Recensione ultimo lavoro di Peppe Lomonaco, “Gita aziendale e altre storie”

“Gita aziendale e altre storie” ultimo lavoro di Peppe Lomonaco, Edizioni Giannatelli

(Recensione a cura di Elisabetta Tardi, studentessa in “Beni Culturali” presso l’Università di Verona)

Osservate la copertina di questo libro. La sapiente impostazione induce a soffermare lo sguardo (e la mente) sulle due eleganti figure maschili in giacca e cravatta. Ma, escludendo l’abito di sartoria e il rassicurante gesto di saluto-arringa, si scorgeranno due teste da mosca. Non è la prima volta nella Storia che l’animo premonitore dell’artista si serva di mostruose metamorfosi per indicarci un problema, suggerirci una soluzione, proporre un’alternativa. Qui, a mio parere, pone un interrogativo. Chi sei, veramente? Cosa, il mio libro-specchio, rifletterà di te? Cosa, di te stesso e degli altri t’importa davvero?

Sono poche le personalità capaci di narrarci, con gustosa padronanza lessicale e senza retorica, la quotidianità come Peppe Lomonaco (nato a Montescaglioso, il 1951), indurre al riso dinnanzi al grottesco, aiutarci, grazie all’assurdo a superare l’ingiustizia insita, a volte, nel vivere. Autore dell’opera premiata  “E’ stata una lunga giornata” (vincitrice del Concorso letterario nazionale Nicola Zingarelli 2012 e della menzione al premio Giacomo Matteotti 2012) , Lomonaco torna con questa effervescente raccolta di novelle surreali e fiabesche, dove si intrecciano con sapienza altruismo e miseria , volgare opulenza e primordiale ritorno ad una vitalità autentica e senza freni. Vitalità trovabile nell’unione panteistica con la natura, la totale simbiosi con la vegetazione, (“…era tutto un poetico concerto spontaneo.”),  la salvifica metamorfosi in animali (non già come la “Metamorfosi” kafchiana), contrapposta all’abbrutimento stillante dalla famiglia e dal lavoro (…”.E’ meglio che esca da questo luogo di muffe,…da questo nulla”). Il nucleo familiare come luogo di sentimenti sopiti, assenti o frustranti (“Non vado a casa a rompermi l’anima. / Non puoi andare a casa ora che la giornata brilla da ogni parte….e ti dà forza e speranza”).

Le storie qui presentate, caratterizzate da un fluido alternarsi di proposizioni paratattiche e ipotattiche (assecondando ora il monologo, ora i dialoghi), svelano al lettore sé stesso, senza ometterne i difetti con pietismo; anzi, porgendo l’indifferenza, il qualunquismo, l’ambizione e la religione piegate e piagate al servilismo, la moltiplicazione di cariche inutili (adottata ed amplificata per denunciarne la vacuità) alla sferzante penna di questo autore che ci rivela come queste  meschinità non alberghino solo nel “politico”, o nel “dirigente”.

Come affermò Marx, l’alienazione è proporzionale al successo individuale, all’egoismo e gli sventurati protagonisti ritrovano l’autenticità solo nei momenti di onirica liberazione istintiva. Leggendo questo libro si ha l’impressione di osservare molteplici schizzi a china: i segni grafici che impariamo a tradurre come parole durante gli anni scolastici, qui diventano piccoli ritratti estemporanei ed impressionisti di momenti, situazioni o persone. Ecco, per esempio che leggendo del  Ragionier Galletti, capitombolerà alla mente un collega, magari a tal punto insignificante da non rammentarne neanche il viso. E siamo spinti, avvolti, trascinati nei recessi più intimi e scandalosi di personalità altolocate e frettolose (come l’irrefrenabile prurito anale, la pulsione sessuale che orienta un’assunzione ad insegnante), sempre in bilico tra raccomandazioni (fortunatamente non sempre riuscite!) e ripetuti omaggi dati e ricevuti da superiori e sottoposti arrivisti (“Mentre il dirigente dei dirigenti, dopo un finto imbarazzo ha accettato di farsi portare sulle spalle da due aspiranti dirigenti”). L’uomo comune narrato qui, similmente al “Borghese piccolo piccolo” di Cerami e a Leopold Bloom di Joyce, scappa costantemente dalla propria miseria ma, non conoscendo nient’altro che questa, spesso la riproduce anche al di fuori dalla monade asfissiante del lavoro per seguire stereotipi o competizioni fantozziane (“Ciò che gli rendeva mutilata la vita era la calvizie…./e il non avere un’amante. Tutti i dirigenti dell’ente ne avevano una. Alcuni, addirittura due.”) e raramente sa concedersi spazi di autenticità emotiva (“Amilcare Caruso, ora prigioniero in un costoso vestito griffato/ abbandonò il corbezzolo per salire in alto sul noce: aveva voglia / di costruirsi un nido per la cova ad ogni costo.”)

Ricordiamo come l’attenzione alla totalità umana, con la nobiltà e la crudeltà proprie, ha trovato grandi seguaci a partire dal Novecento (basti citare Pirandello, Moravia, Mann ecc), di cui Peppe è degno erede. E’ il potere dei comici quello di far sorridere. Lomonaco è uno scrittore poliedrico, multiforme. Unisce in una danza la commedia alla satira (Il pellegrinaggio), la tragedia al nudo realismo, la libertà della primavera in boccio al grigiore ripetitivo auto creato ed auto impostoci. E, con l’amara canzonatura di un moderno giullare, vi sorprenderà nel sentirvi presi per mano, dapprima con simpatica goliardia di macchiette comiche, poi avvinti da una narrazione incalzante, dove l’occasionale termine scurrile diviene mezzo efficace per un acre ed irriverente omaggio alla realtà più recondita.

Sfogliate queste poche pagine. Vi troverete, per apparente casualità, foto in bianco e nero, reduci di tempi più che mai attuali, travestite da ricordi. Guardate col cuore: mancano segni di riconoscimento ai primi piani, maschere strane, bombe atomiche quali decorazioni per torte in scene surreali: siamo noi, tutti, allo specchio. Potremmo essere ognuno di questi attori protagonisti della “Commedia umana”, il nostro viso, reso simile a quello di tanti altri per volontà di omologazione, è irriproducibile dal momento che nessuno lo conosce né si premura di farlo (come “La riproduzione vietata” del pittore surrealista Renè Magritte ci impedisce di cogliere lo sguardo dell’effigiato). Andiamo alla ricerca di coloro che, invece di sfornarci risposte banali e rassicuranti, ci pongono domande a cui è nostro compito cercare una risposta.

 

Elisabetta Tardi, studentessa in “Beni Culturali” presso l’Università di Verona


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4 Commenti

    1. Filippo

      Ciao Piero, a proposito di “RECENZIONE” ti allego la definizione del termine “refuso” e… occhio alla tastiera del computer.

       

      Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

      Un refuso (dal latino refūsus, participio passato di refundĕre, riversare[1]) è un errore di stampa causato dallo scambio o dallo spostamento di uno o più caratteri attribuito ad un problema di scambio di lettere in fase di scomposizione manuale dei caratteri mobili negli scompartimenti della casse tipografiche e che si concretizza sempre manualmente in fase di composizione o ad uno scambio dei movimenti delle dita durante la battitura.

       

       

       

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