei campi di sterminio nazisti furono centinaia di migliaia. In CasArcobaleno verrà allestito un percorso, che ha lo scopo di far tornare lo spettatore indietro nel tempo, con l’intento di non perdere quella preziosa memoria storica che ci consente di non ripetere tali abomini.
Il 22 gennaio alle 20.00 verrà inaugurata la mostra Adelmo e gli altri – omosessuali al confino nel Materano, a cura di Cristoforo Magistro, con il patrocinio della Provincia di Matera, del comitato Matera 2019 e dell’ANPI Torino, e con la collaborazione del MIBAC (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Archivio di Stato di Matera). Sono stati raccolti negli anni diversi documenti risalenti al periodo fascista, quando le persone omosessuali venivano mandate al confino. I dossier recuperati, contenenti le testimonianze fotografiche non solo delle persone omosessuali, ma anche delle forze dell’ordine, sono stati catalogati e verranno esposti in CasArcobaleno per la prima volta in Italia.
Oltre a essa, verrà allestita anche la mostra Rosa cenere, a cura di Jacopo Campagni e prodotta da Arcigay Il Cassero di Bologna. Diciannove giovani artisti, attivi nel campo dell’illustrazione e del fumetto, raccontano undici storie di gay e lesbiche perseguitati durante il nazifascismo. Tra le
storie dimenticate, alcune hanno fatto da apripista alle prime ricerche sugli omosessuali deportati.
Entrambe le mostre saranno a disposizione dei visitatori fino a sabato 30 gennaio. Per informazioni
su orari e modalità di visita, scrivere all’indirizzo mail arcigay.torino@gmail.com
Sempre il 22 gennaio, alle 21.30, verrà proiettato il documentario Isola Nuda di Debora Inguglia, per gentile concessione della produzione Visionaria Factory. Il documentario ricostruisce la storia di un gruppo di omosessuali che nella Catania del 1939 venne prima arrestato e in seguito sottoposto a una serie di interrogatori e di umilianti ispezioni corporali, condotte sulla base disupposizioni scientifiche che, dalla fine dell’ 800 in poi, avevano tentato di definire l’omosessualità come una patologia riconoscibile attraverso esami clinici. I circa quaranta catanesi venivano quindi spediti al confino comune sull’isola di Ustica.
Il 27 gennaio, alle 20.30 verrà proiettato film Aimée & Jaguar, ispirato alla storia vera di Lilly Wust e della sua relazione con Felice, una ragazza ebrea che militava nella resistenza berlinese durante la fine della seconda guerra mondiale. La vicenda è la base di un romanzo storico di Erica Fischer, Aimeé e Jaguar, trasportato sullo schermo da Max Färberböck. La serata è presentata dal gruppo cultura e dallo Spazio Donne di Arcigay Torino.
Per concludere la settimana dedicata alla memoria, venerdì 29 gennaio alle 20.30 verrà proiettato
il documentario Le rose di Ravensbrück – Storia di deportate italiane, con la regia di Ambra Laurenzi. Durante la serata, inoltre, verrà data voce alla memoria dei gruppi sociali che furono perseguitati e internati nel periodo nazista, tra cui gli ebrei, i prigionieri di guerra sovietici, gli oppositori politici, i Rom, Sinti, Jenisch, gruppi religiosi come testimoni di Geova e pentecostali,
omosessuali, malati di mente e portatori di handicap, lasciandoci guidare dai due termini scelti per
indicare l’olocausto, ovvero Shoah e Porajmos, termine di lingua romanì con cui Rom e Sinti
indicano lo sterminio del proprio popolo. Sarà inoltre presente Alessandro Azzolina, responsabile del Treno della Memoria, che racconterà il progetto del viaggio e in particolare l’approfondimento sulle tematiche LGBT, organizzato con il Coordinamento Torino Pride.
Secondo i dati rinvenuti negli archivi di diversi lager, presso i tribunali e gli uffici di polizia, risulta
che nel 1943 i campi di concentramento avevano già ospitato 46.436 persone omosessuali e gli
storici più possibilisti si spingono fino a una valutazione complessiva che arriva a 250.000
deportati. Contrariamente a quanto avvenne in Germania, in Italia il regime fascista preferì
ignorare l’omosessualità. Sulla base di questa politica del silenzio, il codice penale italiano non
previde mai la penalizzazione dell’omosessualità, demandandone la repressione alla sfera morale
e religiosa. Qualora fosse stato necessario intervenire, si affermò, le forze dell’ordine possedevano
già gli strumenti necessari. Tali strumenti erano tre tipi di provvedimenti: la diffida (una sorta di
avvertimento pubblico a abbandonare un comportamento “criminoso”, pena l’incorrere in
provvedimenti più severi), l’ammonizione (una specie di arresti domiciliari della durata di due
anni) e soprattutto il confino, cioè la residenza coatta in un luogo lontano da quello in cui la
persona viveva, con limitazioni della libertà personale.
La condanna al confino significava l’allontanamento da parenti, amici, compagni, ma anche la
condanna pubblica e l’ostracismo sociale. L’arresto portava con sé traumatiche conseguenze:
molti parenti rifiutarono di avere contatti con i confinati per omosessualità; vittime di una
mentalità in cui l’omosessualità era un peccato imperdonabile, gli omosessuali stessi soffrirono
per il disonore gettato sulle proprie famiglie. Nessun riconoscimento spettò agli ex confinati
omosessuali alla fine della guerra. Alcuni di loro chiesero la pensione come ex confinati. Nulla però
risultava dai loro dossier, dove solo un numero in codice indicava la loro reale condizione. Nessuno
riuscì ad ottenerla, così come nessuno riuscì ad ottenere la riabilitazione da parte dello Stato.
Si è voluto approfondire con particolare attenzione la condizione delle donne lesbiche durante il
nazismo, perché molto spesso questa realtà viene tralasciata. Nei campi di concentramento le
lesbiche non furono catalogate come omosessuali, ma come asociali o prostitute. Pertanto, anche
per questo motivo, alla fine della guerra questo sterminio invisibile venne rimosso dalla memoria
collettiva.
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