Nel territorio di Montescaglioso si rintracciano ancora superfici boscate di notevole interesse. Non solo la Difesa S. Biagio, Murgia S. Andrea, i rimboschimenti di MonteVetere e Fontana del Grillo, ma anche vaste superfici soprattutto a Campagnolo e nelle altre aree demaniali del Comune. La superficie a bosco di Montescaglioso era molto più ampia perché il regime colturale era diverso dall’attuale. Oggi prevalgono i seminativi asciutti ed irrigui, ma nell’antichità i pascoli ed il bosco erano al centro di un sistema economico preciso e controllato.
Il bosco forniva legname per il riscaldamento (la carbonella), per le costruzioni, per i forni da pane e per tutta la piccola industria che girava intorno alla famiglia ed alla casa. Era indispensabile per l’allevamento di bovini e maiali allo stato brado ed era gestito in maniera tale che i prelievi ciclici potessero consentire il rinnovo delle piante. In molti boschi e soprattutto quelli demaniali, la popolazione esercitava ed esercita tuttora gli usi civici ovvero il diritto a raccogliere legna, frutti ed a effettuare il piccolo pascolo. Nell’antichità gli usi civici nel bosco permettevano la sopravvivenza di fasce considerevoli della popolazione più povera. Fino agli inizi del secolo XIX quasi tutte le superfici a bosco di Montescaglioso erano nelle mani di tre attori principali, l’Università, ovvero il Comune, il Marchese e l’Abbazia sempre in conflitto tra di loro per i controllo della risorsa. I boschi erano prevalentemente formate da lecci e querce con un sottobosco ricco e controllato. In prossimità dei corsi d’acqua e delle aree più umide il querceto lasciava spazio alle piante igrofile. I cambiamenti in tale contesto erano molto lenti poiché l’economia sul territorio era essenzialmente orientata verso l’autoconsumo ed il lento incremento della popolazione e delle attività economiche generava modesti cambiamenti nel paesaggio e nel territorio. Una notevole accellerazione del disboscamento per ottenere maggiori superfici a coltivi si registra dagli inizi del seicento ed è determinato oltre che dal continuo incremento demografico anche da un maggiore sfruttamento dell’ambiente praticato dai monaci di S. Angelo e dalla Casa feudale che in quegli anni è passata in mano a famiglie di origine borghese e mercantile. Nonostante la continua diminuzione delle superfici forestali, agli inizi del sec. XIX, l’area a bosco a Montescaglioso è ancora molto vasta.
Le leggi napoleoniche che aboliscono le proprietà feudali e permettono ad un ristretto numero di famiglie abbienti di acquistare le antiche proprietà dell’abbazia, della chiesa e del Marchese, determinano in pochi anni la messa a coltura di nuove superfici sottratte ai boschi confinati in aree marginali, con forti pendenze e difficoltà di lavorazione. Ulteriori diminuzioni si registrano con la riforma agraria e l’assegnazione di terre cosiddette incolte ai contadini e negli anni più recenti con la meccanizzazione dell’agricoltura che induce i coltivatori a reperire superfici per il grano anche tra i terreni meno produttivi ma utilizzabili per aumentare gli etteraggi con i quali richiedere le provvidenze della Comunità Europea, sulla cerealicoltura (integrazione costo grano).
Oggi le superfici a bosco sono confinate nelle aree e sui pendii più problematici e corrispondono all’incirca alla quota dei terreni dell’Abbazia di S. Angelo assegnate con le riforme napoleoniche al Comune che ancora oggi ne è proprietario. I fossi del Lavannaro ove il querceto è attraversato anche da un piccolo corso d’acqua. Il bosco di S. Vito esteso lungo i pendii della collina la cui sommità è occupata dalla chiesa omonima e da un antico nucleo abitato. I boschi dell’Imperatore e del Tinto sottoposti a pressioni sempre più insostenibili. I fitti boschi del Vetrano con le sorgive di S. Maria appartenute ai benedettini. Il bosco di Cozzo Presepe con colonie di pini d’Aleppo ed infine i rigogliosi boschi di Lago del Lupo, all’interno di forre che incidono il piano di Campagnolo.
Testi e foto: Francesco Caputo (CEA Montescaglioso).