In questa seconda parte della ricerca sul brigantaggio si fa il punto sulla situazione socio-economica di Montescaglioso alla vigilia dell’insurrezione antiborbonica del 18 agosto ’60 e nei primi mesi di vita politica “da italiani”. L’analisi è centrata in particolare sulla posizione dei contadini, dei preti e dei galantuomini e sulla questione delle terre demaniali di cui da anni si invocava la quotizzazione.
Per indurre la popolazione a simpatizzare col governo unitario, il 18 agosto si era promesso “ogni specie di bene (…) senza alcuna sorta di mali”. Ciò che ai contadini interessava, sopra ogni altra cosa, era avere un po’ di terra propria, ma quando arrivò il momento di tener fede all’impegno alcuni settori dell’amministrazione statale frapposero ostacoli.
Nello stesso tempo i comitati formati dai nostalgici dei Borbone stabilivano contatti con i latitanti per reati comuni cui si andavano aggiungendo gli sbandati del disciolto esercito borbonico. La politicizzazione del movimento fu sancita dall’arrivo dell’ufficiale catalano Josè Borjes convinto di poter restituire il regno a Francesco II con l’aiuto dei contadini.
Cause, gestione e conseguenze della questione brigantaggio
La terza e ultima parte dell’articolo si occuperà in particolare del brigantaggio montese e sarà pubblicata fra un mese.
Per chi voglia sapere direttamente dal maggiore esponente del brigantaggio da quali sentimenti, fatti e mentalità il fenomeno fu prodotto, rimandiamo al brano che Carmine Crocco Donatelli scrisse, ormai vecchio, in carcere. Chi ha confidenza coi nostri dialetti, o, meglio, con ciò che ne viene fuori quando si prova a italianizzarli a orecchio (ad esempio: pulizia per polizia), non avrà difficoltà a capirlo.