Segue dal Capitolo I – Terra dura – 1914
Più a sud, calanchi argillosi, come ruvide piaghe, si alternano a più rassicuranti terreni seminativi che sconfinano in Puglia verso Ginosa.
La parte a sud che degrada verso il mare è una delle tre più importanti aree agricole del paese. Antiche distese di ulivi si intrecciano al verde brillante dei pampini di primitivo e malvasia. Profondi fossati coperti di macchia mediterranea, querce e olivastri segnano come profonde rughe il territorio e corrono alla pianura di Metaponto.
Un po’ più distante l’altipiano di Campagnolo, probabilmente l’area più importante, anche se la più lontana. A dorso di mulo ci si impiega oltre due ore dal paese, a piedi ne occorrono tre. Sull’altopiano ci sono un paio di casolari a disposizione dei contadini che si fermano per la notte. La strada per il paese è lunga e si preferisce dormire sul posto per essere nei campi la mattina presto. Col buio i casolari si animano. Il primo che arriva accende il fuoco. Il fuoco scalda e asciuga vestiti e ossa, riscalda le scodelle con i ceci o le fave e sulla sua brace si fa il “pane rosso”, croccante e profumato, per accompagnare i legumi. Intorno al fuoco si chiacchiera dell’annata agraria, del governo, del re e dei briganti. Nicola “Culvasc” racconta ogni sera una storia di suo padre e delle sue imprese quando, al seguito di un famoso brigante del posto, scorrazzava nelle campagne della Lucania e della Puglia. Qualche episodio si ispira vagamente a fatti realmente accaduti ma tanti altri sono inventati di sana pianta per sbalordire gli astanti. Quando la racconta veramente grossa si ode un “Ohhhh” divertito da parte dei presenti.
Quando non ci sono donne, si fanno anche discorsi sconci sulle donne degli altri o sulla baronessa che, dopo i bisogni corporali, si faceva pulire il grasso e delicato deretano con il fegato di maiale. Si favoleggia di animali straordinari. I serpenti, in particolare, solleticano la fantasia popolare. Si racconta di un tale che aveva visto nella Murgia un serpente talmente lungo e grosso che passava da un albero all’altro senza mai toccare terra. Oppure del Cervone che di notte succhia il latte dalle mammelle delle donne che allattano e che per zittire il bambino gli mettono in bocca la loro coda. Da come li raccontano loro questi fatti sembrano tutti veri e sostenuti da solide basi scientifiche.
Il territorio intorno al paese è principalmente coperto da boschi di olivastro, leccio e roverelle, macchia mediterranea con lentisco e uliveti. Non sono lontani gli anni in cui vi si udiva l’eco delle schioppettate del brigante “Coppolone”, di cui ancora si favoleggia e che alcuni considerano il braccio armato del popolo oppresso e altri un comune tagliagole.
I boschi, in gran parte demaniali, in taluni periodi dell’anno venivano aperti al taglio per fare legna. In altri periodi il taglio era tassativamente vietato e chi trasgrediva veniva denunciato e condannato severamente. Le guardie campestri vigilavano sul rispetto del divieto, rivestite di un’autorità grandemente superiore al dovuto.
D’estate il caldo può essere insopportabile, specie nei giorni di scirocco, il vento caldo che trasporta umidità dal mare e che rende l’aria irrespirabile. In quelle giornate il cielo è bianco e sembra che da un momento all’altro debba incendiarsi facendo avvampare uomini, bestie e piante. D’inverno lo stesso vento mitiga il freddo ma è ugualmente fastidioso perché porta nebbia e con questa le malattie per la vigna e per l’ulivo. Le mattine e le sere di novembre la nebbia è talmente fitta da far sembrare che piova. Gli inverni, spesso piovosi, generalmente non sono particolarmente rigidi, salvo quando arriva il vento da nord-est. In questi casi può nevicare e la cosa, benché arrechi qualche disagio, generalmente è ben accolta dai contadini, convinti che la neve abbia il potere di uccidere topi e insetti dannosi all’agricoltura. Più se ne posa e più dura, meglio è per tutti. Ogni generazione racconta che gli anni passati erano più nevosi.